Il ministro dell’Ambiente ha scelto di abrogare il piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, noto anche con l’acronomimo Pitesai, una sorta di piano regolatore delle estrazioni di metano e petrolio voluto dai Cinquestelle ai tempi del governo Conte I e entrato in vigore nell’autunno 2021 con il governo Draghi. La legge prevedeva la realizzazione di una mappatura delle aree idonee o meno all’estrazione di idrocarburi sul territorio e sui fondali del mare nazionali. Il Piano ha accumulato una serie di vincoli diversi che incrociati tra loro hanno reso la maggioranza del territorio italiano di fatto “non idonea”.
Una recente sentenza del Tar del Lazio aveva annullato la procedura del Pitesai ma non la legge stessa, offrendo al ministero l’opportunità di correggere il tiro. Anziché opporsi alla decisione del Tar con un ricorso al Consiglio di Stato, il ministero ha scelto di abrogare completamente il Pitesai.
«Con questo atto si spalancano le porte alle estrazioni di gas fino a 9 miglia dalla costa – dice il senatore Marco Croatti (M5s) – in un contesto in cui, ironicamente, i dati mostrano una riduzione della domanda e del fabbisogno di nuovi giacimenti. A nulla sono servite le “marchette” propagandistiche che tentano di mascherare il tutto come un intervento necessario per la sicurezza energetica del Paese: la verità è che l’abrogazione del Pitesai rappresenta una resa incondizionata agli interessi delle grandi compagnie del gas e petrolio, che ora non trovano più alcun ostacolo».
Secondo Croatti le conseguenze di questa scelta non si faranno attendere: «Non solo si apre la strada a nuove trivellazioni in aree marine precedentemente protette, ma si fa anche un passo indietro rispetto agli impegni climatici presi dall’Italia in sede europea e internazionale. La transizione ecologica, che il ministro stesso ha più volte ribadito essere una priorità, appare ora sempre più lontana, se non del tutto abbandonata. Il decreto legge appena approvato non dà alcuna garanzia che queste nuove estrazioni possano effettivamente portare benefici significativi, e sembra soltanto un pretesto per accontentare le lobby energetiche, mentre la riduzione della domanda di gas continua inesorabilmente».
Il decreto Ambiente firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin (licenziato dal Governo e atteso al vaglio del Parlamento) riduce dalle attuali 12 miglia a 9 la distanza dalla costa entro cui non è possibile la ricerca e la coltivazione di gas in mare, a patto che si tratti di pratiche già sotto esame del ministero per lo Sviluppo economico e in cui siano state stimate riserve notevoli, superiori a 500 milioni di metri cubi. Si tratta, in sostanza, di una norma che intende incentivare le estrazioni in alto Adriatico, quasi al confine delle acque territoriali affacciate sui Balcani, l’unico luogo dove sono note tali quantità.
«Meglio tardi che mai – aveva esultato Giannantonio Minguzzi, esponente del Pri e da sempre fervente sostenitore dell’attività estrattiva –. L’intenzione di aumentare la produzione di gas nazionale è sacrosanta, come Repubblicani l’abbiamo sempre auspicata anche a fronte del rischio che i Paesi dell’altra sponda prosciughino le risorse italiane, pur non avendone diritto; il costo dell’energia minaccia di salire ancora, particolarmente in vista della stagione invernale, e questo per famiglie e imprese sarebbe un nuovo salasso».