La presidente uscente traccia un bilancio, non particolarmente generoso, degli ultimi anni: «Non ci sono luoghi pubblici dove i giovani possano sperimentare: le risorse non aumentano e i beneficiari restano gli stessi»

Presidente di Arci dal 2022, dopo un precedente mandato, Roberta Cappelli sta per lasciare le redini, con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza. A lei abbiamo chiesto come ha visto cambiare la città dal suo osservatorio di associazione che si occupa di cultura, giovani, politica, ambiente.
Stanno aumentando o diminuendo i circoli, presidente?
«Diciamo che noi continuiamo a ricevere richieste, è un periodo in cui c’è molto movimento, magari qualcuno chiude, ma altri aprono o vorrebbero aprire, nonostante una riforma del Terzo Settore non proprio incoraggiante. Se non fosse che c’è un problema di spazi a prezzi accessibili in città».
Di che tipo di spazi parla e per farci cosa?
«Innanzitutto, mancano spazi dove i ragazzi possano auto-organizzarsi, decidere loro come stare e per fare cosa, luoghi dove non siano guidati o sorvegliati».
Un po’ come il Quake in Darsena?
«Non proprio. Il Quake va benissimo, è utilissimo, ma è comunque un luogo strutturato, dove ci sono educatori che organizzano le attività; io parlo invece di spazi dove i ragazzi possano decidere da soli cosa e come farlo. Spazi che possano essere frequentati liberamente e dove non sia necessario spendere. Avevo sperato che potesse nascere qualcosa del genere nell’ex Ostello Dante, ma non è stato possibile…».
Sta forse lanciando un messaggio al sindaco che verrà?
«In un certo senso sì, in questi anni passati si è intesa la cultura come offerta di spettacoli, incontri e tutto questo va benissimo. Ma stiamo perdendo di vista il fatto che cultura è anche il modo in cui si fanno le cose: responsabilizzare i ragazzi, farli diventare parte attiva, dare loro la possibilità di fare e di sbagliare è secondo me fondamentale».
E perché l’Arci non si fa promotrice di un’iniziativa simile?
«Per la verità abbiamo sempre le porte spalancate a tutti i gruppi che vengono da noi con un’idea di città, società, dello stare insieme. E noi saremmo anche disposti a cercare sul libero mercato, ma gli affitti sono diventati improponibili e insostenibili per un normale circolo. Per fortuna ci sono ancora le case del Popolo, ma non sono sufficienti e non c’è un’edilizia pubblica pensata per questi scopi. Dobbiamo forse rivolgerci a un supermercato?»
Ma il Comune cosa potrebbe fare concretamente?
«Da anni il Comune sostiene, sia per gli immobili sia con i contributi, un certo numero di associazioni che hanno progetti molto interessanti, ma ormai non c’è più spazio per nessun altro. Le risorse non aumentano e i beneficiari restano gli stessi, anche quando sono realtà strutturate. C’è un problema di equilibrio fra stabilità e innovazione. Questa è una città con potenzialità che non vengono espresse, si ha la sensazione di essere in un ambiente un po’ paludoso».

Oltre che di cultura e giovani, Arci si occupa anche di sociale, lì le cose vanno meglio? Voi facevate parte del tavolo della povertà, per esempio, che fine ha fatto?
«Avevamo messo in piedi progetti interessanti in rete con molti soggetti della città, come Ecologia di comunità, che portava avanti l’eredità di Nutrire Ravenna, incentrato sulla povertà alimentare: stato dell’arte e nuove prospettive. Avevamo alcuni obiettivi concreti: un osservatorio permanente e un progetto di cucina popolare, ma non c’è stato niente da fare. Il tavolo ha perso pezzi, non c’è stato sicuramente l’appoggio necessario da parte della politica e quello slancio si è arenato. Per noi l’idea di progetti che servano a “togliere etichette” è prioritario. Collaboriamo con molte associazioni che si occupano di povertà, contribuiamo a “Tutti i bambini e le bambine vanno a scuola”, ma manca una progettualità di più ampio respiro, mentre il tema delle povertà è sempre più pressante. Anche noi associazioni abbiamo delle responsabilità: le diverse organizzazioni dovrebbero mettere da parte la difesa delle proprie peculiarità ed essere più disponibili a lavorare insieme per una città sempre migliore».
La scuola è sempre stata una delle preoccupazione di Arci, anche qui il Comune potrebbe fare di più?
«Sì, la scuola è fondamentale. Una scuola per tutti e tutte è la precondizione per una società giusta e democratica. E anche qui, credo che in realtà il Comune potrebbe avere un ulteriore ruolo di visione complessiva, con progetti che possano coinvolgere parti o intere generazioni di ragazzi e ragazze. È stato così per il sostegno alla scuola senza zaino o al Progetto Liberi dalle Mafie o alla outdoor education, ma sono passati ormai diversi anni, e il contesto generale è molto peggiorato».
Sta descrivendo una città, dopo l’ultimo mandato di De Pascale, oggi in Regione, che ha perso progettualità dal basso, che non sta sperimentando e non sta investendo sui giovani. Un giudizio piuttosto severo…
«Mi sembra che si sia contribuito, non in modo consapevole, a diffondere l’idea che non si possa cambiare, che ormai le cose devono andare così, che non si può fare nulla per cambiarle davvero».
E però alla fine le persone e gli elettori sono soddisfatti, e non lo abbiamo visto solo nelle urne. Penso per esempio alle poche e sporadiche manifestazioni contro il rigassificatore, a cui voi avete aderito…
«Anche io faccio parte di quegli elettori, ma credo fortemente che il confronto e il conflitto siano il sale della democrazia e un motore di cambiamento. Nel caso del rigassificatore, il sindaco ricordo che organizzò un incontro pubblico per presentare il progetto dove parlavano Snam e vari tecnici di Arpae, dei vigili del fuoco, senza opinioni diverse. Sembrò una prova di forza, più che un momento in cui i cittadini potessero essere ascoltati coi loro legittimi dubbi. Anche da situazioni come quelle si lancia il messaggio che non si può esprimersi davvero liberamente e soprattutto che non ci sono alternative credibili».
Ma secondo lei esiste un problema di censura in città?
«Direi soprattutto di autocensura. In un clima generalizzato in cui chi la pensa diversamente è per forza contro e basta, le posizioni si semplificano, si formano due squadre e l’approfondimento, la complessità, sono inutili appesantimenti. Spesso poi deridere una posizione sostituisce il confronto».