Tra gli ospiti internazionali del Ravenna Festival 2025, particolarmente significativa è la presenza di Noa, attesa il 2 giugno a Riolo Terme nell’ambito della rassegna “Romagna in fiore”, dove si esibirà insieme a Rachele Andrioli & Coro a Coro.
Nata a Tel Aviv nel 1969 da una famiglia di origini yemenite, Noa è cresciuta a New York, dove ha sviluppato la sua passione per la musica. Tornata in Israele a 17 anni, ha iniziato la sua carriera collaborando con Gil Dor, con cui ha creato un sound che fonde musica mediorientale, jazz e influenze pop.
Inutile negare che la presenza di una musicista israeliana in questo momento storico si carica di una valenza doppia, soprattutto se la sua musica ha sempre avuto il tema della pace e della convivenza come colonne portanti. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lei, partendo naturalmente dal suo lavoro di musicista.
Che tipo di concerto dobbiamo aspettarci al Ravenna Festival? Che brani pensa di eseguire?
«Sono molto onorata di tornare al Ravenna Festival, dove mi sono già esibita in passato. Avremo un vero “super gruppo” di musicisti sul palco. Insieme a Gil Dor, chitarrista e direttore musicale, ci sarà Daniel Dor, un batterista fantastico e nipote di Gil, Ruslan Sirota, pianista che ha vinto il Grammy, e Omri Abramov. Eseguiremo alcuni brani dal nostro nuovo album in uscita, The Giver, prodotto da Ruslan. E poi suoneremo una selezione di canzoni da vari dischi precedenti, con nuovi arrangiamenti e molto freestyle, oltre ad alcuni brani da Letters to Bach».
Tra le tantissime collaborazioni su progetti tanto eterogenei, a questo punto della sua carriera, come ama definirsi? Quale genere sente più suo e quali brani esegue con più entusiasmo?
«Ci ho messo trentacinque anni a definire me stessa come me stessa. Non mi interessano definizioni generiche o limitanti e non canto mai nulla che non sento profondamente mio».
Cosa la rende più orgogliosa della sua carriera? E quali collaborazioni?
«Sono orgogliosa di tutto quello che ho fatto; orgogliosa di essere da 35 anni con Gil ma anche orgogliosa di aver la forza e la passione per esplorare nuovi territori e nuove persone, sono orgogliosa del mio impegno per i diritti umani e le battaglie sociali e ambientali, orgogliosa di aver sempre difeso i valori umani e sopra ogni cosa la pace, sono orgogliosa di essermi fatta guidare dal cuore».
Come ricorda la sua collaborazione con il maestro Piovani e Benigni ne La vita è bella?
«Vi racconto la storia: quando Nicola Piovani mi contattò per chiedermi di collaborare alla colonna sonora scrivendo un testo, ascoltai il brano che mi aveva proposto e subito capii che non era la melodia giusta. Gli chiesi quindi di permettermi di scrivere le parole per il secondo brano, che mi sembrava più ritmato e più adatto a me. Lui fu molto sorpreso dalla mia richiesta perché non era ciò che aveva in mente. Stavo correndo un grosso rischio nel fare quella proposta: Piovani era già allora un compositore pluripremiato che apprezzavo tantissimo, un artista famoso e rispettato e molto più esperto di me, mentre io ero solo una cantante agli esordi. Avrebbe potuto dirmi di lasciar perdere e avrei perso la più grande occasione della mia carriera. Ma in cuor mio sapevo che il secondo brano era quello giusto per me. Gli proposi di scriverlo insieme a Gil, produrlo e, se non gli fosse piaciuto, sarei stata pronta a scrivere le parole per il primo, quello a cui pensava lui. Per fortuna, sia a Piovani che a Benigni piacque tantissimo quello che Gil e io avevamo fatto e il resto è storia (la colonna sonora, con quella canzone, “Beautiful That Way”, vinse il premio Oscar, ndr). Sono orgogliosa di quella collaborazione, del coraggio e della sensibilità che richiese quel successo. Quella canzone ha toccato ormai milioni di cuori nel mondo».
E in futuro? Con chi vorrebbe lavorare?
«Mi piacerebbe collaborare con molti artisti e nessuno. Sono curiosa di tutto quello che riguarda la musica e i musicisti, ma conto solo su me stessa. Collaborerò con chiunque troverò affascinante e talentuoso, indipendentemente dal successo commerciale».
Ci può dire qualcosa dei suoi prossimi progetti?
«Sono completamente assorbita dal progetto The Giver, un nuovo album di cui sono particolarmente felice».
Qui si esibirà in una delle tante aree che sono state alluvionate: qual è il suo rapporto con la Romagna e come ha seguito gli eventi calamitosi che si sono susseguiti? Come artista, crede sia importante o possibile contribuire a far crescere la consapevolezza tra i cittadini e i suoi fan a proposito del cambiamento climatico?
«Ho suonato spesso in Romagna e amo questa regione. La notizia delle inondazioni mi ha rattristata e preoccupata, ho pregato che i miei amici qui fossero sani e salvi. Credo che il cambiamento climatico sia l’enorme sfida della nostra epoca: richiede una cooperazione internazionale e sempre maggior consapevolezza. Stiamo sprecando tempo in guerre inutili mentre la vera guerra, la più disastrosa di tutte, viene ignorata o addirittura negata! Personalmente sono coinvolta nel progetto chiamato “Reefs of Hope” che riguarda la necessità impellente di proteggere la barriera corallina del Mar Rosso settentrionale».
E la guerra? La musica può ancora mandare un messaggio di pace?
«Certo che può… e dovrebbe farlo. Sempre».
Come sta vivendo la situazione in Israele e Palestina? Che rapporto ha ancora con il suo Paese di origine? Come potrebbe spiegare a un europeo, un italiano, cosa sta succedendo? Concorda con l’uso del termine “genocidio” per descrivere quanto sta accadendo a Gaza?
«Questo è un momento molto difficile sia per gli israeliani che per i palestinesi. Siamo entrambi ostaggi di leadership distruttive, estremiste, corrotte e pericolose. In questo momento ci stanno entrambe trascinando in un orrendo bagno di sangue, una spirale di violenza che non fa che peggiorare, una trappola mortale, senza soluzioni all’orizzonte. Entrambi i nostri popoli dovrebbero fare tutto il possibile per liberarsi di Hamas e Netanyahu. Sono contenta quando vedo le dimostrazioni contro Hamas a Gaza e le enormi manifestazioni contro Netanyahu e la sua coalizione estremista e contro la guerra, nel mio paese. Io per prima sono molto attiva in questo senso. Inoltre, nella società civile c’è una forte collaborazione tra palestinesi e israeliani, che è motivo di speranza. Diverse organizzazioni con cui collaboro, come Standing Together, Women Wage Peace, Women of the Sun, Parent’s Circle Family Forum, Combatants for Peace, e molte altre, stanno mostrando incredibili capacità di resilienza e umanità radicale in questi tempi orribili, aiutandosi le une con le altre, chiedendo la pace. Credo che l’orribile catastrofe in cui viviamo possa essere anche un’opportunità per mettere fine a questo incubo! L’unica soluzione è un dialogo che parta da un rispetto reciproco e la definizione di due stati confinanti. Potremo vedere la guarigione quando ci saranno un lutto e un dolore reciproci per le cose terribili che ci siamo fatti gli uni agli altri in decenni di conflitto. Da questo potranno nascere una creatività reciproca, la ricostruzione e la pace. Serve un accordo locale, con il sostegno e le rete di sicurezza della comunità internazionale. Questa sarebbe la strada da seguire, ma sarà possibile farlo solo dopo che sia Netanyahu che Hamas saranno stati sostituiti da una leadership decente, in grado di portare speranza a entrambi i popoli».
(l’intervista – traduzione a cura di Federica Angelini – è stata realizzata a metà aprile e pubblicata sul Ravenna Festival Magazine, a cura della nostra redazione)