giovedì
31 Luglio 2025
libri

Un “hard boiled” in salsa faentina: la prima indagine di Ciparisso Briganti

Claudio Panzavolta torna in libreria con “Lascia stare i morti”, un giallo storico da non perdere, ambientato nella città manfreda

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La Romagna non è mai stata tanto misteriosa e tanto popolata di investigatori. Se lo scorso anno fu il casolano Cristiano Cavina a cimentarsi con il genere giallo in L’Ananas no (Bompiani), questa estate esordisce con il suo primo giallo/noir Claudio Panzavolta, di mestiere editor per la Marsilio, faentino e scrittore alla sua terza prova narrativa. Come nella seconda, il bellissimo Al passato si torna da lontano (Rizzoli, 2020), Panzavolta sceglie di nuovo il Novecento e l’area dove è nato e cresciuto per l’ambientazione storica e fisica di Lascia stare i morti (Ponte alle Grazie, 2025).

Siamo quindi a Faenza, precisamente nel retro della bocciofila dove Ciparisso Briganti, detto Briga, ha il suo ufficio da investigatore privato. 53 anni, un passato da partigiano prima e poliziotto poi, è un uomo burbero e tenero, animato da solidi principi morali e profonde convinzioni politiche. Del resto siamo nel 1980, quando forse era più facile avere entrambi. La sua è un’indagine che lo porterà a scavare sotto la superficie di una Faenza dove l’Omsa è in piena espansione così come le distillerie che ne impestano l’aria, a pochi mesi dalla strage di Bologna e dallafine degli anni Settanta, in un’epoca in cui ancora si sente l’eco della guerra di Liberazione che da queste parti ha avuto uno dei fronti più incandescenti. Ed è per questo che il romanzo offre anche uno sguardo su cosa è successo negli anni successivi alla fine di quella guerra in Italia, ai destini di fascisti e antifascisti nelle pieghe del sistema, un po’ come successe con la prima trilogia di Carlo Lucarelli.

La storia di Briga, con i bei personaggi di contorno tra cui la compagna, il figlio e lo zio, permette a Panzavolta di tornare su temi fondativi della Repubblica, che oggi sono lungi dall’essere risolti e superati, e ci riporta con precisione da storico a un’epoca, quella degli anni Ottanta, ricca di contraddizioni e spunti utili a tentare di capire cosa sia successo a Faenza e in Italia nei quarantacinque anni successivi.

Se questo è il contesto storico, quello letterario è invece più chiaramente legato al cosiddetto “hard-boiled”. Il ritmo è serratissimo, l’azione è spesso sorprendente, non mancano scene di violenza e accelerazioni che solo un’indagine condotta da un investigatore privato può permettersi senza perdere in credibilità. Del resto Marlowe viene citato più volte in modo ironico, ma il riferimento è chiaro (se vogliamo pensare invece ad autori contemporanei e nostrani, in una libreria del giallo divisa per generi potrebbe forse stare vicino al Contrera di Christian Frascella per il ritmo).

A parte qualche piccolo “prestito” dal romagnolo nei dialoghi, la scrittura è pulita, fin troppo per un libro raccontato in prima persona da un uomo che per sua ammissione non ha potuto studiare, ma Panzavolta si premura di spiegarcelo: il nostro protagonista ha imparato da un partigiano, detto non a caso “Elzeviro”, la passione per la lingua e il vocabolario. Un piccolo escamotage che serve a ricordarci quanto un tempo non fosse scontato studiare ma fosse considerato essenziale (un po’ il rovescio di oggi?) oltre a permettere un racconto fluido, ricco, senza intoppi e che non richiede certo la conoscenza del romagnolo per essere apprezzato.

Da non perdere, insomma, per chi ama il genere, la cronaca del Novecento e ovviamente queste ambientazioni. Neanche a dirlo, c’è da sperare che questo sia solo il primo di una lunga e fortunata serie con il Briga a indagare.

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