Alla scoperta di un artista poliedrico che porta il pubblico oltre il concetto di concerto, di teatro, di danza. Per un’esperienza da vivere senza pregiudizi

Heiner Goebbels, tedesco classe 1952 – ospite del Ravenna Festival: al teatro Alighieri il 7 giugno, con la “messa in scena” della composizione Surrogate Cities – è un singolare artista poliedrico: musicista e compositore, coautore di opere teatrali, performance, installazioni sonore e musiche per la danza e il cinema. Negli anni 70 e 80 si cimenta in concerti e improvvisazioni in duo con Alfred Hart, spaziando fra jazz, art-rock, musica elettronica ma è noto anche per le collaborazioni con ensemble orchestrali e centri di ricerca di musica contemporanea come l’Ensemble Modern di Francoforte e l’Ensemble InterContemporain di Parigi, firmando composizioni e opere capaci di abbracciare e intrecciare diversi generi di arti performative. Fra l’altro, non bastasse la sua multiforme attività creativa, Goebbels è stato anche direttore artistico del festival triennale (2012-14) “Ruhrtriennale – Festival der Künste”, considerato uno degli eventi culturali internazionali più innovativi di inizio millennio.
«Goebbels fa parte quei rari casi di figure creative che hanno un seguito e attraversano i campi di musica, teatro, danza, superandone i limiti convenzionali, ma soprattutto è un artista che proviene da esperienza non accademiche – sottolinea Franco Masotti, uno dei direttori artistici del Ravenna Festival che nel corso delle edizioni ha ideato memorabili eventi e produzioni di musica contemporanea, pop, crossover, etnica e multimediale –. Come musicista è della generazione che appartiene alla musica improvvisata europea ma si è formato anche nell’ambito dell’art-rock. Oltre alla rock band avanguardista Cassiber e al duo Goebbels und Hart, sempre con Hart, mette insieme la “bizzarra” formazione orchestrale Sogenanntes Linksradikales Blasorchester che in italiano significa più o meno “Fanfara di ottoni cosiddetta di estrema sinistra”, che si ispira alla musica di Hanns Eisler, compositore tedesco di sinistra che ha collaborato con Bertolt Brecht, e rievoca pure Nino Rota e le orchestrazioni di Frank Zappa. Tanto per comprendere parte dei suoi orizzonti musicali e dei suoi riferimenti artistici».
Scrive a proposito il giornalista e musicologo Giordano Montecchi, in un testo critico redatto appositamente per il Ravenna Festival: «Ci sono percorsi molteplici che possono illustrare che cosa HG fa e perché lo fa. E perché il suo “comporre” con una pluralità di mezzi non corrisponde, non si pone in continuità coi generi musicali o teatrali ereditati dalla storia, e neppure si lascia ricondurre nella cerchia di certo postmoderno col suo consueto pluralismo disinvolto e qualunquistico […] Sullo sfondo, dunque, si delinea la silhouette di John Cage che, certo, per Goebbels è una fonte di ispirazione (in particolare l’ultimo Cage delle Europeras). La libertà dell’approccio, il culto dell’anticonvenzionale, le consapevoli sfumature di humor, l’arte dello spiazzare, sono certo comuni. Ma tanto Cage è profondamente americano nel sentirsi estraneo e libero da ogni tradizione o eredità storica, tanto invece Goebbels è profondamente europeo – termine che conserva ancora, nonostante tutto, un profondo significato. Europeo in quanto l’esercizio della critica è in lui incoercibile, in quanto radicato nelle riflessioni e negli insegnamenti di coloro che indubbiamente sono stati e restano i suoi maestri, in primis Heiner Müller, Bertolt Brecht, Gertrude Stein, Elias Canetti e, per la musica, Hanns Eisler».

«Ecco, appunto – condivide Franco Masotti – negli ultimi decenni del ‘900 Goebbels si affaccia con una sua precisa poetica anche nel mondo del teatro collaborando con il drammaturgo e regista Heiner Müller, fra i più influenti autori della scena teatrale europea della seconda metà del XX secolo. Con Müller crea alcuni straordinari lavori per la scena e inventa una forma di teatro musicale contemporaneo particolarmente originale e dirompente, che esce dai canoni di vocalità eccessivamente impostate di certe produzioni attuali, preferendo esaltare il suono, i fonemi del testo, anche parlato, o contaminare il contesto con canti alieni. Sperimentando modi per rendere la musica un evento teatrale».
A proposito, possiamo inserire in questa ricerca anche l’opera per così dire multimediale di Goebbels proposta dal festival… «Certo, Surrogate Cities è una suite di brani composta nel 1994 – puntualizza Masotti –, e potrebbe apparire come un lavoro sinfonico per orchestra, tuttavia il compositore interviene nel concerto con una regia, per cui dispone in modo non ortodosso e “gioca” con la formazione orchestrale (80 elementi della compagine Cherubini), un campionatore di suoni e alcuni solisti, fra cui il vocalist John De Leo, che nella versione ravennate prende il posto del noto performer David Moss, che aveva assunto originariamente quel ruolo nell’opera. In ogni città, per l’appunto, in cui si svolge, Surrogate Cities è allestita ed eseguita in modi sempre diversi, che interrogano e si sintonizzano col luogo. L’opera che vedremo a Ravenna prevede un light design specifico e l’intrusione in scena di oggetti residuali e di archeologia industriale».
Riporta sempre il musicologo Montecchi, da una sua conversazione sull’opera con l’artista: «Surrogate Cities è un tentativo di avvicinarsi al fenomeno della città da diverse prospettive, di raccontare storie di città, esporsi ad esse, osservarle; è un materiale sulle metropoli accumulatosi nel corso del tempo. Il lavoro è stato ispirato in parte da testi, ma anche da disegni, strutture e suoni, e con la giustapposizione di orchestra e campionatore che gioca un ruolo considerevole in virtù della sua capacità di memorizzare suoni e rumori normalmente estranei alle sonorità orchestrali. Le mie associazioni rimandano a un’immagine realistica della città moderna, certamente contraddittoria, ma in fin dei conti positiva. Il mio intento non era ricavarne un primo piano, ma tentare una lettura della città come testo, per poi tradurre in musica qualcosa della sua meccanica e della sua architettura… A fronte delle dinamiche di potere della città, l’individuo è sempre la parte più vulnerabile. L’arte si ribella a questa struttura opprimente rafforzando l’elemento soggettivo. Anche la musica è composta da una prospettiva fortemente soggettiva, poiché i compositori di solito giustificano ciò che scrivono dicendo che “hanno bisogno di esprimersi”. Per me questo è vero solo in parte. Cerco di prendere un po’ più di distanza: costruisco qualcosa che si confronti col pubblico; e il pubblico reagisce, scoprendo nella musica uno spazio in cui può entrare insieme alle proprie associazioni e idee».
La novità dell’approccio artistico di Goebbels è anche la definizione da parte sua di una “estetica dell’assenza” dove i protagonisti dello “spettacolo” fanno altro di quanto ci si aspetti, in certi casi addirittura spariscono, o si trasferiscono affaccendati altrove. È l’irruzione dell’inatteso o della casualità, che a suo modo richiama un maestro dell’avanguardia musicale come John Cage, caro a Goebbels. Dove una scena spaesata o apparentemente inerte, sollecita chi ascolta e guarda a farsi attivo, e a riempire questi vuoti enigmatici, a immaginarli, a ri-compensarli. Insomma, parliamo di una “vetta” dell’arte performativa contemporanea che segna l’edizione del festival di quest’anno.
«Da un certo punto di vista è proprio una eccezione – conferma il direttore artistico Masotti –, che si allinea ad altre produzioni originali ed eventi sul versante della ricerca e della sperimentazione artistica che abbiamo ospitato negli ultimi trent’anni. Tanto per fare alcuni esempi molto recenti citerei fra i protagonisti i ritratti che abbiamo proposto di Philip Glass e Frank Zappa. Goebbels, nonostante il suo coraggio e valore avanguardistico e di genio creativo, in Italia non ha ricevuto la dovuta attenzione e credo che la sua presenza al festival sia un giusto tributo a un artista della ricerca musicale contemporanea estraneo a certi concettualismi, certamente non autoreferenziale o ideologico».
Per concludere, sul palcoscenico del festival, ecco l’offerta musicale di un autore, come si diceva, che mette in atto diverse dimensioni estetiche che possono convivere, confondersi ma anche entrare in conflitto. Questo genere di “concerto” può anche creare sconcerto, e talvolta esprimere un senso ironico e umoristico, compendio e distacco, divertito e divertente, del bello delle sue invenzioni musicali. Un obiettivo che potremmo definire anche politico, molto attento e partecipe, per quanto provocatorio, al ruolo autonomo, curioso, del pubblico e alla sua sensibilità, che diventa così uno dei soggetti della rappresentazione.
Un invito a un ascolto/visione esperienziale, senza pregiudizi.