Dal vino all’alcol: la “cantina più grande d’Italia” alle prese con l’emergenza

Caviro ha continuato a lavorare in queste settimane, salvando il fatturato di grande distribuzione ed esportazioni. All’orizzonte un nuovo business nel mondo dei disinfettanti

Carlo Dalmonte Presidente Confcooperative Ravenna

Carlo Dalmonte, presidente Caviro

Era il 24 febbraio quando il premier Giuseppe Conte avrebbe dovuto far visita alla Caviro di Faenza, la “cantina più grande d’Italia”, come si autodefinisce, forte del conferimento di quasi 13mila viticoltori da sette regioni del nostro paese. Una visita invece annullata per l’emergenza coronavirus che in quei giorni stava iniziando a mettere piede in Italia. «Avevamo lavorato parecchio per organizzare quella visita – ricorda il presidente Carlo Dalmonte – e non ci potevamo immaginare neanche lontanamente quello che ci stava aspettando. Abbiamo attraversato una tempesta senza precedenti e purtroppo non è ancora finita».

Caviro la tempesta l’ha attraversata però continuando a lavorare, grazie a buone prassi già diffuse nei propri stabilimenti, per via anche delle grandi dimensioni, affiancate ad altre resesi necessarie in queste settimane per poter proseguire l’attività. Distanziamenti, dispositivi di protezione, misurazione delle temperature a tutti, isolamento di intere aree di lavoro, tappetini imbevuti di disinfettante come nelle piscine, per pulirsi le scarpe, santificazioni straordinarie. «Tutto questo ha portato ovviamente a un aumento dei costi – continua Dalmonte –, ma così siamo potuti andare avanti, anche negli stabilimenti nelle zone cosiddette rosse, come quello di Treviso o di Quinzano D’Oglio (in provincia di Brescia, ndr). Con la tutela della salute sempre al primo posto». Al punto che l’esperienza di Caviro (così come quella di altre grandi aziende che in questo periodo hanno proseguito l’attività in sicurezza) è stata studiata in questi giorni anche dai tecnici che stanno elaborando con il Governo la cosiddetta fase 2, quella della ripartenza.

«La mia opinione è che bisogna programmare la ripartenza il prima possibile – continua Dalmonte rispondendo alla nostra domanda sul tema –: qui il rischio è che la crisi economica diventi sociale. Per farlo, mi concentrerei sulle procedure, sul fare lavorare chi può garantire il rispetto delle distanze, i dispositivi, le protezioni…».

Gruppo Caviro 3 Stabilimento ForlçIl vino, per tornare al core business di Caviro, in queste settimane di crisi, pare essere diventato un bene ancor più essenziale per molti italiani… «Il mondo del consumo a casa, cioè quello della grande distribuzione, non è andato male. Anzi, si può dire che ci sia stato un aumento, stando ai numeri del mese di marzo. Fortunatamente per noi, che siamo più orientati e impegnati in questo settore. Tutto il resto, quello che ha a che fare con il tempo libero, i bar e i ristoranti, si è azzerato: una catastrofe. E l’obiettivo ora deve essere quello di ritornarci, alla convivialità: noi italiani, in particolare, siamo quella roba lì… Non so come e quando, mi immagino con le dovute distanze, magari su appuntamento, ma bar e ristoranti torneranno a far parte della nostra quotidianità». Magari anche con altri accorgimenti, come per esempio le bottiglie di vino di piccoli formati praticamente mono-uso. «Era già un trend molto interessante prima della pandemia. Noi avevamo già lanciato il Tavernello da 0,25 l, o il Leonardo da 0,187, che è di fatto un calice: immagino che ora potrebbe esserci più richiesta».

Tavernello che continua a funzionare anche nel campo delle esportazioni. «A fine marzo il nostro rapporto con l’estero in effetti non è stato sconvolto, seppur con tutte le difficoltà del caso, legate ai trasporti, gestendo emergenze quasi tutti i giorni, in uno slalom di difficoltà a partire dall’approvvigionamento di materie prime come vetro, tappi, gabbiette, etichette. Ma con i nostri paesi di riferimento – Regno Unito, Germania o Giappone – gli affari continuano ad andare bene».

All’orizzonte si profila anche un nuovo settore, per Caviro, già impegnato anche nel campo delle energie alternative. «La pandemia ha evidenziato una grande necessità di disinfettanti, con l’alcol denaturato necessario per realizzarli che non si trovava più. Il Paese ne ha bisogno in quantità molto maggiori. Noi ne produciamo nel nostro stabilimento di Faenza e in queste settimane ci siamo attrezzati per ottenere i permessi e poterlo vendere a piccoli lotti, altri ne abbiamo donati alle farmacie. Si potrebbe quindi aprire un nuovo filone economico per la nostra azienda».

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