martedì
17 Giugno 2025
produttori di romagna

Il sapore di sale è più dolce se nasce nell’antica salina Camillona di Cervia

Scampato alla ritrutturazione industriale del parco salifero, nel piccolo bacino si pratica ancora la raccolta in modo artigianale e con strumenti manuali. Dal 2004 è anche presidio Slow Food

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Salina Camillone Cervia Raccolta 1

Nonostante campeggi un cervo nello stemma comunale di Cervia c’è chi sostiene che l’origine del nome della città derivi da acervus, termine latino che significa mucchio, cumulo, riferito alle bianche montagne di sale disposte nelle saline.
Cervia e il sale rappresentano infatti un legame millenario, che alcune ipotesi archeo-storiche fanno risalire addirittura all’epoca estrusca. E a un connubio di interesse, visto che il dominio della produzione salifera, del cosiddetto “oro bianco” (per capirne il valore vedi ad esempio l’origine della parola “salario”), è sempre stato fondamentale – fino a tempi relativamente recenti – non solo per l’alimentazione ma anche per la conservazione dei cibi.
Al punto che intorno ai più antichi poi moderni insediamenti delle saline cervesi si alternarono nella padronanza, probabilmente i Romani, poi l’Esarcato ravennate, le Signorie locali, i Veneziani e anche i pirati, poi lo Stato della Chiesa e, dopo l’unità d’Italia, i monopoli di Stato.
Ma negli ultimi decenni del ‘900 la civiltà e l’economia del sale iniziano a decadere e deprezzarsi, e le saline – compresa quella di Cervia – rischiano l’abbandono se non l’estinzione produttiva.

Un destino sventato fortunatamente da tre fattori: l’impegno dell’amministrazione comunale a conservare quel patrimonio storico e antropologico, la tutela dell’ambiente naturale e del paessaggio sancita dalla costituzione del Parco del Delta del Po – di cui le saline cervesi sono oggi la “stazione Sud” – e la tenacia del popolo dei salinari, decisi a testimoniare e proseguire il loro lavoro tradizionale. Grazie a questi ultimi, soprattuto, è sopravvissuto anche l’unico fondo salifero esistente di impronta artigianale – il bacino Camillone – ancora strutturato e gestito praticamente com’era secoli fa.
Ce ne parla Oscar Turroni, presidente del Gruppo culturale Civiltà Salinara, associazione di volontari a cui il Comune di Cervia ha affidato la cura del Musa, il Museo del Sale di Cervia, e la gestione attiva, per l’appunto, dell’antica salina Camillone. sezione “distaccata” del museo.

Oscar, come ex salinaro in pensione ci racconti un po’ come siete riusciti a salvare e a far rivivere questa testimonianza del vostro lavoro?
«Fino al 1959 la raccolta del sale a Cervia avveniva in modo artigianale, fondamentalmente manuale, grazie all’abilità e all’esperienza dei salinari, tramandata per generazioni, spesso in ambito familiare. In quel periodo erano attivi circa 150 fondi saliferi, dai 25mila ai 30mila metri quadrati ognuno, fra sezione evaporante e area salante. Complessivamente l’insieme delle saline cervesi è di oltre 820 ettari».

E poi cos’è accaduto a partire dagli anni ‘60?
«Con l’avvento della catena del freddo e dei frigoriferi al sale è venuta a mancare una delle suoi funzioni principali, il prezzo di mercato si è ridimensionato notevolmente e lo Stato ha attuato una ristrutturazione del sistema produttivo, passando da quello locale, parcellizzato e periodico, a quello detto “alla francese”, che prevede grandi vasche con una raccolta unica a fine estate – come già accadeva ad esempio nel nostro Paese a Cagliari e a Margherita di Savoia – ma soprattuto l’uso di mezzi meccanici».

Quali furono le conseguenze?
«Una modifica della struttura dei bacini saliferi, dei metodi di raccolta e di lavoro, di impostazione industriale. Ma fortunatamente venne conservata una salina originaria, la cosiddetta Camillona. Alla fine degli anni ’80, grazie ad un gruppo di salinari in pensione e volontari, dopo oltre 25 anni di inattività, le vasche furono rimesse in funzione. Dal 1990 la Camillona è tornata a produrre sale tutti gli anni, fino ad oggi, con i tradizionali metodi artigianali cervesi, unici in Italia».

E il resto dei bacini saliferi che ruolo hanno avuto in anni recenti oltre ad essere tutelati come oasi naturalistica e attrazione turistica del Parco del Delta del Po?
«Dopo varie pressioni e iniziative politiche, sociali, legali, nei primi anni del Duemila lo Stato ha concesso ad una società pubblico-privata, il “Parco della Salina di Cervia” – che fa capo al Comune – anche uno sfruttamento produttivo di sale, seppur limitato, che avviene in modo standardizzato col metodo industriale impostato negli ani ’60. Una parte, più o meno il 20% della produzione annuale, è confezionata con un marchio ormai riconosciuto, con buone iniziative di promozione – ad esempio la simbolica donazione annuale al Papa – e di marketing,  lanciato sul mercato come sale di qualità dalla tipica caratteristica “dolce”.

Ecco, come mai quello di Cervia è un sale “dolce”, non sembra un paradosso?
«Il “dolce” che si attribuisce al sale cervese deriva dal fatto che è puro cloruro di sodio e al gusto ha un sapore gradevole e delicato, privo di quelle note amarognole derivate dalla presenza di gesso, potassio o altri elementi minerali che ne alterano la lieve sapidità. L’effetto visivo è anche quello di una certa trasparenza dei cristalli rispetto la biancore latteo, lucido, di sali di altra provenienza. Dal punto di vista della “dolcezza” possiamo dire che in virtù del metodo periodico e puntuale di raccolta e conservazione, il sale della Camillona è una specialità, un’eccellenza, una cosiddetta “riserva”, anche rispetto alla buona qualità dell’attuale, complessiva, produzione industriale cervese».

Mauro Zanarini Oscar Turroni Musa Cervia
Da sinistra, Mauro Zanarini, responsabile del presidio Slow Food della salina Camillona e Oscar Turroni presidente dell’associazione culturale Civiltà Salinara

Che cosa ha di particolare il metodo di produzione della Camillona?
«La raccolta è multipla e si compie regolarmente, se non piove, ogni cinque giorni, in ognuna delle vasche, dette “cavedini” dove è avvenuta la deposizione dei cristalli di sale, per tutta la stagione che va da giugno a settembre. Per la raccolta usiamo non solo le procedure e la tecnica tradizionale, ma gli stessi attrezzi di un tempo. Per la particolare qualità del sale ricavato e i metodi di lavorazione, nel 2004 la Camillona è diventata anche un presidio Slow Food, unico nel suo genere. Nell’ambito del presidio la tutela è di Mauro Zanarini, io sono responsabile del disciplinare della produzione. Per questo la Camillona è pure una sorta di museo all’aperto che integra quello documentario allestito nei Magazzini del Sale in città, e in estate ospita anche visitatori e turisti desiderosi di vedere da vicino la salina, e magari cimentarsi “per un giorno” nella raccolta del sale. Come associazione che se ne occupa e la promuove contiamo oltre 500 soci e sono più di 40 i volontari operativi che si impegnano nei turni di raccolta salifera».

Che relazioni avete con il Parco della Salina?
«Ne siamo parte integrante, sia come area naturalistica sia come punto produttivo, per cui  conferiamo una parte della nostra raccolta artigianale per la commercializzazione, a fianco delle altre tipologie marcate come sale cervese. La nostra produzione quest’anno è stata di 800 quintali e ne abbiamo ceduti più di 400 alla società per le confezioni con la dicitura “Riserva Camillone sale dolce integrale”. Quel che resta della raccolta annuale è per nostro utilizzo e donazione, in gran parte a offerta libera – o sfuso o in confezioni che riportano la nostra denominazione  – per un fondo di sostegno dell’associazione culturale e del Musa».

E dove si trova e chi lo utilizza il vostro sale?
«Come dicevo, col marchio della società del Parco della Salina, nei negozi alimentari specializzati e anche negli scaffali della grande distribuzione, e poi nelle sagre e nella bottega del Musa. Sul piano commerciale, oltre l’uso domestico, c’è un notevole interesse da parte di ristoratori e di artigiani del settore alimentare, come i norcini o i produttori caseari, ad esempio. Il problema, forse, per soddisfare al meglio la domanda, sarebbe rendere disponibili maxi confezioni per i professionisti, che potrebbe così ridurre anche l’attuale prezzo di vendita. E comunque, va sottolineato sul piano commerciale, chi utilizza la denominazione di “sale dolce di Cervia” legata ai propri prodotti alimentari “paga” una royalities per l’utilizzo».

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