sabato
06 Dicembre 2025
l'intervista

«Con lo Schiaccianoci torniamo tutti bambini in attesa di un miracolo»

Nina Ananiashvili del Balletto dell’Opera di Tbilisi parla dello spettacolo che aprirà la stagione dell’Alighieri. «Che bello potersi esibire in Italia»

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Il 9, 10 e 11 dicembre la nuova stagione di danza del Teatro Alighieri di Ravenna si aprirà con la magia de Lo Schiaccianoci, affidato all’interpretazione del Balletto dell’Opera di Tbilisi diretto da Nina Ananiashvili. Dopo i nove sold out al Teatro Regio di Torino, l’acclamata produzione firmata da Ananiashvili e Alexey Fadeechev sulle coreografie originali di Petipa torna in Italia come simbolo della tradizione, con scene e costumi di Simon Virsaladze e Yuri Gegeshidze che danno vita al racconto di E.T.A. Hoffmann in un’atmosfera calda e luminosa. Un evento che porta a Ravenna una delle compagnie più amate del panorama internazionale. Nina Ananiashvili, raggiunta durante un tour internazionale a Taiwan, ci ha raccontato il suo punto di vista su questo atteso rientro italiano.

Lo Schiaccianoci inaugura la stagione di Ravenna, dopo il trionfo torinese. Che valore assume per lei tornare in Italia e aprire un cartellone con un titolo di così grande successo?
«Ogni esibizione in Italia è per noi una gioia immensa. Città meravigliose, che sono esse stesse capolavori, teatri d’opera straordinari, un pubblico colto e raffinato… Cosa si potrebbe desiderare di più? Siamo infinitamente grati al nostro produttore, il signor Roberto Giovanardi, che ci guida con sensibilità e attenzione in un Paese tanto esigente quanto affascinante per chi vi si esibisce».

Il vostro Schiaccianoci propone un classico di Petipa, firmato da lei e Alexey Fadeechev. Qual è stata la vostra chiave interpretativa, e come avete cercato di restituire la meraviglia e l’infanzia che abitano la partitura di Cajkovskij?
«Il nostro Schiaccianoci è assolutamente originale, per così dire, dal punto di vista coreografico. Non deriva, né somiglia ad alcuna produzione passata o presente. Ma naturalmente l’elemento fondamentale, lo spirito che vive nella musica di Cajkovskij, è pienamente presente. In ogni corpo adulto esiste un bambino che attende ancora con ansia un miracolo e guarda al futuro con speranza inesauribile».

Le scene di Simon Virsaladze e il design di Yuri Gegeshidze evocano un mondo di sogno, ma radicato in una memoria familiare. Quanto contano per lei l’immaginazione e la riconoscibilità culturale nel costruire una poetica visiva?
«Il balletto classico, di per sé, è pura immaginazione e pura poesia, perché ci è negata la parola. Il nostro grande connazionale Simon Virsaladze non solo ha creato per Lo Schiaccianoci uno scenario fiabesco, immediatamente riconoscibile e capace di suscitare meraviglia, ma vi ha anche impresso il codice genetico della cultura e delle tradizioni europee. L’esecuzione scenografica di Yuri Gegeshidze è esemplare».

Lo Schiaccianoci è un rito natalizio, ma anche una fiaba sulla crescita e la trasformazione. Qual è, secondo lei, il messaggio più attuale di quest’opera per lo spettatore contemporaneo?
«La famiglia, l’amore, la speranza, i sogni, il miracolo, la gentilezza e l’amicizia, l’immenso e meraviglioso mondo che ci attende con le sue scoperte».

Dirige il Balletto dell’Opera di Tbilisi da vent’anni, un traguardo importante. Come descriverebbe l’evoluzione della compagnia in questo periodo, e quali qualità distingue oggi i suoi danzatori?
«La compagnia ha attraversato tre fasi nel corso di ventun anni. La prima è stata quella dell’apprendimento del repertorio dei secoli XX e XXI: da Petipa e Bournonville a Fokine, Balanchine, Ashton e Kylián, fino a Ratmansky e Possokhov. Balanchine, Ashton e Kylián, fino a Ratmansky e Possokhov. Non solo ha imparato, ma ha padroneggiato questi linguaggi coreografici diversi e li ha fatti propri. La seconda fase è stata quella di formare un corpo di ballo di altissimo livello. Ora siamo quasi al termine della terza fase: affermarci con decisione come membri del “club” delle migliori compagnie europee. La quarta fase arriverà, ne sono certa, quando avremo un coreografo georgiano di fama mondiale: ma questo deve ancora accadere».

Lei è stata una delle più grandi interpreti del Novecento, dal Bol’šoj all’American Ballet Theatre. Come questa esperienza personale, vissuta ai massimi livelli internazionali, si riflette nel suo modo di trasmettere disciplina e libertà ai giovani danzatori?
«Ripeto costantemente ai miei danzatori che per arrivare al vertice del mondo della danza, o almeno a un livello professionale molto alto, esistono solo tre ricette: lavoro duro, durissimo, quotidiano; desiderio di imparare fino alla fine della carriera, umiltà. Una madre e un padre possono donare a una persona un corpo straordinario e una mente brillante, ma senza sangue, sudore e lacrime quei doni svaniscono in fretta. È come nel calcio: basta una partita sbagliata, e già ti fischiano. La libertà è sempre presente. Si può lasciare una compagnia che non si ama e cercarne un’altra più affine. Ma è fondamentale capire bene cosa si desidera davvero: essere parte del balletto classico o restare spettatori del successo altrui».

Il Balletto dell’Opera di Tbilisi è oggi un ambasciatore culturale del suo Paese. Quanto pesa, nella sua visione artistica, l’idea di rappresentare la Georgia nel mondo attraverso la danza?
«È la nostra raison d’être. Quando ci esibiamo all’estero, dobbiamo lasciare al pubblico non solo il piacere dato dal livello artistico della compagnia, ma anche la chiara consapevolezza che la Georgia non è “un Paese qualsiasi”: siamo la sponda orientale dell’Europa, con la nostra arte, la nostra cultura e le nostre tradizioni».

Un auspicio per il pubblico di Ravenna: cosa porterà con sé dopo aver assistito al vostro spettacolo?
«Che, nonostante la follia del mondo in cui viviamo, il futuro possa arrivare con una rinnovata fiducia nel codice culturale e spirituale europeo, nella famiglia e nell’amore».

Se dovesse descrivere in un’immagine lo spirito della sua compagnia oggi, quale sarebbe? Una parola, o un particolare che racchiuda la vostra identità e il vostro modo di vivere la danza.
«I danzatori che arrivano nella nostra compagnia – italiani, giapponesi, spagnoli, coreani, brasiliani, americani – queste ragazze e questi ragazzi meravigliosi, diventano quasi georgiani. Questo credo dica molto sul mio Paese e sulla nostra compagnia».

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