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    Categoria: economia

Boom di disoccupati e cassintegrati: i dati «E col Jobs Act la contrazione continua»

L’analisi congiunturale della Cgil dall’inizio della crisi. «Con i voucher nuova frontiera della precarietà». Edilizia: lavoratori in calo del 55%

Nonostante gli incentivi alle assunzioni contenuti nella legge di stabilità entrata in vigore a gennaio 2015 e le norme contenute nel cosiddetto Jobs Act entrate in vigore a marzo, l’occupazione in provincia di Ravenna non è aumentata, anzi, in tutti i raffronti mese su mese tra il 2014 e il 2015 emerge una contrazione costante. Sono le conclusioni a cui è arrivata la Cgil di Ravenna, che ha presentato la sua indagine sull’andamento dell’occupazione dal 2008 al 2015.

«Il 2008 rappresenta l’anno in cui la crisi ha ufficialmente inizio – si legge nella nota del sindacato –. Le 561.087 ore di cassa integrazione autorizzate dall’Inps in provincia di Ravenna in quell’anno non si discostano molto dalle 487.916 del 2007 (rappresentando comunque un +15%), ma l’esplosione delle richieste del secondo semestre fa presagire il peggio. Da un riferimento storico di 600/800 persone mediamente sotto ammortizzatore in provincia, si passa alle 1.333 rilevate dall’ufficio studi nella prima rilevazione sistematica effettuata a novembre 2008. Da quel punto in avanti la situazione precipita, con medie spesso superiori alle 6.000 unità giornaliere in cassa integrazione e picchi anche oltre le 7.500».

Sempre nel 2008 si contano 18.753 persone in stato di disoccupazione, a fronte di 99.102 occupati dipendenti nei settori privati extragricoli. Due anni dopo, nel pieno della crisi, con 6.526 lavoratori mediamente in cassa integrazione ogni giorno e 6.604.956 ore autorizzate, le persone in stato di disoccupazione salgono a 25.315 e gli occupati scendono a 96.640. «Al termine del 2015 – rivela la Cgil – siamo di fronte ad una situazione che assume molti caratteri strutturali: gli occupati si stabilizzano attorno alle 97.500 unità (97.430 a settembre 2015 contro 97.649 di settembre 2014, ndr) e i lavoratori in cassa integrazione dopo l’ultimo picco di 4.633 rilevati a maggio 2014, si stanno via via stabilizzando attorno ad una cifra che oscilla attorno alle 2000/2500 unità. L’ultima rilevazione, effettuata il 30 gennaio 2016 conferma questa tendenza, rilevando 2.616 dipendenti esposti ad ammortizzatori sociali».

Meno imprese e meno posti di lavoro. Nel periodo che va dal I trimestre del 2008 al III trimestre del 2015 (ultimo trimestre per cui sono disponibili i dati diffusi dalla Camera di Commercio di Ravenna) le imprese attive registrate in provincia di Ravenna sono passate da 38.219 a 35.789 (-6,4%). Un trend costante di riduzione che, anche nel lieve miglioramento che si registra nella fase centrale del 2015, ricalca quello degli anni precedenti. Il confronto con il corrispondente trimestre del 2014 fa rilevare infatti una ulteriore flessione pari al 1,5%. I settori maggiormente interessati sono il manifatturiero (-24,6% nel periodo e -2,1% nel confronto 2014/2015), e i trasporti (rispettivamente -25,3% e -3,2%). Un discorso a parte meritano le imprese agricole, il cui calo numerico, pur considerevole (-20,8%) può essere almeno in parte controbilanciato da un aumento della dimensione aziendale media, fenomeno in crescita da qualche anno a questa parte.

Altro settore su cui la Cgil si sofferma è quello dell’edilizia. 1Sebbene il numero di imprese attive registrate in provincia abbia avuto un calo piuttosto contenuto (-3,8%) risulta molto più adeguata al contesto reale una lettura dei dati forniti dalla Cassa Edile di Ravenna che registra le aziende ed i dipendenti che operano sul territorio, indipendentemente dalla collocazione della sede legale. Come si può notare il ridimensionamento è drammatico, sia sul versante delle imprese operanti sul nostro territorio (-55,1%), sia su quello degli operai occupati (-55,6%). Questo dato, che pare oramai strutturale per il settore, va ad incidere pesantemente anche negli altri comparti che ad esso fanno riferimento, dal metalmeccanico alla ceramica. Il settore ceramico, in particolar modo, sta riemergendo dalla crisi attraverso profonde ristrutturazioni sia di processo che di prodotto che hanno avuto pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale, con 322 posti di lavoro persi fino ad ora (-23,7%) ed altri esuberi già dichiarati dalle aziende.

Preoccupano Off-Shore e Oil&Gas. Un fronte caldo di questi giorni è sicuramente rappresentato dal comparto dell’Off-Shore e dell’Oil&Gas, settore trasversale per eccellenza, che impegna, accanto ad Eni, oltre 500 imprese, suddivise tra diretto ed indotto. Una filiera che, a partire da Eni e dalle principali aziende contractors, multinazionali dell’energia con dotazioni tecnologiche, professionali e di know-how all’avanguardia nel settore, si allarga a svariati campi, dalla cantieristica, alla metalmeccanica, ai trasporti, ai servizi, costituendo un bacino occupazionale di oltre 7.000 lavoratori (dati 2014). Nel periodo 2009-2013 sono stati investiti da Eni nel distretto ravennate oltre 2 miliardi e 250 milioni di euro, in media più di 450 milioni annui. Volumi di investimento che sono in fortissimo dubbio per il futuro, sia a causa delle tensioni geopolitiche mondiali sul prezzo del greggio, che per le politiche economiche di Eni stessa (basti pensare al disimpegno nel campo della chimica attraverso la cessione di Versalis). «Il drastico taglio degli investimenti operati dal vertice della filiera (che hanno di fatto bloccato anche commesse già in essere) – continua la nota della Cgil – rischiano di allontanare definitivamente da Ravenna le multinazionali del settore (che hanno già attivato ammortizzatori sociali e strategie di disimpegno) e di portare al collasso il resto delle imprese dell’indotto».

Il porto che cresce. Per quanto riguarda il porto, il 2015 si è rivelato un anno positivo (vedi correlati) ma secondo la Cgil si tratta di un risultato che alla luce della situazione che sta vivendo lo scalo ravennate, «non può considerarsi come strutturale».

«Se da una parte è sempre più pressante la necessità effettuare gli escavi al fine di approfondire il fondale e mettere in cantiere i lavori di adeguamento delle banchine, per tenere il passo per quanto possibile con l’evoluzione tecnologica e progettistica delle navi di ultima generazione – spiegano dal sindacato –, dall’altra anche l’attività di normale manutenzione e dragaggio non può più essere rimandata. Non è ragionevole pensare di mantenere questi livelli di attrattività se a causa del fondale non adeguato spesso le navi sono costrette a effettuare parte dello scarico in altri porti o ad attendere in rada l’alta marea. Tutti gli interventi necessari a ovviare a queste lacune e a potenziare le infrastrutture del porto consentirebbero non solo di creare l’occupazione direttamente coinvolta nei lavori, ma anche di potenziare gli organici delle imprese portuali e periportuali e di favorire l’espansione dell’indotto che un maggior volume di traffici ovviamente comporta.

Oltre 26 milioni di voucher venduti: «La nuova frontiera della precarietà estrema». Dal 2008 ad oggi (I semestre 2015) in Emilia-Romagna sono stati venduti 26.292.197 voucher. «I dati – spiegano dalla Cgil – dimostrano quanto i costanti interventi legislativi in materia, quasi tutti in funzione de-regolatoria e di liberalizzazione di questo istituto, ne abbiano favorito una diffusione che è andata ben oltre le intenzioni (dichiarate) del legislatore. Nel 2014 i lavoratori retribuiti tramite voucher in Emilia-Romagna sono stati 119.007, pari ad una media di 25.344 lavoratori/anno («che vengono a nostro parere in maniera impropria conteggiati nelle statistiche sui lavoratori dipendenti», sottolinea la Cgil) ed hanno riscosso in totale 8.155.185 buoni, per un controvalore di oltre 80 milioni di euro «al di fuori di ogni tutela contrattuale». Ogni lavoratore, quindi, mediamente nel 2014 ha percepito 514 euro netti (685 lordi).
Questi voucher, inizialmente distribuiti esclusivamente dall’Inps (direttamente o in via telematica), dal 2010 in poi sono stati resi disponibili anche attraverso le tabaccherie, che rapidamente sono diventate il principale canale di vendita (nel I semestre del 2015 detengono oltre il 57% delle vendite). «Nel giro di 20 anni – commentano infine dal sindacato – si è passati dal monopolio pubblico del collocamento (l’inizio della fine è da più parti individuata nel Patto per il Lavoro del 1996 che introduceva il lavoro interinale) a un mercato del lavoro commercializzato alla stregua di sigarette e gratta e vinci».