«Non è il momento per veti o rinunce: servono sia fonti fossili che rinnovabili»

Parla il presidente Bozzi di Confindustria: «Ridurre la dipendenza dalla Russia non farà scendere le tariffe, serve un tetto al prezzo del gas». Gli Industriali a favore del rigassificatore già 16 anni fa: «Ora saremmo più indipendenti»

Rimini, 23/11/2021; Assemblea Confindustria Romagna ©Riccardo Gallini/GRPhoto

Roberto Bozzi

Non sono tempi in cui fare le bucce sulle scelte di politica energetica. Si può sintetizzare così la visione di Roberto Bozzi, presi- dente di Confindustria Romagna, sul periodo di crisi per i rialzi delle tariffe del gas e di conseguenza di tutta l’energia in generale che serve nelle case e nelle industrie. Investire sulle rinnovabili deve essere un obiettivo primario, dice il consigliere delegato della Vulcaflex di Cotignola. Ma lo stato attuale – in cui si cerca di ridurre la dipenden- za dalle importazioni russe prima di tutto per evitare un finanziamento indiretto all’invasione ucraina – richiede di mettere in campo tutte le mosse possibili perché nel breve periodo non si possono sostituire gli idrocarburi con il green.

Presidente, ci sono stime che possono fotografare l’impatto avuto finora dal combinato guerra-speculazioni sulle industrie del tessuto economico locale?
«Il caro energia è stato accentuato dalla guerra, ma era esploso già nella seconda metà del 2021. Considerando che l’approvvigionamento del gas metano è un problema prettamente europeo e segnatamente italiano, c’è forte preoccupazione soprattutto per quelle aziende che esportano e subiscono un gap di competitività all’estero: a una settimana dall’inizio dell’in- vasione tra le nostre associate quattro aziende su dieci prevedevano un calo di fatturato estero fino al 20 percento. Le nostre imprese stanno facendo sforzi importantissimi, e forse non abbastanza percepiti, per assorbire gli aumenti stratosferici di questi mesi: finora sono riuscite a non scaricarli sul consumatore finale, motivo per cui l’inflazione è rimasta più sotto controllo qui rispetto ad altri Paesi, ma il margine si assottiglia ogni giorno di più».

Da tempo si parla di crisi delle energie da fonti fossili. Ma le imprese hanno davvero creduto nelle rinnovabili o l’iniziativa privata poteva fare di più?
«Entrambe le cose: le imprese ci hanno creduto e avrebbero potuto fare di più se non fossero state imbrigliate in autorizzazioni decennali e iter eterni. L’energia green è una vittima illustre dei famigerati lacci e lacciuoli della burocrazia: oggi si fanno provvedimenti per snellire e velocizzare, ma dovevamo proprio arrivare all’emergenza totale?».

Agnes

Rendering parco eolico

Il settore oil&gas italiano è in stallo da tempo. Se ci fosse una politica che volesse incentivare la ripresa delle estrazioni a pieno ritmo, a quanto potrebbe arrivare la produzione italiana che oggi vale 3,4 miliardi di mc annui?
«Le stime più prudenziali parlano di almeno cento miliardi di metri cubi potenziali nei giacimenti nazionali: i calcoli delle riserve vengono fatti sulla base di parametri economici certi e delle valutazioni geologiche, nella cornice legislativa attuale. Se cambiasse la legge, cambierebbero le stime. Per avere un ordine di grandezza possiamo tenere presente che nel 2021 il fabbisogno nazionale è stato circa di 70 miliardi di mc».

Nel 2021 il fabbisogno di gas dell’Italia è stato coperto per il 38 percento con le importazioni dalla Russia. Per ridurre la dipendenza da Mosca servirà trovare un altro fornitore da cui importare. Vorrà dire quindi spostarsi da una dipendenza a un’altra?
«La cura dalla dipendenza è la diversificazione: occorre sì trovare altri fornitori, ma anche attrezzarsi nel frattempo a livello domestico con rilancio dei giacimenti esistenti, valutazione di nuove esplorazioni, accelerazione decisa sul fronte delle energie rinnovabili».

Riuscire a ridurre la dipendenza dalla Russia sarà garanzia di tariffe del gas più basse per imprese e famiglie italiane?
«No, perché il prezzo del gas dipende principalmente dalle contrattazioni che vengono scambiate sulla piazza europea, alla borsa Ttf di Amsterdam. Riuscire a ridurre la dipendenza dalla Russia significherà smettere di finanziare indirettamente l’invasione in Ucraina».

Il “Sole24Ore” riporta che l’utile netto di Eni nel primo trimestre 2022 è stato 3,27 miliardi di euro rispetto ai 270 milioni del primo trimestre 2021. Vista l’emergenza e vista la natura di azienda a partecipazione pubblica, non sarebbe più logico aspettarsi una decisione dello Stato per una limitazione alle speculazioni?
«Sono le dinamiche dei mercati: Eni non guadagna speculando, ma applicando la legge e i prezzi di mercato fissati sulla piazza di Amsterdam».

Andrebbe introdotto un tetto al prezzo del gas?
«Sì. L’obiettivo resta per noi un prezzo comune regolato del gas che tuteli il continente su un piano della sicurezza degli approvvigionamenti e la competitività industriale da condizioni economiche abnormi e molto diverse dai reali contratti di ap- provvigionamento. Ma se non si riesce a ottenerlo a livello europeo, ci sono Paesi che sono riusciti a ottenerlo con accordi singo- li, come Spagna e Portogallo».

Piattaforma Gas OffshoreTra le ipotesi sul tavolo per ridurre le importazioni russe ha un peso importante il rigassificatore. Chi lo critica dice che rientra ancora nel perimetro delle risorse fossili. Rischiamo di perdere ancora un’occasione di vera evoluzione, in nome della necessità di fare presto?
«Come sempre la virtù sta nel mezzo. In questo momento, e per anni, serviranno sia le fonti fossili sia le fonti rinnovabili. Siamo in una terra di mezzo in cui non possiamo permetterci veti o rinunce: nessuno si è evoluto restando al buio o al freddo. Ora ar- riva la bella stagione e certo in casa abbiamo spento i riscaldamenti, ma continuiamo a cucinare, a viaggiare, a vivere. È erro- neamente passato l’assunto che, nella corsa alle rinnovabili, dovessimo smettere di ricercare in mare e in terra gas italiano per estrarlo e consumarlo, e abbiamo lasciato farlo agli altri, aumentando le importazioni con impatti negativi su ambiente e bol- lette. La quota di rinnovabili deve certamente crescere e progressivamente sostituirsi alle fonti fossili, ma i tempi di questa crescita non sono compatibili con la necessità di sostituire in pochi mesi nella produzione elettrica la quota di gas russo che importiamo».

Sul fronte Gnl c’è già un presidio importante a Ravenna che è il deposito Edison-Pir, il primo in Italia. Quali ri- scontri sta avendo nell’ambiente industriale?
«La direttiva europea per la decarbonizzazione del trasporto marittimo incoraggia l’installazione di motori a gas sulle navi per contenere le emissioni: questo è il primo deposito small scale in Italia e sicuramente pone il porto di Ravenna in una posizione di avanguardia».

L’ultimo incontro a Bologna tra Bonaccini, Cingolani e De Pascale si è concluso con una esplicita volontà verso un rigassificatore al largo di Ravenna. Confindustria approva. Sembra di tornare indietro nel tempo: in città se ne parlò per la prima volta tra 2006 e 2008, più di sedici anni fa. E Confindustria già approvava. Se si fosse fatto all’epoca, oggi in che scenario saremmo per l’Italia e per Ravenna?
«Saremmo meno dipendenti dal gas russo, e saremmo più pronti con infrastrutture che non si costruiscono certo in un giorno. Lo stesso ragionamento vale sulle rinnovabili: come sarebbe se avessimo l’hub Agnes già oggi? Ancora una volta, allora come oggi, la chiave è la diversificazione, che è l’Abc di ogni investimento per ridurre la propria esposizione, mediando così il rischio di eventuali imprevisti e difficoltà».

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