La raccolta 2024 dei cereali delle sette Cooperative Agricole Braccianti (Cab) della provincia di Ravenna si è chiusa con un totale di 22.952 tonnellate, in ripresa rispetto al 2023, ma non ancora ai livelli del 2021 e 2022.
Le Cab segnalano che, secondo le stime dell’Unione Europea, la produzione di cereali italiana di quest’anno è prevista in calo di circa il 10 percento, ma per le Cab il discorso è differente visto che l’alluvione in Romagna del maggio 2023 aveva provocato il crollo della resa media per ettaro (3,99 ton/ha), una situazione che è decisamente migliorata nel 2024 con un valore medio tornato pari a 6,52 tonnellate per ettaro.
La prima rilevazione dei cereali nelle Cab risale al 1974; nel corso di questi 50 anni emerge evidente l’aumento progressivo della capacità produttiva, per un delta finale pari al 43 percento, sebbene la superficie dedicata sia calata del 9 percento. In totale le Cab in provincia hanno 12mila ettari di terreno, di proprietà o in conduzione.
«L’enorme sforzo messo in campo all’indomani della calamità, per il ripristino dei seimila ettari di terreno alluvionato con mezzi e personale specializzato, ha consentito infatti un recupero importante seppur non ancora definitivo della coltivabilità».
Da un’analisi più approfondita delle produzioni cerealicole delle Cab ravennati appare la predominanza di colture destinate alla filiera delle sementi, che ha raggiunto i 3.519 ettari, di cui 1.619 al grano tenero, 1.685 al grano duro e 215 all’orzo. Della superficie totale, il 12 percento è condotta con il metodo biologico, mentre la restante è coltivata in produzione integrata.
Stefano Patrizi, presidente di Promosagri, la cooperativa di consulenza e servizi aderente a Legacoop a cui le Cab sono associate, segnala la conferma di alti costi di produzione (carburanti, concimi, fitofarmaci, sementi, manodopera, ammortamento macchine, oneri vari) mentre sui mercati internazionali i prezzi dei cereali continuano ad attestarsi su livelli insufficienti a coprire i costi di produzione: «Dondizione inaccettabile per chi si occupa della produzione alimentare di un Paese.