martedì
24 Giugno 2025

«Il bellicismo, ancor prima di essere immorale, è demenziale»

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Marina Mannucci, attivista per il clima e i diritti umani, in vista della manifetazione contro guerra e riarmo in programma a Roma.

Sabato 21 giugno, alle ore 14, a Roma si svolgerà la Manifestazione nazionale contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo, promossa dalle oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche nazionali e locali che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea #StopRearmEurope (https://stoprearm.org/) che, a oggi, conta tra le proprie adesioni circa mille sigle in 18 paesi e che vede come promotori italiani Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia. La manifestazione rientra nella settimana di mobilitazione europea, che si terrà dal 21 al 29 giugno in occasione del vertice della Nato a L’Aja, che proprio in quei giorni deciderà i dettagli del gigantesco piano di riarmo deciso dall’Unione Europea, e vedrà la convergenza di tante identità, tutte impegnate contro la guerra, per la pace, per la giustizia sociale e climatica, i diritti e la democrazia nel nostro paese.

A Ravenna La Via Maestra – Insieme per la pace, grazie anche alla collaborazione della Casa delle Donne, organizza pullman che partiranno per Roma (è prevista una quota di partecipazione); alcune persone hanno lasciato biglietti sospesi (iniziativa di solidarietà che permette di acquistare un biglietto e di donarlo a chi non può permetterselo) per contribuire a far fronte al costo del trasporto in modo significativo; pochissimi i posti rimasti liberi. È prevista una sosta a Faenza per far salire un gruppo di partecipanti. Per info e partecipazione potete scrivere a ravenna@arci.it o via whatsapp al 334 7709361. All’iniziativa ha aderito anche Il Coordinamento Ravennate per il Clima Fuori dal Fossile e Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna per portare all’interno della manifestazione una riconoscibile presenza ambientalista.

L’economia di guerra, dirottando grandi risorse – finanziarie, materiali, morali – verso la produzione e l’uso delle armi è in netto contrasto col benessere ambientale, sociale ed economico a medio e lungo termine. Per produrre armi sono necessarie grandi quantità di materie prime – combustibili fossili, metalli, elementi rari – la cui sfrenata estrazione contamina gli ecosistemi. Le esercitazioni militari e, ancor più le guerre, sono azioni altamente energivore che, disboscando e inquinando atmosfera e suolo, distruggono gli habitat e hanno conseguenze devastanti sulle risorse naturali, sulla salute, il sostentamento e la sicurezza delle persone. L’impatto ambientale provocato da armamenti e guerre è una questione complessa e urgente che richiede un’attenzione globale (anche da parte della società civile che lavora per la Pace e il Disarmo) come primo passo per mitigare i danni, promuovere il risanamento ambientale e prevenire conflitti futuri. La ricerca/rapporto Soaring global military spending threatens global climate action (https://ceobs.org/how-increasing-global-military-expenditure-threatens-sdg-13-on-climate-action/) del CEOBS Conflict and Environment Observatory (Osservatorio sull’ambiente e i conflitti) in collaborazione con l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari del Disarmo pubblicata in esclusiva, nel mese di maggio, dal quotidiano britannico Guardian (https://www.theguardian.com/environment/2025/may/29/nato-military-spending-could-increase-emissions-study-finds), ha lanciato l’allarme sull’impatto ambientale delle spese militari record di 2.460 miliardi di dollari nel 2023. Lo studio denuncia anche un pericoloso scollamento tra sicurezza a breve termine e crisi climatica a lungo termine. Per quanto riguarda l’Europa, una stima probabilmente conservativa indica con quasi 25 milioni di tonnellate di CO2 l’impronta di carbonio del settore militare europeo (considerando sia gli eserciti nazionali che le industrie tecnologico-militari), pari alle emissioni annuali di 14 milioni di automobili (il sito militaryemissions.org affronta l’impresa ardua di mappare i dati sulle spese e le emissioni militari nazionali). Un ulteriore problema è che l’aumento delle spese militari sta intaccando la fiducia necessaria per il multilateralismo; alla COP29, paesi del Sud globale come Cuba hanno sottolineato l’ipocrisia degli Stati disposti a spendere sempre di più per i loro eserciti, ma che offrono impegni di finanziamento climatico del tutto inaccettabili e troppo bassi. Tra le raccomandazioni chiave proposte dal CEOBS c’è la richiesta di maggiore trasparenza nella contabilità delle emissioni militari (comprendendo tutta la filiera), la revisione delle linee guida IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) per facilitare il reporting all’UNFCCC United Nations Framework Convention on Climate Change (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), l’adozione di piani seri di tagli netti alle emissioni militari, e la comunicazione chiara verso i cittadine/i di come queste spese rallentino consapevolmente il raggiungimento degli obiettivi climatici di Parigi. Il rapporto evidenzia anche come i cambiamenti climatici alimentino indirettamente nuovi focolai di guerra e, come dichiarato da Ellie Kinney, ricercatrice e coautrice dello studio: «c’è una seria preoccupazione per il modo in cui stiamo dando priorità alla sicurezza a breve termine sacrificando quella a lungo termine».

«Questa cattedrale con i suoi ottocento anni potrebbe ridursi in polvere la prossima notte… questa città traboccante di vita crollare in quarto d’ora»
Elias Canetti, La rapidità dello spirito. Appunti da Hampstead, 1954-1971

 

La guerra, forma strutturale di violenza, utilizzata come strumento che definisce equilibri, per tutte le sue manifestazioni che siano militari, commerciali, finanziarie, comunicative, culturali, etniche, regionali, locali ecc., occupa sempre più la scena mondiale ed è oggetto di indagini condotte in ambito geopolitico, economico, tecnologico, sociologico, psicologico, ambientale, eccetera. Malgrado sia palese l’inefficacia delle scelte armate e militari per regolare la convivenza umana, chi trae vantaggi dalle guerre e dal riarmo non può che continuare a giustificarla, ritenerla ineludibile e disconoscere/denigrare qualsiasi pensiero o proposta per la pace e la non violenza. Promuovere la pace è un’indispensabile assunzione di responsabilità che ha bisogno di impegno, di fatica e di tempo per contrastare la sterilizzazione dei cervelli promossa dalla sempre più pervasiva banalità della guerra. Appuntamento a tutti/e sabato 21 giugno, alle ore 14 a Roma per la manifestazione nazionale contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo.

Chiudo con l’intervento di Michela Murgia (scrittrice, drammaturga, conduttrice televisiva, opinionista) del giugno del 2023 in merito al tema della militarizzazione: «Io Sono anti-militarista, ma non vuol dire che odio i militari. Vuol dire che sono cittadina di uno Stato che nella sua Costituzione ripudia esplicitamente la guerra. Trovo privo di logica celebrare la nascita della democrazia facendo mostra dell’apparato bellico, perché è la stessa cosa che fanno le dittature. Le forze armate ce l’hanno già la loro festa: è il 4 novembre. Il 2 giugno è invece la festa di tutti i cittadini e tutte le cittadine, e sarebbe bello se un Paese facesse sfilare le migliori espressioni della sua vita democratica. Io ho un sogno: immaginate i vostri figli che un giorno ai Fori Imperiali vi chiedano: Mamma, chi sono quelli che aprono la parata? E voi potreste rispondere: Sono gli artisti e le artiste di questo Paese, che ci ricordano che cercare la bellezza è quello che ci rende umani anche nell’orrore più grande. Sono i dottori, i medici e le mediche che ci salvano tutti i giorni dalle malattie e che ci hanno salvato dalla pandemia, morendo e sfinendosi perché noi potessimo guarire, o non ammalarci. Sono il corpo insegnanti, grazie al quale se studi sarai in grado di diventare quello che vuoi. Sono i 100 più onesti contribuenti, che rendono possibile mantenere i servizi dello Stato sociale. Sono giornalisti e giornaliste, persone che garantiscono l’informazione libera di questo Paese. Dove la democrazia non c’è, queste persone con la penna in mano non potrebbero neanche fare quel lavoro. Immaginate che lezione di civiltà ne verrebbe fuori. Certo, è difficile convincere chi fa arte a sfilare, se le scelte dei governi in questi anni hanno precarizzato il settore fino a trasformare gli artisti e le artiste in degli accattoni di Stato. Complicato anche far sfilare il personale medico, dopo che da anni tagli i finanziamenti al sistema sanitario. Credo sia difficile chiedere anche ai docenti meno pagati d’Europa di passarti, orgogliosi, sotto al palco. Anche chiederlo ai giornalisti e alle giornaliste è diventato complicato: specialmente se come politico pratichi la querela intimidatoria contro chiunque ti critichi, come sta succedendo sempre di più. Impossibile poi onorare i contribuenti onesti, se li hai fatti sentire dei cretini chiamando le tasse “pizzo di Stato”. Le forze armate invece no, possono sfilare fiere: non solo i finanziamenti al comparto bellico sono cresciuti a dismisura negli ultimi anni, ma il governo attuale sta stornando i fondi del Pnrr destinati a ben altro per finanziare armi e eserciti. E per evitare di essere disturbato si è tolto di mezzo anche il controllo della Corte dei Conti. Questo. Basta questo perché le persone come me preferiscano andare al mare, a rileggersi Don Milani, anziché ai fori imperiali a vedere il passo cadenzato degli stivali da guerra».

Marina Mannucci

La spiaggia di Punta Marina attrezzata per i disabili gravi arriva fino all’Onu

Debora Donati è intervenuta alla 17esima Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (Cosp17), che si è svolta nei giorni scorsi al Palazzo di Vetro dell’Onu, a New York.

La partecipazione è stata resa possibile grazie all’impegno del Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha fortemente voluto la presenza della società civile italiana a questo appuntamento internazionale di grande rilievo.

Donati, fondatrice dell’associazione “Insieme a Te” e ideatrice della Spiaggia dei Valori di Punta Marina, ha portato all’attenzione della comunità internazionale un modello di inclusione innovativo, concreto e riconosciuto a livello nazionale per il suo forte impatto sociale e umano. Nel suo intervento, dal titolo: “Luoghi dell’anima: l’inclusione reale parte dallo spazio condiviso” ha raccontato la nascita e lo sviluppo della Spiaggia dei Valori, un luogo unico in Italia dove persone con disabilità gravissima e le loro famiglie possono vivere il mare, la relazione e il tempo libero in modo pieno, dignitoso e sereno. Un esempio di accessibilità reale che mette al centro la persona, la relazione e la qualità della vita.

Donati è stata recentemente insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (il 2 giugno) per il suo impegno costante e la sua visione inclusiva, diventata punto di riferimento per molte famiglie e istituzioni. «All’Onu ho portato storie autentiche, che parlano di vita, speranza e diritti. Credo profondamente che l’inclusione passi attraverso luoghi che sanno accogliere e relazioni che sanno ascoltare», ha dichiarato.

Quando l’orto diventa una terapia: «Migliora il benessere psicofisico degli anziani»

Grazie alla coltivazione di 12 vasche con piante aromatiche e verdure selezionate, con il supporto dei tecnici del Consorzio Agrario di Faenza, gli anziani ospiti della Residenza Sant’Umiltà di Faenza hanno intrapreso un percorso che unisce attività pratica e stimolazione sensoriale.

Si tratta del progetto “Radici Vive”, presentato alla stampa nei giorni scorsi, un’iniziativa innovativa di orti terapeutici che mira a migliorare il benessere di 30 ospiti diurni e stabili della struttura. Il progetto è nato dalla collaborazione tra il Rotary Club Faenza, la Residenza S. Umiltà, il Consorzio Blu, l’Associazione Alzheimer Italia di Faenza e il Consorzio Agrario di Faenza,.

La cura dell’orto li aiuta a mantenere e rafforzare le capacità motorie attraverso movimenti precisi e coordinati, mentre la varietà di colori, profumi e consistenze delle piante stimola la percezione sensoriale, favorendo il benessere cognitivo ed emotivo.

«Studi scientifici – commentano dalla residenza – dimostrano che l’ortoterapia favorisce la neuroplasticità, contribuendo a rallentare il declino cognitivo e migliorare il benessere psicofisico degli anziani. Il contatto con la natura, la manualità e la stimolazione olfattiva e visiva delle piante aiutano a preservare le capacità cognitive e motorie, offrendo un’esperienza terapeutica completa».

Il progetto “Radici Vive” rappresenta una naturale evoluzione del service “Coltiviamo il Futuro”, conclusosi pochi giorni fa e incentrato sulla promozione degli orti terapeutici negli istituti primari. Se con “Coltiviamo il Futuro” il Rotary ha coinvolto i più piccoli, educandoli alla cura della terra e stimolando il loro apprendimento attraverso il contatto con la natura, con “Radici Vive” si estende ora questo stesso principio agli anziani, un’altra categoria particolarmente vulnerabile.

Una mostra quasi commovente che intreccia la storia delle donne con quella del volo

La mostra di Lugo dal titolo programmatico Le figlie di Icaro – realizzata da Mauro Antonellini e Giulia Garuffi in collaborazione col Comune, il Museo Francesco Baracca, la squadriglia del Grifo e la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna – è quasi commovente. Ed è la dimostrazione di come si possa fare una esposizione con budget controllato – tramite un allestimento di semplici pannelli fotografici accompagnati dalle biografie delle prime aviatrici del mondo – e a grande successo.

La mostra intercetta infatti un bisogno di conoscere la storia delle donne e quella del volo. E risponde anche a desideri precisi che superano la visione mainstream delle capacità femminili tradizionali favorendo la proiezione in donne che hanno sfidato convenzioni e stereotipi per affermare le proprie passioni. Per cui – ancor meglio di Icaro che sfidando i limiti imposti agli umani peccò di hybris facendo una bruttissima fine – queste figlie di Iris, la dea messaggera alata, o dell’altrettanto potente Nike, divinità della vittoria nei cieli, formano una costellazione indimenticabile.

Sono più di 50 biografie molto interessanti per cui la selezione verrà fatta con criteri rabdomantici, interrogando un po’ le biografie, un po’ le bellissime immagini che mostrano queste pioniere in divisa al timone dell’aereo, mentre mettono mano ai motori dei mezzi precari su cui volano, col casco in testa, la tuta imbottita o la divisa della propria pattuglia, i giubbotti antivento, occhialoni e berretti per non congelare durante il volo in velivoli ancora privi di carlinga chiusa.

Figlie Icaro Mostra
Raymonde De Laroche

La prima non può che essere la parigina Elise Deroche – meglio conosciuta come Raymonde de Laroche – una donna affascinante, appassionata fin da giovane di automobili e motociclette, che intraprende con successo la carriera di attrice teatrale. Nel 1908 assiste ai voli di Wright su Parigi e ne rimane talmente colpita da decidere di prendere lezioni di volo. Nel 1910, a Eliopoli in Egitto, ottiene il brevetto da pilota, il primo ottenuto da una donna e il 36° rilasciato dalla Federazione aereonautica mondiale, praticamente a distanza da soli sette anni dal primo volo dei fratelli Wright negli Stati Uniti. Nonostante Deroche nel 1913 batta il record di durata in volo e di distanza a circuito chiuso – aggiudicandosi la coppa Femina, istituita tre anni prima – allo scoppio della I guerra mondiale le viene proibito, come a tutte le donne pilota, di volare in azioni di guerra. Ancora in volo, nel 1919 termina la sua vita in fase di un atterraggio, la più pericolosa assieme al decollo, sia oggi che specie allora, sui fragili antenati degli attuali aerei da diporto.

Le prime pilote appartengono alle generazioni che vivono il periodo della Belle Époque quando le donne si aggiudicano una prima visibilità pubblica approdando ad attività fino allora impensabili per il mondo femminile. Non a caso si diffondono riviste riservate alle donne che le sostengono per nuovi ruoli: fra queste apre il nuovo secolo il periodico francese Femina che dopo aver evidenziato le donne in vari sport, nel 1910 lega il proprio nome al premio riservato alle aviatrici internazionali per gare annuali di distanza di volo.

Tornando alle protagoniste dei cieli, colpisce la foto della statunitense Blanche Scott che vola con calosce che sembrano articoli ortopedici sopra scarpette col tacco. Assieme a una grande passione per ciclismo, motociclismo e automobili, nel 1910 Scott è la prima a volare in una manifestazione aerea pubblica, priorità a cui si aggiunge l’entrata in una pattuglia acrobatica – celebri i suoi passaggi a volo radente, passaggi sotto i ponti e il “tuffo della morte”, fatto in picchiata da 1.200 metri – e la prima attività a contratto nel 1912 come collaudatrice di velivoli. Inutile ricordare la mancata evidenza del binomio donne e motori.

Dopo di lei, incantano le mani inanellate strette attorno alla cloche della belga Hélène Dutrieu che, dopo varie esibizioni in gare automobilistiche, consegue il brevetto d’aviazione appena un mese dopo la prima collega. Nel 1910 vola trasportando passeggeri, vince su tutti alla Coppa del Re di Firenze nel 1911 e risulta la prima al mondo a guidare un idrovolante.

Seguono varie biografie e foto di donne che partecipano a pattuglie acrobatiche, attraversano la Manica e poi oceani in solitaria, ottengono record per altezza, velocità o durata di volo, vincono gare internazionali e dirigono compagnie di aviazione, aprono scuole di volo riservate alle donne o apportano modifiche ai prototipi di aerei che fanno costruire in proprio. Eccezionali anche quando scompaiono in mare come l’ormai mitica Amelia Earhart durante la trasvolata del mondo; anche quando partecipano alla guerra come la sovietica Marina Raskova che seleziona mille pilote volontarie e altre donne come meccaniche e ausiliarie in modo da costituire il 122° gruppo aereo tutto al femminile, di cui Marina diviene comandante. Famose per il bombardamento notturno, le “streghe della notte” – come vennero definite con ammirazione dai comandi tedeschi – furono una vera spina nel fianco a bordo di piccoli biplani costruiti in legno e tela, i famosi “aerei da granturco” utilizzati in agricoltura prima della guerra e durante le 24.000 missioni che il gruppo portò a termine.

Aloisa Matteucci
Aloisa Matteucci

Un ricordo va in chiusura alle italiane che hanno costituito un esempio per le nuove generazioni come consapevolmente scriveva Rosina Ferrario, prima italiana a conseguire nel 1913 il brevetto di volo. Di casa nostra è Aloisa Guarini Matteucci, nata a Forlì nel 1906, che prende il brevetto nell’aereoclub Ridolfi nel 1937, appena un anno dopo l’apertura della scuola di volo. La chiusura è invece dedicata alle contemporanee: a Fiorenza De Bernardi – prima donna in Europa a pilotare dal 1967 in una compagnia civile aerea, prima comandante di flotta in Italia e fondatrice dell’Associazione Donne dell’Aria che promuove la presenza femminile nell’aereonautica – e alla grande, ammiratissima Samantha Cristoforetti. Trentina del 1977, ingegnere aereospaziale, ha viaggiato 200 giorni in missione nello spazio fra 2014-15 ed è diventata la prima donna europea comandante della Stazione Spaziale Internazionale. Semper ad astra, carissima.

“Le figlie di Icaro” – Lugo, Palazzo Cassa di Risparmio e Fondazione del Monte, Piazza Baracca 24
Ffino al 22 giugno – orari: GI-VE 15.30-18.30; SA-DO 10-12 e 15.30-18.30
Ingresso gratuito – per info e visite guidate: Museo Francesco Baracca 0545-299105

Ribellarsi senza mettersi in mostra. “Del coraggio silenzioso” di Marco Baliani

Doveva essere un reading allestito per una sola occasione; è diventato uno spettacolo che gira dal 2016 e cambia ogni volta il suo tappeto sonoro. Del coraggio silenzioso di Marco Baliani sarà in scena il 16 giugno alle 21 al Teatro Alighieri, con un nuovo accompagnamento musicale scritto apposta per il Ravenna Festival.

Marco Baliani, che cosa significa “coraggio silenzioso”?
«È la forma di coraggio di chi non aspira a essere riconosciuto come un eroe. È il gesto di un essere umano che sente l’obbligo di aiutare il prossimo, senza pretendere di avere spettatori né provare il bisogno di essere elogiato. È una forma di dignità etica. Il coraggio silenzioso non presuppone una tempra guerriera e non si aspetta ricompense o esaltazioni; bensì agisce in modo sommesso e spontaneo, per pura necessità».

Perché ha deciso di parlarne?
«Nel 2016 il Comune di Bergamo mi ha chiesto di lavorare sulla parola “coraggio”, nell’ambito delle celebrazioni per il suo patrono. Ogni anno la città assegna una parola diversa a un artista, chiedendogli di declinarla a modo suo, e quella volta è stata commissionata a me. Il coraggio inteso come atto eroico non mi interessava, perciò ho preferito accostargli l’aggettivo “silenzioso”. Ho scritto un testo che è diventato un reading, accompagnato dalle note per violino scritte dal compositore Mauro Montalbetti. Doveva essere un evento unico, invece mi è stato chiesto di replicarlo in altri contesti. Quindi ho iniziato a portarlo in giro, sempre con musicisti diversi che trovavo sul posto, e a cui chiedevo di improvvisare sulla base delle ispirazioni provenienti dal testo».

Quale musica la accompagnerà al Ravenna Festival?
«Per questa replica ci sarà un ritorno alle origini, con le musiche di un altro compositore, Mirto Baliani, eseguite dal vivo da un ensemble di artisti molto diversi tra loro: Cristiano Arcelli al sax e clarinetto basso, Giacomo Gaudenzi al violoncello, Francesco Tedde alla chitarra e modulari; oltre allo stesso Mirto che si occuperà di harmonium e campionatori. Non si tratterà di musica di accompagnamento, come nelle altre repliche, bensì di una drammaturgia sonora pensata appositamente per lo spettacolo».

Di cosa parla il suo testo?
«Si tratta di cinque racconti su altrettanti esempi di coraggio silenzioso, più o meno noti. Rosa Parks, la donna nera che rifiutò di cedere il posto a un bianco sul bus; Palden Gyatso, il monaco tibetano che testimoniò all’Onu le torture e i massacri compiuti dalla Cina in Tibet; Zenzeri Abdelbasset, un pescatore tunisino che ha salvato alcuni migranti in mare; Khaled al-Asaad, il direttore del sito archeologico di Palmira che si è opposto all’Isis mentre distruggeva i monumenti storici; e Ilse Weber, poetessa e insegnante uccisa ad Auschwitz. Ogni racconto ha un linguaggio diverso, dal monologo al dialogo, dall’epica al reportage giornalistico».

Perché è importante, oggi, parlare di coraggio silenzioso?
«Spero sempre che questi racconti siano come semi che volano nel vento, pronti a diventare piante. Oggi l’idea di ribellarsi è associata alle raccolte firme online, ai post sui social, al clamore del gesto più che al gesto stesso. Tutto ciò è comprensibile, ma trovo molto più interessante l’esempio di chi riesce a portare avanti una battaglia da solo e senza mettersi in mostra. Con i miei cinque racconti, cerco di trasmettere questa idea. Che è poi la stessa di Albert Camus quando, ne Il mito di Sisifo, parla della ribellione come gesto per sfidare il mondo e se stessi, correndo il rischio senza ambire al potenziale ritorno che si potrebbe ottenere».

Con questo e gli altri suoi spettacoli, è sempre impegnato a raccontare le ingiustizie e le storie di chi sta ai margini. Cosa desidera trasmettere al pubblico col suo teatro?
«L’inquietudine. Penso che sia il migliore sentimento che il teatro possa lasciare. Cerco sempre di generare riflessioni, pensieri, critiche e forme di spavento; anche quando racconto una fiaba popolare. Lo spettatore non dovrebbe mai andarsene via soddisfatto e nemmeno dovrebbe sentirsi in pace con se stesso, solo perché è andato a vedere uno spettacolo che lo fa sentire dalla parte dei buoni. Questo non ci assolve affatto. È una modalità di indignazione che non serve a nulla».

Un gol del cervese Cesare Casadei manda l’Italia ai quarti di finale degli Europei Under 21

Un gol del cervese Cesare Casadei nel primo tempo basta all’Italia Under 21 per vincere (soffrendo) contro la Slovacchia e guadagnare matematicamente i quarti di finale dei campionati europei di calcio, in corso di svolgimento proprio in Slovacchia.

In campo per quasi tutta la partita anche il ravennate Matteo Prati.

Martedì è in programma l’ultima gara della fase a gruppi contro la Spagna che metterà in palio il primo posto (l’Italia aveva vinto anche al debutto, 1-0 contro la Romania). Il prossimo weekend i quarti di finale, con l’Italia che se la vedrà probabilmente con una tra Germania e Inghilterra.

Il vicesindaco ancora al Pri, Fusignani: «Giusto che la forza di centro abbia ruolo importante»

L’incarico di vicesindaco della giunta comunale di Ravenna, anche per il primo mandato di Alessandro Barattoni, va a un esponente del Partito repubblicano. Una sorta di consuetudine che va avanti da circa 25 anni, dai tempi del sindaco Vidmer Mercatali.

Il nome di Eugenio Fusignani è una conferma anche rispetto alla squadra composta da Michele de Pascale nel 2016 e nel 2021. Terzo mandato uindi per il segretario del Pri (che non ha il limite di due nel suo statuto come accade per il Pd). Il diretto interessato commenta così: «Il Pri è una realtà politica ben conosciuta dalla comunità locale, nella storia di questa città abbiamo espresso alcuni dei suoi migliori sindaci. Siamo un interlocutore importante per il Pd».

La lista dei colleghi lascia soddisfatto il repubblicano: «Mi sembra una squadra che tiene conto non solo degli equilibri politici, ma anche di quelli sociali della comunità. Non conoscevo di persona alcuni degli assessori scelti da Barattoni, ma credo sia un gruppo ben formato».

Per la seconda volta, dopo il 2021, il Pri ottiene l’ambita poltrona pur non essendo la seconda forza della coalizione nei risultati delle urne. Questa volta M5s e Avs hanno fatto meglio del Pri, seppure per una manciata di voti (0,2 percento). «Intanto non la chiamerei poltrona – puntualizza Fusignani con un certo senso del dovere – ma parlerei di incarico istituzionale. In una giunta che è espressione di una coalizione di centrosinistra credo sia giusto che una forza di centro abbia una rappresentanza importante. Lo scarto con gli altri partiti è talmente minimo che potrebbe essere stato determinato dal raffreddore di un familiare che non è potuto andare a votare».

Per quanto riguarda il consiglio comunale, il più votato del Pri è risultato Giannantonio Mingozzi, già in passato vicesindaco, che però rinuncerà all’incarico lasciando spazio a Andrea Vasi, già consigliere uscente.

Nella conferma del Pri sulla poltrona da vice qualcuno vede l’esito di un patto politico siglato sei mesi fa quando De Pascale lasciò la giunta per andare in Regione e tolse la delega da vice a Fusignani per darla a Fabio Sbaraglia che divenne sindaco facente funzioni. «La mia scelta non ha collegamenti con quelle fatte dal mio predecessore – assicura Barattoni –. La nostra coalizione è composta da diverse forze e il contributo del Pri è stato importante nelle elezioni. Nell’incarico di vicesindaco c’è un segnale di fiducia verso il Pri». 

Le tre new entry alla prima esperienza politica: «Ho ricevuto la conferma il giorno prima al telefono…»

Tra le novità dei componenti della prima giunta Barattoni, i nomi di Hiba Alif e Roberta Mazzoni sono gli unici che non erano mai comparsi negli articoli di stampa successivi alle elezioni. Sono entrambe alla prima esperienza politica, ma con percorsi professionali e profili diversi.

Barattoni Fusignani Moschini Alif
Alif è l’ultima a destra

Alif compirà 21 anni a novembre (finora la più giovane fu Martina Monti, 22enne quando fu nominata nel 2011 nella seconda giunta Matteucci), è nata a Ravenna da genitori marocchini, studia Economia a Ferrara e alle elezioni di maggio ha raccolto 51 preferenze nelle lista Avs, mai avuto altre esperienze politiche giovanili a parte un impegno generico nel volontariato.

«Non mi aspettavo questo incarico – riconosce Alif –, ho ricevuto la conferma ufficiale con una telefonata da Barattoni il giorno prima della presentazione». L’assessora avrà le deleghe a Politiche giovanili, Agenda 2030 (futuro sostenibile), Politiche abitative, Pace. «La mia priorità saranno sicuramente i giovani, non faccio distinzioni su qualcosa in particolare, ma metterò il mio impegno per ciò che riguarda i giovani in senso ampio».

Mazzoni, invece, entrerà in giunta a partire da gennaio: al 31 dicembre la 59enne andrà in pensione dall’Ausl e passerà nella squadra di governo locale con le deleghe a Salute, Politiche sociali, Politiche per le famiglie e Volontariato. Un accorpamento che Barattoni aveva già annunciato in campagna elettorale come indirizzo politico del suo mandato.

«La proposta del sindaco di fare l’assessora mi ha stupito e lusingato – dice l’attuale direttrice dal 2016 del distretto dell’Ausl di Ravenna, Cervia e Russi –. Non ho mai avuto ruoli in politica di nessun tipo, per me sarà una novità e un nuovo ruolo in cui mettermi al servizio della collettività. Finora ho avuto un ruolo tecnico-gestionale, ora ne avrò un altro».

Le tematiche all’ordine del giorno per i campi di sua competenza sono due: «Invecchiamento della popolazione e patologie cronico-degenerative. Il 41 percento della popolazione nel comune è composto da famiglie con un solo membro. Ed è alta la percentuale di quanti hanno più di 65 anni. Questo fa sì che viene meno il supporto delle famiglie nell’assistenza agli anziani. È un dato di cui cui va tenuto conto nella sanità».

Anche sulla base di queste considerazioni, il mandato di Mazzoni punterà su un invito alla popolazione a fare il possibile per la salute: «Stili di vita sani e investire sul mantenersi in salute. Deve essere una responsabilità del singolo fare di tutto per la proprio condizione di salute».

Un’altra delle new entry alla prima esperienza politica è Barbara Monti. Il suo nome però era già circolato tra quelli per un probabile assessorato, visto il risultato alle urne: con 220 preferenze è stata la più votata della lista Progetto Ravenna che accorpava Italia Viva, Più Europa, Azione e Psi (Monti era la capolista per Italia Viva).

Un assaggio di politica Monti lo ha avuto come consigliera territoriale, ma ora è tutt’altro: «Sono molto onorata della fiducia di Barattoni e credo che il risultato delle elezioni dica che ho fatto un buon lavoro nel consiglio territoriale». Tra le deleghe quella alla Cooperazione internazionale: «Ci tenevo particolarmente visto che siamo una lista con un’anima europeista ben marcata

Laureata in Economia aziendale alla Bocconi, la 54enne è presidente provinciale di Slow Food e lavora all’Acmar dal 1999 dove siede nel consiglio di amministrazione e si occupa di gestione risorse umanne: «Ho lasciato il mio posto nel cda e da luglio sarò in aspettativa per l’incarico in giunta».

L’incarico di Monti porterà in consiglio comunale Chiara Francesconi (165 preferenze), capolista di Azione e consigliera uscente: dopo l’elezione nel 2021 con il Pri passò al gruppo misto una volta transitata tra i calendiani.

Il Pd: «Orgogliosi per la parità di genere in giunta». Ama Ravenna: «Ora servizi per anziani»

Il Partito Democratico di Ravenna esprime «grande soddisfazione» per la presentazione della nuova giunta comunale da parte del sindaco Alessandro Barattoni.

«Siamo molto soddisfatti – dichiara il segretario comunale del Pd, Lorenzo Margotti –. Quella appena nominata è una squadra in cui il Partito Democratico esprime figure di comprovata competenza e capacità. Donne e uomini che porteranno la loro esperienza su temi fondamentali per il futuro della città, ricoprendo deleghe di grande rilevanza. Siamo certi che ognuno e ognuna di loro lavorerà con impegno, ispirandosi ai principi democratici e operando nell’interesse di tutta la comunità. Siamo inoltre particolarmente orgogliosi di aver contribuito in maniera significativa al raggiungimento della parità di rappresentanza di genere, un valore che riteniamo essenziale e che deve trovare piena attuazione in ogni ambito della società».

Un aspetto questo, sottolineato in fase di presentazione anche dallo stesso sindaco Alessandro Barattoni: «Sebbene la parità di accesso alle cariche pubbliche sia sancita dalla Costituzione stessa, è purtroppo ancora molto lunga la strada per una concreta e trasversale affermazione di questo principio. Sono quindi particolarmente orgoglioso che, per la prima volta, ci siano cinque assessore e quattro assessori e che questo permetta di raggiungere, con la mia presenza, una piena parità di genere all’interno della giunta».

Interviene sulla nuova squadra di governo anche Daniele Perini di Ama Ravenna, unica lista della coalizione a non aver ottenuto un assessorato (per Perini si parla di un possibile incarico alla presidenza del consiglio comunale): «Come Ama Ravenna continuiamo a perseguire la nostra vocazione rivolta al sociale, alla sanità e all’inclusione. Esprimiamo quindi un parere favorevole alla nuova giunta Barattoni e apprezziamo la dichiarata volontà del nuovo sindaco di mettere al primo posto questi valori. Ravenna ha un primato di longevità dei suoi cittadini rispetto ad altre realtà. Tuttavia, in vista del 2050, quando la popolazione anziana sarà preponderante, occorre fin d’ora investire di più in servizi anche dislocati nel territorio per far fronte alle patologie croniche che intervengono con la vecchiaia. Penso, tra l’altro, al ripristino e al potenziamento dell’assistenza domiciliare e all’istituzione del pronto soccorso sociale che potrà avere funzioni di prevenzione di difficoltà legate all’età. Come Ama Ravenna continueremo a dare il nostro contributo alla Giunta Barattoni per il bene della nostra comunità».

«Deleghe “fuffa”, Fusignani ancora vicesindaco e la nuova Martina Buby Monti?»

Una giunta «deludente, a maggior ragione alla luce dei ben 19 giorni utilizzati per partorirla e che avrebbero autorizzato ad aspettarsi qualcosa di più». Lo dichiarano in una nota congiunta Alberto Ancarani, Filippo Donati e Nicola Grandi, capigruppo rispettivamente di Forza Italia, Viva Ravenna e Fratelli d’Italia, della coalizione che ha sostenuto Grandi a sindaco alle ultime amministrative.

«In primis – commentano – spicca l’assenza di una delega all’immigrazione. Fa specie che chi da anni si impegna in battaglie lessicali scelga di eliminare un sostantivo addirittura dalle deleghe esecutive sostituendolo con una denominazione che non rappresenta affatto il fenomeno di cui ci si vuole occupare: multiculturalità e immigrazione infatti non sono affatto la stessa cosa. A una settimana da un referendum sulla cittadinanza nel quale è apparso come persino l’elettorato di sinistra non fosse affatto convinto dalle tesi dei suoi rappresentanti, negare la necessità di quella delega evidenzia una distanza fra elettori e loro rappresentanti che è uno dei principali motivi di diminuzione dell’affluenza al voto. In ogni caso, a prescindere dalla denominazione, continua l’errore di non attribuire allo stesso assessore le deleghe alla sicurezza e all’immigrazione, nel tentativo di smentire i dati reali ovvero che purtroppo la microcriminalità che è quella che più incide sulle classi sociali più in difficoltà fra i residenti, sia legata a doppio filo agli immigrati, più o meno regolari».

A questo «si aggiunge il ritorno di una delega “fuffa” totalmente priva di cogenza reale che è quella alla Pace. Un grande classico delle giunte di sinistra, rivisitato a seconda dei momenti, di solito a fini antiamericani o anti-occidentali. Un altro modo per distrarre gli elettori dalle azioni di competenza di una giunta comunale».

Gli esponenti del centrodestra giudicano poi «francamente inadeguata la conferma della delega alla sicurezza al vicesindaco Fusignani», accusato di un «approccio negazionista che lo ha portato ad aver di fatto coniato la definizione di “percezione” in tema di sicurezza, come se solo di questo si trattasse».

Sulla nomina di Roberta Mazzoni, dirigente Ausl, «non si può eccepire nulla sulle competenze specifiche, ma emergono ancora di più i dubbi su come possa aver interpretato politicamente il suo ruolo di dirigente di Ausl in questi anni, se ora è così facilmente disposta a far parte di una giunta così politica. In secondo luogo l’incarico preannunciato ma posticipato, da un lato la rende meno indipendente nella parte finale della sua fase lavorativa in Ausl Romagna, dall’altro lascia al sindaco le sue deleghe per i primi mesi, di fatto rendendo i dirigenti delle aree interessate i veri assessori finché non entrerà in carica l’assessore vero».

La nota termina con un giudizio sospeso sul più giovane degli assessori, Hiba Alif, «limitandoci a ricordare che la città non ha un buon ricordo di chi fece un simile e così prematuro percorso: qualcuno si ricorda Martina Buby Monti?».

Scurati all’Almagià: «Oggi nel mondo una situazione simile a quella che portò a Mussolini»

«La situazione generale che portò il mondo al fascismo e al nazismo oggi si sta ripetendo. Quella storia sta tornando». Così lo scrittore Antonio Scurati, intervistato da Giovanna Pancheri di Sky Tg24, all’incontro del 13 giugno sulla “democrazia fragile”, organizzato all’Almagià di Ravenna da Legacoop Romagna e Anpi, in collaborazione con Conad.

Il pomeriggio è stato aperto da Romina Maresi, vicepresidente Legacoop Romagna, seguita dai brevi interventi del sindaco Alessandro Barattoni, del presidente di Anpi Ravenna Renzo Savini e del presidente di Conad Mauro Lusetti. L’evento si è concluso con il saluto di Paolo Lucchi, presidente di Legacoop Romagna.

Scurati parte dalla terra che lo ospita, dalle unioni di contadini e dalle leghe bracciantili che costellavano le piane limitrofe al corso del Po. Racconta di come divennero il principale obiettivo delle iniziali violenze fasciste, di come le camicie nere guadagnarono soldi e ammirazione dai ricchi e dai proprietari terrieri che temevano ambienti come le cooperative e le case del popolo. Parla di Nullo Baldini e della colonna di fuoco (la colonna di autocarri che distrusse e incendiò numerose “case rosse” nelle province di Forlì e Ravenna), di Italo Balbo e della violenza. Così si distrugge la democrazia – sottolinea Scurati – a suon di legnate e fucilate, uccidendo chi si unisce e chi si oppone, «facendo fuori quelle importanti e feconde realtà come le case del popolo e le cooperative».

Rispondendo a una domanda su Piazzale Loreto, Scurati spiega come sia necessario elevarsi a uno sguardo equanime. Le salme esposte e martoriate rimangono uno scempio «ma non dimentichiamoci cosa fu il fascismo, capiamo le circostanze». Scurati racconta dunque come si è arrivati ai corpi appesi di Benito Mussolini e Clara Petacci partendo dalla storia di 15 militanti antifascisti, «uccisi a mitragliate, e non a fucilate, il fucile riserva un’ultima pietà alla vittima. Furono le SS di Milano a scegliere un gruppo di fascisti italiani per compiere l’atto, dopo che in un mancato colpo dei Gruppi di Azione Patriottica un sottufficiale tedesco era rimasto ferito. 15 a 1 era la legge del taglione applicata dai nazisti, e quell’1 non era neanche morto, solo ferito. Furono prelevati da un carcere, ingannati e colpiti con sventagliate di mitragliatrice in Piazzale Loreto. I corpi furono lasciati dilaniati al suolo senza che nessuno potesse posare un fiore, il Piazzale costantemente pattugliato». Continua Scurati, passando a Mussolini, che «viene a conoscenza del fatto ma non mostra nessuna compassione». Dalle lettere con Clara Petacci «si capisce anzi che prova pietà solo per se stesso, non ha alcuna stima, rispetto, dignità per il popolo italiano, mentre centinaia di migliaia di ragazzi italiani muoiono nelle steppe Sarmatiche, in Nord Africa, sulle rive del Danubio per colpa sua».

Discutendo più strettamente di democrazia, Scurati cita la Resistenza. Un gran numero di coloro i quali resistettero al fascismo per tutta la sua durata ventennale sperava nella rivoluzione comunista, nell’affermazione di un’unica forza rossa, «ma in realtà, nel quotidiano, soprattutto durante la guerra, quei partigiani e quelle staffette si trovarono a cooperare con anarchici, democratici, cattolici, repubblicani e da lì si posero le basi per la democrazia di oggi».

Si continua parlando di fascismo, di quello che fu e di ciò che è divenuto oggi. In una parola: «Violenza». La violenza è il fondamento del concetto di fascismo, non esiste fascismo senza violenza. Ci sono però caratteristiche che ritornano. «Il mondo oggi è pericolosamente simile all’Italia che generò la dittatura di Mussolini: grande sconforto democratico, un futuro incerto, una rivoluzione che non arriva mai, delle ricchezze e un benessere promessi dal sistema che in realtà non si sono mai visti. Il fascismo non fa promesse reali, semplifica la realtà e fa diventare un problema uno straniero, un invasore, un diverso, un debole diventa la causa della rovina della nazione. Racconta grandezza attraverso la forza, basta la violenza per sgomberare il campo. Quella storia, di semplificazione, menzogna e seduzione, sta tornando». Parla delle ormai chiare tendenze autoritarie di Trump e sottolinea come la linea sia tracciata, che è arrivato il momento di decidere da che lato si vuol stare.

A una delle domande conclusive su come “fare” la democrazia, Scurati inizia da Lenin, e il celebre opuscolo del 1902, “Что делать?” (“Che fare?”): «La democrazia la si pratica, la si coltiva tutti i giorni, “come una vite” – dice – la si annaffia, si spargono i pesticidi, la si lega ai sostegni e alla fine si gode del nettare che le sue bacche producono». Scurati spiega come la sua generazione, figlia di un’epoca ricchissima, di spensieratezza, di sicurezza nell’avvenire e nella democrazia avrebbe potuto contribuire molto più di quanto ha fatto. «Oggi ogni gesto conta, dallo scendere in piazza all’educare i propri figli, nipoti, studenti», per “coltivare” quella che lo scrittore crede essere la migliore delle forme politiche mai ideate dalla specie umana.

L’incontro finisce con Pancheri che chiede di cosa parlerà il suo prossimo libro, dopo più di 10 anni di lavoro per la saga di M. ll figlio del secolo: «Dopo 10/12 anni di racconto di fascismo dal di dentro, di immersione totale, vi piacerebbe questa volta riemergere e ascoltare il racconto, da un altro punto di vista, di una storia di antifascismo?».

Alla Consar Ravenna arriva lo schiacciatore bulgaro Samuil Valchinov

Arriva dalla Bulgaria il primo rinforzo in attacco della Consar Ravenna, in procinto di disputare una nuova stagione di A2, con l’obiettivo di raggiungere i play-off promizione.

Si tratta del 23enne schiacciatore Samuil Valchinov, nato a Plovidv il 21 dicembre 2001, 202 centimetri di altezza, reduce da un’ottima stagione in A2 nella Banca Macerata Fisiomed alla sua prima esperienza in Italia. Valchinov ha chiuso l’annata con 369 punti realizzati, 14esimo marcatore della A2, con 43 muri e 22 ace. Il suo percorso pallavolistico è iniziato in patria nel Victoriya Plovdiv, dove è rimasto quattro annate, poi è proseguito e si è consolidato nel Levski Sofia, dove ha militato cinque annate, nel Deya Volley di Burgas e nel Montana. Valchinov fa parte del gruppo della nazionale bulgara e si sta dividendo tra la rappresentativa maggiore, che sta disputando la Nations League e prepara i Mondiali di settembre, e la selezione B, guidata da Francesco Mollo.

«Posso dirmi soddisfatto della mia prima stagione qui in Italia, la reputo molto positiva – spiega Valchinov – sia sul piano sportivo che su quello personale. È stata dura, piena di emozioni: ho trovato un campionato molto competitivo, con tanti ottimi giocatori e in generale una straordinaria organizzazione.  A Ravenna punto a crescere ulteriormente e a consolidare il mio gioco e la mia esperienza. Da avversario, nello scorso campionato, ho potuto ammirare la bellezza dell’impianto e il calore e il sostegno dei tifosi di Ravenna, oltre alla qualità generale dell’organico. Sono entusiasta di entrare a far parte di questa società e di giocare in una città così ricca di storia e di trionfi. Voglio contribuire ad aggiornare questa storia e a prendere tutto il meglio possibile da questa annata che inizierà fra qualche mese».

Ottavo giocatore bulgaro della storia pallavolistica di Ravenna, Valchinov indosserà la maglia numero 21.

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