Eni dopo il blitz sulla sua piattaforma «Noi operiamo nel rispetto delle leggi»

Una ventina di attivisti Greenpeace sono saliti sulla Agostino B
in mare a 15 km da Marina sostenendo che sia tra le più inquinanti

«Sull’inquinamento da idrocarburi nel Mediterraneo è utile ricordare che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60 percento tale inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40 percento dal traffico navale, che riversa in mare circa 150mila tonnellate annue di idrocarburi. Insignificante, invece, l’apporto dell’attività petrolifera, meno dello 0,1 percento». È la replica che Eni indirizza a Greenpeace dopo il blitz di una ventina di attivisti della Ong ambientalista sulla piattaforma metanifera Agostino B al largo di Marina (15 km dalla costa, alta 50 metri sul mare in un pondo dove il fondale è 22) per appendere due enormi striscioni contro le trivelle e a favore del sì nel prossimo referendum del 17 aprile. Nei pressi della piattaforma è intervenuta anche la guardia costiera: per gli attivisti quasi certamente scatterà una sanzione da duecento a mille euro.

Eni ha il suo quartiere generale del distretto centro-settentrionale in via del Marchesato a Marina e tutte le piattaforme nelle acque antistanti al tratto di costa ravennate fanno capo alla multinazionale italiana: «Dopo l’azione dimostrativa di Greenpeace, condotta peraltro in violazione delle norme di sicurezza stabilite dalla legge a tutela delle persone e degli impianti, ribadiamo l’adozione dei più elevati standard e linee guida internazionali nella gestione delle attività in tutti i contesti in cui opera, primo fra tutti l’ambiente marino». Dagli ambientalisti infatti arriva l’accusa precisa di piattaforme inquinanti. Greenpeace fa l’esempio specifico dell’Agostino B: «In funzione da 45 anni, oggi produce circa un quindicesimo di quanto produceva nel 1980, eppure le concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) registrate nei sedimenti che la circondato hanno superato i valori degli standard di qualità ambientale (identificati dal DM 56/2009) per ben 11 inquinanti nel 2011 e per 12 inquinanti sia nel 2012 che nel 2013».

Così replica Eni: «I nostri impianti offshore operano da sempre nel pieno rispetto delle leggi e delle prescrizioni vigenti. Rigidi controlli ambientali vengono eseguiti da Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dalle Capitanerie di Porto, coadiuvante dalle Arpa locali. I dati elaborati nello studio di Greenpeace sono stati estrapolati da tali rapporti di monitoraggio presentati da Eni al ministero negli ultimi 3 anni e relativi a 34 piattaforme. Nel merito di quanto riportato nel documento pubblicato da Greenpeace è necessario precisare che i limiti presi in considerazione da Greenpeace per le sostanze oggetto di monitoraggio non rappresentano limiti di legge definiti per valutare l’eventuale inquinamento derivante da una specifica attività antropica. Tali valori sono utilizzati da Ispra come riferimento tecnico nelle relazioni di monitoraggio dell’ecosistema marino circostante le piattaforme unicamente per valutarne le eventuali alterazioni, sulla base di un confronto con standard di qualità utilizzati per aree incontaminate. I limiti presi a riferimento da Greenpeace, ossia gli Standard di Qualità Ambientale definiti nel D.M. 56/2009 e D.M. 260/2010, sono utilizzati per definire una classificazione comune a livello europeo circa lo stato di salute di un ambiente incontaminato in corpi idrici superficiali e riguarda, pertanto, le acque marine costiere all’interno della linea immaginaria distante 1 miglio nautico (circa 1,8 km) dalla linea di costa, mentre tutte le 34 piattaforme, oggetto dell’analisi, sono ubicate ad una distanza dalla costa compresa tra 6 miglia (10,5 km) e 33 miglia (60 km)».

Le segreterie territoriali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil esprimono una ferma condanna per l’episodio: «Un gesto di questo tipo non ha alcun significato se non aggiungere uno slogan “da curva ultras” a una campagna referendaria dai toni già molto accesi e, spesso, privi della minima correttezza delle informazioni ai cittadini». L’atteggiamento di Greenpeace otterrà l’effetto contrario, secondo il vicesindaco di Ravenna Giannantonio Mingozzi: «Gran parte degli italiani hanno capito che questa consultazione è inutile e pericolosa per i tanti posti di lavoro che mette a rischio, per gli investimenti che si cancelleranno e per la qualità tecnologica e della ricerca che subiranno un colpo mortale». Condanna espressa anche dal Roca, l’associazione dei contrattisti ravennati dell’offshore: «Le aziende del settore offshore ravennate, composte da soci, dirigenti, lavoratori e famiglie condannano questo gesto e continueranno a sostenere la richiesta di astensione dal referendum, affinchè il tema energetico venga discusso nelle sedi appropriate e non affidato alla demagogia di pochi».

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