giovedì
26 Giugno 2025
scienza ecologica

Tecnopolo: si studia il carbone per ripulire aria, acqua e terra

Le ricerche condotte dal team guidato da Andrea Contin nei laboratori di Marina di Ravenna sfruttano pirolisi e materiale vegetale per il disinquinamento

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Tecnopolo Ravenna Foto Gruppo
Foto Gruppo dei ricercatori del Tecnopolo di Marina di Ravenna diretto dal professore Andrea Contin

Da simbolo stesso d’inquinamento, il carbone sembra destinato a trasformarsi in uno strumento per la tutela dell’ambiente. Al Centro di Ricerca Energia Ambiente e Mare di Marina di Ravenna, una delle sedi del Tecnopolo di Ravenna, di cui Fondazione Flaminia è soggetto gestore, lavora il gruppo di ricerca guidato dal professor Andrea Contin che da un anno e mezzo ormai sta studiando e modificando prodotti carbonizzati di origine vegetale per ottenere diversi risultati, in massima parte legati al disinquinamento.

«Il nostro materiale carbonizzato – ci racconta Contin, a cui chiediamo di rendere accessibile anche ai profani il senso della ricerca – è ottenuto con apparecchi speciali che ci permettono di produrre il materiale velocemente e soprattutto di variarne i parametri per renderli adatti a scopi particolari». Il primo di questi scopi è quello di estrarre sostanze nocive o nutrienti, per esempio da acque inquinate, processo che ha anche l’effetto secondario, ma niente affatto trascurabile, di depurazione. Tra gli impieghi principali c’è quello in agricoltura. «Nell’ambito del Pnrr – prosegue Contin – stiamo cercando di produrre cristalli all’interno dei carboni, composti di magnesio, fosforo e azoto. Questi cristalli, composti da nutrienti per le piante, hanno il vantaggio di essere a lento rilascio e possono essere assorbiti dalle radici di qualsiasi pianta, evitando così l’effetto del dilavamento che in genere riguarda la metà del fertilizzante impiegato». Un’innovazione che ha già dato risultati importanti. «Stiamo facendo esperimenti al centro di ricerca vinicolo di Tebano e abbiamo al momento registrato una mag- giore produttività dei terreni del 20 percento», dice Contin.

Tecnopolo Ravenna Ricercatrice
Una ricercatrice al lavoro nei laboratori del Tecnopolo

Un effetto secondario non trascurabile, soprattutto se si pensa che il tutto è reso possibile da materiali prodotti con un procedimento, la pirolisi appunto, che può essere energicamente nullo. «Il materiale, che oggi normalmente viene bruciato a terra dagli agricoltori, viene riscaldato a 500 °C in assenza di ossigeno. In questo modo si decompone lasciando oltre al residuo solido di carbone un residuo gassoso che in parte diventa oleoso e che può in entrambe le forme essere utilizzato per produrre l’energia che serve al processo stesso». A questo si aggiunga un altro elemento fondamentale: «Tramite questi carboni di fatto operiamo un sequestro della CO2 dall’aria. Le piante catturano il gas direttamente dall’atmosfera per crescere. Il carbone vegetale contiene parte di questo carbonio che se immesso nel terreno, vi resta per decine o centinaia di anni. Stiamo anche lavorando a biocombustibili di nuova generazione prodotti da olio e gas da pirolisi. In questo caso, l’uso del carbone nel suolo rende i processi negativi rispetto alla CO2 e quindi potrebbero ambire ai “crediti verdi”».

Le potenzialità sono quindi evidenti e auspicabile è l’applicazione su ampia scala del lavoro del team di ricerca che oggi conta quattordici persone, molte provenienti da Scienze Ambientali di Ravenna ma non solo, data la necessità di molteplici e variegate competenze. Anche per- ché l’ambito di questi studi non si ferma all’agricoltura. «Con Eni Rewind stiamo usando quegli stessi carboni funzionalizzati in modo diverso perché siano in grado, per esempio, di assorbire la parte oleose o idrocarburi da falde acquifere o terreni inquinati. Inoltre, insieme al dipartimento di Biotecnologie stiamo studiando come inserire nei carboni batteri in grado di “mangiare” gli idrocarburi per poterli poi usare a fini energetici», ci dice ancora Contin. Impieghi di questo tipo sono già in corso a Rimini, Marghera e Priolo e chissà che in futuro non possano arrivare anche sul territorio ravennate. Terza “modifica” che si sta studiando è quella dei “carboni magnetici” che dovranno essere in grado, una volta sepolti nei terreni inquinati, di attirare metal- li pesanti e nocivi per poi immobilizzarli e renderli innocui.

Insomma, da sinonimo e simbolo di inquinamento, il carbone così ottenuto e modificato sembra destinato a diventare uno strumento che ci aiuterà a ripulire acque, terra e aria.

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