Oltre duecento piadinari in provincia: un chiosco può valere anche mezzo milione

In sette casi su dieci l’attività è portata avanti da un’impresa famigliare e femminile. A Cervia e Milano Marittima affitti fino a 40mila euro all’anno. Concessioni “sold out” nelle zone più urbanizzate. Valentini (Cna): «Per i chioschi non è importante scrivere “piadina romagnola”, avevano già una loro identità senza la certificazione»

Chiosco

Foto Adriano Zanni

Sono oltre duecento i chioschi di piadina in provincia di Ravenna, di cui ben oltre la metà solo nei comuni del capoluogo e di Cervia. Per il 70 percento dei casi – secondo una stima Cna – si tratta di imprese famigliari (in genere composte da due persone) prettamente femminili. Ma con la recente possibilità di ampliare i chioschi anche oltre i 20 metri quadrati (i più piccoli e tradizionali non superavano i 10) non è raro che vi lavorino anche 4-5 persone.

Difficile stimare il giro d’affari, anche se alcuni dati possono rendere l’idea. A inizio aprile per esempio è stato pubblicato sui siti specializzati un annuncio di vendita di un chiosco lungo la statale Adriatica, nel Cervese, a 250mila euro. Stando a quanto ci hanno dichiarato alcuni addetti ai lavori, un chiosco in centro a Cervia o Milano Marittima può invece superare come valore stimato anche il mezzo milione di euro, con fatturati annui tra i 250 e i 300mila euro. E affitti che possono arrivare anche a 40mila euro all’anno.

A Ravenna, un chiosco di medie dimensioni è stato da poco trattato per cifre attorno ai 150mila euro, a fronte di fatturati che possono superare anche i 200mila euro, ma che in molti altri casi, nel capoluogo, non arrivano a 100mila euro. La differenza, oltre che la qualità della piadina, la fa la posizione. Che al momento però non è possibile scegliere, non essendoci concessioni disponibili su aree pubbliche, almeno nelle zone maggiormente urbanizzate o turistiche (i chioschi di piadina rientrano nella famigerata direttiva Bolkestein e recentemente tanti, tranne qualche raro caso, sono stati riassegnati tramite avviso pubblico).

Abbiamo chiesto a Jimmy Valentini, responsabile settore Alimentare della Cna della provincia di Ravenna, come sia finita la diatriba di qualche anno fa legata al marchio Igp, che aveva visto i chioschi schierarsi contro la certificazione che, di fatto, ha uniformato la loro piadina a quelle industriali. Anzi, a oggi, possono chiamare la loro “Piadina romagnola” solo i 4 chioschi sugli oltre 200 di tutta la provincia aderenti al consorzio che tutela l’Igp.

«Semplicemente – risponde Valentini – ci siamo resi conto che questo nella stragrande maggioranza dei chioschi non era un problema perché non utilizzavano la dicitura “piadina romagnola”: basta la parola “piadina” e magari neanche quella, qui in Romagna, dove i chioschi hanno già una loro identità. Che siano a strisce bianco-rosse (come a Cervia, ndr), bianco-verdi (come in particolare a Ravenna, ndr) o bianco-azzurre (in alcune zone del mare, ndr), poco cambia. Si sa che lì puoi trovare la piadina romagnola. Al momento, come Cna, abbiamo un rapporto positivo con il Consorzio Igp che prevede per quei chioschi che lo vogliano un percorso di certificazione a costi minori e con meno burocrazia. Anche per i chioschi, infatti, l’Igp potrebbe comunque essere un valore aggiunto alla propria attività».

Notizia di questi giorni è anche la sentenza del tribunale europeo che ribadisce come “piadina romagnola Igp” debba essere prodotta (e confezionata) solo in Romagna. «La sentenza ha ribadito un’ovvietà – dice Valentini –, nel senso che il regolamento Igp europeo è una caratteristica di protezione territoriale, e se ci fosse stata una sentenza diversa sarebbe probabilmente crollato tutto il “castello” di tutte le protezioni europee: per questo credo che sia stato azzardato anche solo far arrivare a giudizio la vicenda. Piuttosto mi colpisce e mi dispiace che il ricorso sia arrivato dall’Italia (e in particolare un’azienda modenese), che con il marchio Igp invece può essere tutelata all’estero».

Una questione da sempre aperta è quella legata ai regolamenti, tra consumo sul posto e somministrazione. «Al momento con i Comuni di Ravenna e Cervia la situazione è abbastanza chiara e soddisfacente – continua Valentini –: oggi si è raggiunto un equilibrio tra la tradizione del chiosco, l’esigenza di mettere a sedere la gente e quella di non danneggiare bar o altri locali vietando la somministrazione di caffè o vino, per esempio, o vincolando Ravenna e Cervia a proporre solo piadine e crescioni, senza fare diventare i chioschi dei bazar (caso a parte è quello di Faenza, dove i chioschi sono di tutt’altro genere e vendono anche pizze e altri generi alimentari, ndr)».

Particolarmente soddisfatto per l’atteggiamento del Comune è il responsabile per Confartigianato di Cervia, Raffaele Biguzzi. «Negli ultimi anni l’Amministrazione ci è venuta incontro su suolo pubblico e ampliamento dei chioschi. D’altronde in questi anni la nostra attività (Biguzzi ha un chiosco a Pinarella, ndr) ha continuato ad espandersi, andando incontro alle esigenze dei turisti e delle famiglie che, con la crisi, potevano, e possono, consumare un pasto completo a 20 euro per due adulti e due bambini, all’aria aperta. La nostra clientela – termina Biguzzi – è di tutti i generi e negli ultimi anni ci siamo organizzati per intercettare anche i clienti musulmani, con piadine senza strutto, che per motivi religiosi non possono mangiare, ma con l’olio d’oliva…».

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