Nello stesso anno della Biennale ravennate dedicata al Mosaico in prossima apertura, continua a Faenza la Biennale Internazionale della Ceramica d’arte contemporanea in allestimento al Mic. Insieme all’esposizione temporanea e con lo stesso biglietto di entrata si potrà visitare la selezione di opere ceramiche premiate nelle passate edizioni della Biennale, oltre alla collezione permanente del museo che – per chi ancora non la conoscesse – è assolutamente da vedere, sempre però calcolando abbondanza di tempo.
A corollario di questa occasione è ancora visibile in una delle due sedi la bella personale di Andrea Salvatori, artista che mantiene vivo l’interesse degli estimatori con opere provocatorie, sempre centrate su temi affrontati con le giuste dosi di impegno o ironia: gli allestimenti di alcuni suoi lavori sono visitabili attualmente al Museo diocesano. Fino al 5 ottobre, una seconda esposizione è stata ospitata dal Museo Zauli.
Tornando alla Biennale, oltre cento artisti di tutto il mondo hanno partecipato al concorso indetto dal Mic per il 63° Premio Faenza, con opere che sono state selezionate da una giuria internazionale assieme alla direttrice del museo Claudia Casali. Il panorama offerto dal concorso fa comprendere come la tecnica ceramica sia sempre in evoluzione e mantenga un dialogo diretto sia con l’arte contemporanea nelle declinazioni offerte dagli altri linguaggi visivi, sia con i temi attuali più sensibili. Quindi se molte proposte rispettano la vocazione puramente decorativa della tecnica oppure si inseriscono in uno stretto dialogo già da tempo collaudato con arredo e design, altre opere si presentano come risposte sperimentali nei mezzi e molto variegati nei temi che comprendono dimensioni intime e riflessioni sullo scorrere del tempo, la fragilità degli ecosistemi, la violenza delle guerre o altri nodi di grande coinvolgimento.
Partendo dai premi, per la sezione over 35 va segnalata la vincitrice Hanna Miadzvedzeva (1988), ceramista polacca nata in Bielorussia che ha presentato una forma apparentemente funzionale: in realtà si tratta di una forma autonoma, simile ad un vaso ripiegato su se stesso, la cui superficie appare estremamente simile a una concrezione corallina. Non a caso l’opera fa parte della serie scultorea Landscapes, che indaga l’impatto delle forze naturali sulle emozioni umane e la percezione di sè: la forma cattura l’attenzione per capacità tecnica e sinuosità, metafore di un’autoriflessione quasi necessaria nel contesto drammatico attuale. L’interpretazione di questo lavoro si avvicina all’opera presentata da Iosifina Kosma, un’artista di origine greca che ripercorre nella sua creazione organica dalle linee suadenti e dinamiche l’analisi della relazione fra pura forma e senso dell’esistenza. Dedicato alla natura è il Fungus Lunae eseguito a due mani da Yulia Batyrova e Marat Mukhametov – artisti del Turkmenistan emigrati in Francia – che propongono in una tecnica ibrida fra porcellana e silicone una forma vegetale inesistente. Sulle stesse note di ibridazione fra mondi diversi si cimentano anche Monika Anna Grycko, artista polacca nota nel nostro territorio dove risiede da anni, e la francese Claire Lindner (1982): al posto del senso tragico della prima artista, è la sensazione di mistero e di paradossale seduzione che attraggono in Metamorfosi di Tanagra n.1 di Lindner, in cui il gres smaltato assomiglia a velluto cascante e la forma interseca mondo animale, vegetale e minerale.
Il secondo premio, riservato alla categoria under 35, è andato alla francese Léa Renard, che ha realizzato una serie di piccole sculture colorate che richiamano frutti, fiori, oggetti, ibridazioni fra animali e vegetali, disposte sopra cinque mensole a muro. Si tratta di un lavoro coinvolgente proprio per la semplicità di approccio, che nelle intenzioni dell’artista raccoglie una sorta di camera delle meraviglie in cui ogni singola scultura racconta una storia cercando di stimolare reazioni e collegamenti evocativi in chi osserva.
A metà strada fra lavoro concettuale e allestimento effimero, si colloca l’opera di Francesco Ardini (1986), che realizza una porzione di parete e pavimento a semplici piastrelle ceramiche. Sopra ad esse un deposito di polvere fa cogliere tracce di dita, disegni labili, scritte evanescenti come l’affermazione sottolineata “Ti amo”. Si tratta di un lavoro premiato che risponde a una riflessione sul tempo, la relazione fra sentimenti ed enunciati effimeri, come anche ai contesti poveri e anonimi in cui si lasciano messaggi e tracce di vita. Citiamo solo a malincuore i bei lavori di Anna e Paola Marinuzzi, Sibylle Meier, Takaharu Hori, Wiktoria Nedza, Fiorenza Pancino, Silvia Piani, Kai Zhang, Mattia Vernocchi e Francesco Bocchini; e chiudiamo in breve con la Resistenza ceramica di Marina Rodriguez (1979), un bel lavoro sulla dimensione della memoria collettiva, in questo caso dell’Argentina, paese natale dell’artista. L’opera recupera forme e decorazioni dei piatti delle nonne, prodotti dalla famosa fabbrica argentina di ceramiche Lozadur, mentre dall’altra omaggia tutti i desaparecidos della dittatura, un omaggio a una lotta e una ferita collettiva sempre vive nella memoria.
“63° Premio Faenza – Biennale Internazionale della Ceramica d’Arte contemporanea” fino al 30 novembre 2025 – Faenza, MIC, viale Baccarini 19 – orari: MA-DO 10-19
Andrea Salvatori. Terzo paesaggio – fino al 2 novembre – Faenza, Museo Diocesano
VE 10-12.30; SA-DO 10-12.30 / 16-18.30