domenica
27 Luglio 2025
Intervista

«Un altro modello di sviluppo è possibile, al centro va messa la lotta alle disuguaglianze»

L’economista Felice: «I dazi di Trump avranno conseguenze catastrofiche. Le sanzioni iniziali alla Russia sono state troppo blande»

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Emanuele Felice è docente di storia dell’economia allo Iulm di Milano e autore del libro “Manifesto per un’altra economia e un’altra politica”. È stato responsabile nazionale dell’economia per il Pd. Felice sarà il 29 luglio al Parco Pertini di Cotignola, alle 21.30 nell’ambito della Festa dell’Unità, per parlare del suo libro.

Il suo saggio invita a ripensare radicalmente il nostro modello economico e politico. Quali cambiamenti sono necessari?
«Prima di tutto occorre un cambiamento culturale: comprendere che l’economia non è un sistema di leggi immodificabili, come la fisica o la chimica, bensì una costruzione storica che riflette sempre rapporti di potere. Se non saranno la politica democratica e un’etica dei diritti a guidarla, lo faranno altri interessi. Questa economia, che va a vantaggio di pochi e a scapito dei più, si può cambiare in meglio, come è già accaduto nella storia. Nel merito, nel libro ci sono molte proposte. In sintesi, occorre un’economia che ponga al centro la lotta alle disuguaglianze, la tutela dell’ambiente, la diffusione di innovazione, conoscenza e istruzione universale di qualità; la riforma del sistema economico globale per contrastare la speculazione finanziaria, salvando la cooperazione internazionale; e che sia strutturata in modo da avere come principi vivificanti la partecipazione e la cooperazione, accanto alla competizione. E non basta. Insisto molto sul fatto che, per conseguire questi obiettivi, occorra cambiare anche la politica: abbiamo bisogno di una classe politica che sappia guidare lo sviluppo economico e tecnologico e non sia invece alla loro mercé; una politica competente e consapevole, animata anche da grandi ideali, che non sono affatto morti, anzi, e autonoma dai poteri economici».

L’attuale modello capitalistico ha aumentato le disuguaglianze sociali. Come è possibile raggiungere una democrazia economica globale?
«Le crescenti disuguaglianze sono la critica principale che muovo all’attuale modello di sviluppo. Ma non c’è solo questo. Nel libro evidenzio anche la distruzione dell’ambiente che questo modello comporta, il rischio di una guerra mondiale cui stiamo andando incontro e i motivi economici che vi sono dietro, ovvero la rivalità fra Cina e Usa e l’incapacità di intaccare la speculazione finanziaria, che porta gli Stati a concentrarsi sulla guerra commerciale. Questo modello ha condotto alla crisi della democrazia in Occidente: la deriva degli Usa con Trump è il risultato di quasi mezzo secolo di politiche liberali. Mentre in Oriente si sposa con le autocrazie e le legittima. Peraltro l’attuale sistema comporta meno crescita e benessere di quanto un modello alternativo, come quello che cerco di delineare nel libro, può invece generare. Per il resto propongo cambiamenti graduali e progressivi, che correggano radicalmente tutti questi aspetti critici e favoriscano una maggiore partecipazione e cooperazione a livello globale. A partire dalle istituzioni internazionali che abbiamo costruito dopo la Seconda guerra mondiale e che oggi vanno non solo difese, ma ampliate e rafforzate, se vogliamo sperare di evitare una nuova guerra mondiale e affrontare con successo le grandi sfide che l’umanità a davanti a sé. Io, per natura e formazione, cerco di stare con i piedi per terra: non credo nelle proposte irrealizzabili, ma credo nella possibilità di migliorare in concreto quello che c’è, avendo però una stella polare, un orizzonte di speranza che faccia da guida. Questa stella polare che orienta la politica progressista può essere oggi l’ideale di una Costituzione della Terra».

Lei è stato responsabile economia del Pd durante la segreteria Zingaretti. Un giudizio su Elly Schlein?
«È positivo. Credo di condividere con Schlein la visione di fondo sui principali problemi che abbiamo di fronte e sulla strada da intraprendere. Difatti l’ho sostenuta al congresso, per quel che vale. Anche nel merito delle scelte concrete, mi sembra una persona coraggiosa e battagliera. Poi certo, guidare il Pd e provare a cambiarlo non è semplice, lo so bene, ci sono passato anch’io».

La destra, sia a livello globale che nazionale, si sta sempre più radicalizzando e sembra riuscire ad arrivare meglio alla “pancia” dei cittadini rispetto alla sinistra. La sua ricetta per recuperare consenso?
«Cambiare le politiche economiche investendo risorse a favore dei più deboli, per combattere le disuguaglianze. Realizzare una transizione ecologica che sia socialmente sostenibile, riattivare l’ascensore sociale tornando a dare speranza alle persone e ricomponendo la frattura che si è creata in questi decenni fra élite e popolo».

Quali saranno le conseguenze dei dazi di Trump sull’economia italiana ed europea?
«Temo catastrofiche, contrariamente a quel che il nostro governo ha cercato di far credere. Noi peraltro siamo uno dei Paesi più esposti ai dazi americani, con una percentuale di esportazioni più alta della media Ue. Le stime di Svimez parlano di 150mila posti di lavoro a rischio, nell’ipotesi di tariffe al 30 percento. Ci aspetta un periodo molto duro, che si tradurrà in una recessione economica, di cui già ci sono tutti i segni. Di questo, peraltro, l’attuale governo italiano, con la sua politica di arrendevolezza verso il tycoon, è in parte responsabile assieme alla commissione di Von der Leyen: la strategia dell’appeasement non funziona, anzi sortisce l’effetto opposto».

Le sanzioni alla Russia avevano l’intenzione di mettere Putin in ginocchio, ma non pare stia succedendo. Cosa ne pensa?
«All’inizio le sanzioni sono state troppo blande. Rivendico di essere stato fra i pochissimi, in Italia e in Occidente, ad averlo detto e scritto fin dall’inizio, nel 2022: allora c’era una finestra in cui il regime di Putin poteva effettivamente cadere e andava sfruttata con sanzioni ben più dure e coraggiose di quelle che furono ottimisticamente varate. A quel tempo si vollero adottare misure graduali, per dare alle nostre economie più tempo per adattarsi; dicendo però che avrebbero messo in ginocchio Putin in pochi mesi: si è visto! Il risultato è che quel tempo in più fu sfruttato innanzitutto dal regime di Putin. Si è trattato di un errore molto grave, di hybris, commesso dalle classi dirigenti europee e nordamericane nel loro insieme, con ben poche eccezioni. E al quale ormai mi pare sia difficile porre rimedio. Oggi quella russa è un’economia di guerra, autonoma dal punto di vista agricolo ed energetico e per il resto sostenuta dalla Cina, che è la maggiore potenza industriale del mondo; e il regime di Putin ha superato lo sbandamento iniziale, dopo che la presa di Kiev era fallita».

In Emilia-Romagna c’è un forte movimento cooperativo, a cui ha spesso fatto riferimento come modello positivo. Per quali motivi?
«Il benessere diffuso di cui ancora godiamo in Emilia-Romagna è in parte il risultato della cooperazione, benché anche su questo modello si addensino nubi piuttosto serie, a partire dalle conseguenze della crisi ecologica. Nei suoi tratti migliori, il movimento cooperativo è riuscito a coniugare benessere, libertà ed equità, perché alla competizione ha affiancato il mutuo aiuto e la partecipazione. Sono proprio i tre ingredienti di una buona economia, alternativa al modello dominante».

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