In Romagna era doveroso avere in credenza il “ferro”, oggi soppiantato dallo schiacciapatate
La cucina romagnola, forte di una tradizione secolare, sa da sempre valorizzare al meglio ingredienti semplici, trasformandoli in piatti meravigliosi. Tra questi spiccano due minestre in brodo, simbolo dell’identità gastronomica della regione: i passatelli e la tardura.
La prima, oggi considerata immancabile nei giorni di festa, soprattutto sulle tavole della Pasqua, nasce come piatto di recupero nelle case contadine. Gli ingredienti fondamentali (il pangrattato, il formaggio stagionato grattugiato, il midollo, le uova, la noce moscata e in qualche versione anche la scorza del limone grattugiata) erano sempre presenti nelle dispense romagnole e venivano utilizzati per creare un impasto da passare attraverso il tipico ferro per passatelli, dando loro la caratteristica forma cilindrica e rugosa. L’origine del nome deriva proprio dal gesto di “passare” l’impasto attraverso il ferro.
Una delle prime testimonianze scritte sui passatelli risale all’Ottocento, con il gastronomo Pellegrino Artusi che, nel suo celebre La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, li descrive come una minestra tanto gustosa quanto semplice. Tuttavia, le sue origini potrebbero essere ancora più antiche: si ipotizza che derivino dal piatto medievale noto come “tardura”, che prevede un composto simile cotto direttamente nel brodo.
Circa lo strumento indispensabile per dar forma ai passatelli, fino a qualche decennio fa, in tutte le famiglie romagnole, nella credenza, c’era il ferro dei passatelli (e fèr d’i pasadè). Oggi purtroppo è stato soppiantato dallo schiacciapatate a fori larghi ma, chi ancora ce l’ha, ne va molto fiero e ne è gelosissimo! Lo si sfoderava soprattutto nelle grandi occasioni come la Pasqua, l’Ascensione, i battesimi, le cresime ed i matrimoni (non il Natale, per quel giorno c’erano i cappelletti). Serve molta pazienza e robustezza di polso ma il ferro permette di ottenere passatelli perfetti e delle giuste dimensioni per la cottura nel brodo. Forse pochi lo sanno ma questo strumento è stato concepito in modo che, essendo a forma di calotta, l’incavo contenga una porzione per ogni commensale. E non è un caso che i modelli antichi siano leggermente più grandi di quelli che oggi ancora si possono acquistare in pochissime ferramente della zona: in passato il bisogno alimentare era leggermente maggiore di quello odierno.
Oggi i passatelli vengono preparati anche in versione asciutta, saltati con condimenti di mare o di terra, ma la tradizione li vuole rigorosamente cotti e serviti in un brodo di cappone o di manzo.
LA RICETTA DEI PASSATELLI
Ingredienti per 4 persone: 160 grammi di pangrattato (da pane comune, rigorosamente scondito); 230 grammi di Parmigiano grattugiato (o Grana o anche Grana e pecorino); 60 grammi di farina 0 (…che le nonne hanno sempre negato di utilizzare, ma “un pugnino”, di nascosto, l’hanno sempre aggiunto!); 2 cucchiai di midollo (facoltativo); 4 uova grandi o 5 piccole (circa 265 grammi); una abbondante grattugiata di noce moscata; una grattugiata di buccia di limone (facoltativo – nel Ravennate non si mette!).
Preparazione. Porre in una capiente ciotola tutti gli ingredienti e amalgamare accuratamente (perfetto è anche utilizzare una planetaria con il gancio foglia). Lasciar ora riposare l’impasto per almeno un paio di ore, accuratamente avvolto nella pellicola da cucina: in questo tempo il pangrattato si idrata a fondo e si omogeneizza la massa. Infine, passare l’impasto attraverso i fori di un ferro per i passatelli o nello schiacciapatate con i fori larghi. Far cadere i passatelli così ottenuti nel bordo bollente, attendere che si raggiunga nuovamente l’ebollizione, spegnere la fiamma e impiattare.
LA “TARDURA” E LA VARIANTE “MINESTRA DEL PARADISO”
Poco conosciuta al di fuori della Romagna, la tardura è un’antichissima preparazione che affonda le sue radici nella cultura popolare. Sembra che abbia una storia di secoli alle spalle e risalga addirittura ai tempi dello Stato Pontificio, i cui confini si estendevano fino alla Romagna: sarebbe infatti la variante romagnola della stracciatella nata e diffusa sotto la Roma papalina.
Veniva preparata per le donne che avevano appena partorito, poiché si riteneva che fosse nutriente e ricostituente. Era spesso chiamata anche “minestra del paradiso”, ma, in realtà, fra le due ricette c’è una sostanziale differenza: nella tardura gli albumi delle uova non sono montati a neve mentre nella minestra del paradiso sì. Sono riportate di seguito le 2 versioni del Manzoni nel suo libro “Così si mangiava in Romagna” (1977 Walberti Edizioni).
“Tritura” romagnola (dose per sei persone): Sei uova, sei cucchiai di pangrattato, sei di formaggio parmigiano grattato, sei pizzichi di sale e sei di noce moscata. Impastare tutto. Gettare in una pentola di brodo molto caldo l’impasto fatto, aggiungere conserva, e lasciarlo cuocere per quattro o cinque minuti mistando con una forchetta.
Minestra Paradiso (dose per sei persone): battere fino a montarle quattro chiare d’uovo incorporando in queste i rossi. Versare poi quattro cucchiaiate di pane duro grattugiato fine e altrettante di parmigiano grattato e odore di noce moscata. Mescolare adagio adagio onde il composto rimanga soffice e metterlo nel brodo di cappone bollente a cucchiaini. Fare bollire per 7 o 8 minuti e la minestra è pronta.