L’agonia delle coop Acmar e Iter, due colossi dai piedi di argilla

L’azienda ravennate (200 mln di buco) ha chiesto il concordato. L’impresa lughese rischia di lasciare a casa 114 addetti

Cantire costruzioniDi fronte a un precipizio profondo quanto gli oltre duecento milioni di euro del suo stato passivo, l’Acmar ha fatto domanda di concordato a inizio 2015: dopo l’adunanza in tribunale il 22 aprile scorso, i creditori della coop edile hanno 20 giorni di tempo per decidere se votare a favore o contro il piano dei commissari. Il progetto prevede di recuperare 184 milioni di euro attraverso una serie di manovre di liquidazione: 22 andranno alla continuità aziendale che oggi conta 47 cantieri aperti, gli altri 162 andranno in parte (78) per saldare i creditori privilegiati entro trenta mesi e il resto per saldare entro il 2020 il 40 percento dei 130 milioni di crediti vantati dai chirografari. I creditori dovranno votare e sarà sì al concordato oppure in caso contrario il destino dell’azienda si avvierà verso il fallimento.

Il piano elaborato dai commissari preoccupa non poco i sindacati: «La cooperativa – dicono Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil – già da quattro anni ha dichiarato un esubero di 130 lavoratori tra operai e impiegati che si è riuscito a evitare con i contratti di solidarietà e la cassa integrazione straordinaria, questa però scade il prossimo 28 ottobre e a oggi non si conoscono le intenzioni future. Nel piano concordatario è previsto alla fine della cassa integrazione straordinaria il licenziamento del personale in esubero. Oggi la cooperativa ha 260 lavoratori di cui la metà risulta sospesa dal lavoro con l’intervento degli ammortizzatori. La situazione è molto preoccupante, anche perché non si vede un piano industriale e di rilancio della cooperativa che possa far pensare a un miglioramento della situazione occupazionale prima della scadenza di ottobre». La direzione aziendale ha deciso, secondo i sindacati in modo unilaterale e inaspettato, di disdettare tutti i contratti aziendali in vigore.
Per questi motivi l’assemblea dei lavoratori dei giorni scorsi ha deliberato lo stato di agitazione con un pacchetto di ore di sciopero che verranno programmate se da parte della cooperativa non arriverà il ritiro della sospensione unilaterale del contratto aziendale e rassicurazioni sul futuro dei lavoratori: «Chiediamo il ripristino di corrette relazioni con il ritiro della disdetta dei contratti aziendali e risposte sul futuro che evitino i licenziamenti previsti e il ridimensionamento di questa importante realtà». Preoccupazione e rabbia «per la disdetta dei contratti aziendali che si somma alle altre iniziative aziendali non condivisibili, come l’assunzione di nuovi lavoratori in cantieri fuori dal Ravennate per mansioni di persone che oggi sono in cassa integrazione. Tutto questo mentre molti sono in cassa integrazione a zero ore con meno di 800 euro al mese e con due mesi di retribuzione non pagati, i quali saranno liquidati, secondo il piano concordatario, solo alla fine del 2018».

Cantiere edileLe promesse dell’azienda, fra commesse a Roma e lavori ferroviari

In occasione dell’ammissione al concordato preventivo in continuità, il 29 ottobre scorso, Acmar fece il punto della situazione sul futuro della cooperativa: «Fra le nuove acquisizioni, spiccano il secondo lotto del restauro di Palazzo Barberini a Roma, affidato alla controllata Gerso per un importo di 1,5 milioni e 6 milioni di euro per lavori di edilizia civile e infrastrutturale assegnati al Consorzio Ccc di Bologna da Rete Ferroviaria Italiana e da questi affidati ad Acmar. A seguito del provvedimento emesso dal tribunale si è interrotto il contratto di solidarietà fin qui utilizzato, e Acmar ha provveduto alla richiesta per l’utilizzo della cassa integrazione straordinaria della durata di un anno. Per 24 lavoratori inquadrati come metalmeccanici sarà invece attivata la mobilità. Questi ultimi sono una parte degli addetti del settore ferroviario che, quando è stato siglato l’accordo di cessione di ramo d’azienda alla Gcf, non hanno aderito al trasferimento del loro rapporto di lavoro a quest’ultima società».

Iter: gli ultimi 114 lavoratori rimasti in cassa integrazione sull’orlo del licenziamento

Il destino pare segnato con pochi margini di manovra rimasti: il 18 maggio si concluderanno gli ultimi tre mesi di cassa integrazione straordinaria in deroga per i 114 lavoratori che la coop Iter di Lugo ha ancora in provincia di Ravenna (altri 47 sparsi fuori regione sono stati licenziati il 18 febbraio) e il loro destino sarà il licenziamento con l’inizio del periodo di disoccupazione (18 mesi a 8-900 euro al mese). Secondo le prospettive delineate dai sindacati, rimarranno in forza alla cooperativa edile pochi amministrativi per gestire le pratiche verso la chiusura di quell’azienda che è stata un colosso delle costruzioni con 450-480 posti di lavoro nel 2007.
Lo scorso 12 febbraio nella sede della coop si è svolta l’assemblea sindacale con i lavoratori per illustrare i punti del verbale di accordo firmato in Regione e decidere le prossime iniziative. I lavoratori hanno sottolineato l’importanza che riveste la realizzazione del progetto industriale di Coopolis che prevede la costituzione di un ramo operativo attivo nel settore delle facility e delle manutenzioni immobiliari sia pubbliche che private che, nell’arco di un triennio, dovrebbe assorbire da una decina a una ventina di lavoratori di Iter.
L’assemblea ha riconosciuto la necessità di dare continuità alla vertenza aziendale dando mandato alla Fillea-Cgil di controllare l’effettiva esecuzione e monitorare la prosecuzione del piano industriale presentato da Legacoop che coinvolge Coopolis, sensibilizzare le forze politiche e le istituzioni sulle storture dell’attuale normativa sugli ammortizzatori sociali che, con le ultime modifiche, limita l’utilizzo in particolare della cassa integrazione straordinaria anche in presenza di soluzioni positive che permettono la rioccupazione dei lavoratori, programmare nuovi momenti di mobilitazione se i vari soggetti coinvolti non dovessero rispettare gli impegni presi.

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