Dragaggi, Confindustria ha 14 soluzioni Nomisma: meglio casse colmata a terra

Gli Industriali presentano uno studio sulle possibilità per i fondali
ma è ancora scontro con Autorità portuale. E anche Sapir coinvolta

Per dragare i fondali del porto di Ravenna esistono almeno 14 soluzioni diverse che si distinguono fra loro per profondità raggiunta, gestione dei fanghi, tempi di completamento e budget: la scelta sulla strada da percorrere dipende solo dalla visione futura dello scalo da parte di autorità locali e tessuto imprenditoriale. È la sintesi conclusiva di uno studio (una sintesi è scaricabile in formato pdf dal link in fondo alla pagina) elaborato in tre mesi da Nomisma su incarico di Confindustria Ravenna per avere una base su cui incardinare un dibattito pubblico più informato possibile. La soluzione che informalmente convince di più gli Industriali è quella di un quadro con una profondità del canale tra 11,5 e 14 metri a seconda delle esigenze degli operatori, che vorrebbe dire scavare tra 4,7 e 5,3 milioni di metri cubi impiegando tra sei e sette anni di tempo con un investimento tra 90 e 213 milioni di euro (senza prevedere eventuali espropri). La società di consulenza bolognese ha illustrato il suo lavoro nel pomeriggio di oggi, 18 dicembre, in via Barbiani a Ravenna, nella sede di Confindustria.

Le 14 soluzioni diverse vanno raggruppate in quattro scenari battezzati Minimo, Base, Medio, Massimo. Un ventaglio di ipotesi vastissimo come facilmente si può capire semplicemente guardando al portafoglio che servirebbe per la realizzazione: si va da 53 milioni per il dragaggio minimo completabile in 5 anni con la soluzione più economica per la sistemazione dei fanghi fino a sogni faranoici da 447 milioni di euro e oltre 12 anni di tempo necessario. Insomma un ampio spettro di ipotesi con le annesse proposte per il completamento ma nessuna presa di posizione. Perché tutto dipende, come più volte ribadito, da cosa vuole fare il porto da grande.

Per la produzione dello studio (costato alcune migliaia di euro finanziate da 21 aziende del porto) Nomisma ha fatto ricorso a tutta la documentazione ufficiale passata dai tavoli del comitato portuale e delle istituzioni locali. Non si sbilancia a favore di una scelta tra le 14 ma alcuni paletti vengono fissati nelle considerazioni conclusive: «La gestione attraverso casse di colmata a terra a parre imprescindibile – si legge nel documento –. Il destino dei materiali da dragare a recuperi ambientali si presenta come opzione prioritaria, le casse di colmata a mare (valutate più costose, ndr) diventano una necessità solo in caso di effettiva assenza di altre soluzioni percorribili, dotare il porto di ravenna di un impianto di trattamento rappresenta elemento fondamentale di ottimizzazione del sistema, abbinare la realizzazione di casse a terra al successivo sviluppo di strutture di supporto alle attività portuali come piattaforme logistiche e terminal container rappresenta un’opportunità da valorizzare».

I fanghi dove li metto? È questa la domanda che ormai assilla il dibattito ravennate. Nomisma elenca le varie possibilità a disposizione: riversamento a mare (solo per i materiali che abbiano un contenuto livello di inquinamento e cioè circa 2 milioni di mc nei lavori ravennati), casse di colmata a mare (lungo le dighe foranee), casse di colmata a terra, riempimento cave, sistemazione banchine, ripristini ambientali, trasferimento fuori Ravenna, impianto di trattamento. Un elenco noto. Nei diversi scenari elaborati da Nomisma, «la quantità riversabile a mare sta tra il 35 percento e il 50, il 10-15 percento è analaogo a terreni di verde pubblico, il 40-50 percento analogo a terreni commerciali, lo 0,2 percento è rifiuto».

Tra i presenti in sala, imprenditori e manager della portualità, a molti è sembrato che quello di Nomisma sia un dettagliato riassunto ispirato da linee di buon senso ma dove si avverte la mancanza di una proposta concreta per risolvere l’impasse che blocca il porto. Su questo aspetto ha voluto spendere due parole il presidente di Confindustria, Guido Ottolenghi: «Abbiamo commissionato l’incarico tre mesi fa quando l’Autorità portuale sosteneva che non ci fossero soluzioni alternative a quella proposta e noi abbiamo proprio chiesto di individuare le alternative. A quanto pare ne esistono almeno 14. La migliore? Forse la 15esima…». L’auspicio del massimo dirigente è che questo testo possa essere il terreno comune per un incontro tra le istituzioni «nel rispetto reciproco».

Nei minuti immediatamente successivi alla presentazione della studio è andato in scena anche l’ennesimo scontro verbale tra l’Autorità portuale e Confindustria, ovvero tra i suoi presidenti Galliano Di Marco e Ottolenghi. Si erano educatamente salutati con una stretta di mano poi il secondo ha aperto i lavori con un discorso all’attacco, pacato nei toni come è lo stile di Ottolenghi ma spietato nei contenuti. E poi il primo ha chiesto di salire sul podio alla fine della presentazione di Nomisma. Al dirigente di via Antico Squero non è certo piaciuto il breve video iniziale annunciato come una rassegna stampa degli ultimi anni sul tema degli escavi: sul tappeto di una musichetta di pianoforte da thriller – il pezzo di Jacques Loussier è nella colonna sonora di “Bastardi senza gloria” – una carrellata di articoli di stampa che riportavano virgolettati di Di Marco con l’intento di voler mostrare quanto l’attuale realtà dei fatti sia distante da annunci e dichiarazioni da lui fatte in passato. Il numero uno di Ap ha contestato alcune cifre dello studio di Nomisma e poi ha sganciato un siluro contro Sapir e Cmc: «Sono proprietarie di casse di colmata piene per cui Ap paga un milione di euro di affitto all’anno e sono sotto sequestro in un’indagine giudiziaria che giudica quel materiale catalogabile come 3 milioni di metri cubi di rifiuti perché scadute le autorizzazioni specifiche. Se Sapir e Cmc svuotassero le casse chiedendo il dissequestro come spetterebbe a loro fare e come ho chiesto di fare ci sarebbero spazi per nuovi fanghi e poter dragare». Un augurio di Buon Natale, un saluto a braccia alzate e via verso il guardaroba per infilarsi il cappotto e andarsene. Quando ormai Di Marco aveva già lasciato la sala è stato Roberto Rubboli, amministratore delegato di Sapir, a replicare sostenendo che nulla alla data odierna preveda che quel materiale debba essere portato via: «Deve essere trattato a norma di legge sulla base delle opportunità previste dalla legge e la rimozione è una delle opportunità. La situazione attuale non è ostativa a un progetto e nel momento in cui esistesse un progetto a norma di legge sarebbe lo strumento giusto per dissequestrare l’area che non è confiscata».

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