Intervista all’ex allenatore della Nazionale e bandiera del Milan che parla anche della crisi attuale dei rossoneri: «Un grande peccato per una società di questo calibro non arrivare in Europa»

Venerdì 6 giugno alle 19, al circolo tennis di Faenza, il Milan Club “Carlo Sangiorgi” ospiterà Roberto Donadoni, una delle figure più autorevoli e rispettate del calcio italiano. Da protagonista in campo con il grande Milan di Sacchi e Capello (con cui ha conquistato tre Coppe dei Campioni, sei scudetti e una Supercoppa Europea) a tecnico apprezzato per rigore, competenza e visione tattica. Donadoni ha lasciato il segno anche in panchina, guidando club come Napoli, Parma e Bologna, oltre alla Nazionale italiana nel biennio post-Mondiale 2006. Il celebre volto noto del calcio arriverà nella città manfreda per incontrare i tifosi, raccontare aneddoti di carriera e riflettere sul presente e sul futuro del pallone.
Lo abbiamo intervistato in anteprima, e con la sobrietà che da sempre lo contraddistingue ci ha offerto un proprio spaccato sul calcio attuale e non solo.
Cosa fa adesso Donadoni, uno che Platini definì “il miglior giocatore italiano degli anni 90”?
«Sto portando avanti un po’ di cose mie personali, poi sto collaborando due volte al mese con Radio Serie A, restando sempre aggiornato sul calcio».
Vorrebbe tornare ad allenare?
«Se c’è una buona opportunità, perché no».
Negli ultimi anni ha rifiutato qualche offerta?
«Sì, non nascondo che ci sono state un po’ di situazioni, però non si è mai concluso nulla. Vediamo prossimamente».
E invece, dato che siamo a ridosso della finale di Champions e lei è un esperto, avendone vinte tre: cosa ne pensa dell’Inter? Cosa provano i giocatori prima di scendere in campo?
«Difficile dire quello che si prova perché è sempre qualcosa di abbastanza personale. È chiaro che è uno degli appuntamenti più importanti nella carriera di un calciatore, e poi a maggior ragione per il caso dell’Inter, che ha visto sfumare la possibilità dello scudetto all’ultima giornata, direi che questa è veramente una grandissima opportunità. Chiaramente è uno di quegli appuntamenti dove gli stimoli, l’attenzione e tutte le risorse che uno ha, e che sono rimaste, sono incanalate per raggiungere l’obiettivo. Nonostante una stagione così pesante l’Inter cercherà di tirare fuori tutto in un’occasione unica e spesso irripetibile».
E quale consiglio darebbe ad Inzaghi da allenatore?
«In queste circostanze non c’è da consigliare nulla. Inzaghi sa benissimo cosa deve fare perché è un grande allenatore. Oltretutto conosce perfettamente il suo spogliatoio, l’ambiente e la realtà. Sono quelle situazioni che si capiscono solo vivendole all’interno, di conseguenza ti puoi adeguare e avere un atteggiamento di un certo tipo tastando il polso della squadra e dell’ambiente».
Lei ha allenato a lungo in Emilia-Romagna tra Parma e Bologna. Quest’anno, in regione, il Cesena ha disputato i playoff di B, il Ravenna ha vinto la coppa di serie D, il Rimini ha vinto la coppa di serie C, il Sassuolo è tornato in A, il Bologna ha vinto la Coppa Italia. Pensa che ci sia un filo conduttore tra questi successi e una capacità più alta rispetto alla media di fare calcio? E se sì a cosa può essere dovuto?
«Sono tante e molteplici le cose: l’organizzazione, la possibilità di lavorare in serenità, le strutture adeguate a disposizione di uno staff. Credo che in generale in Emilia-Romagna il calcio sia ben strutturato e in questo modo si agevola il lavoro del tecnico, di chi costruisce la squadra e di conseguenza arrivano i risultati».
Per quanto riguarda il Milan, visto che lei è stato un grande ex, cosa ne pensa di questa crisi attuale? Come se ne può uscire?
«Beh, il Milan ha attraversato un’annata veramente difficile con più bassi che alti e alla fine non è riuscito ad ottenere una posizione in classifica che gli consentisse di accedere alle competizioni internazionali. Credo che per una società come il Milan questo sia veramente un peccato, ma credo anche allo stesso tempo che i dirigenti facciano tesoro di questo e quindi sapientemente correranno ai ripari».
Quindi pone fiducia alla società nonostante le critiche provenienti dai tifosi?
«Diciamo che quando non si ottengono i risultati le critiche fanno parte del gioco, quindi, bisogna saperle accettare. Credo che la società abbia tutte le intenzioni di costruire bene il futuro e mi auguro che sia così».
Da calciatore ha militato anche nel campionato arabo per sei mesi (in cui ha vinto il campionato con l’Al-Ittihad) e ha allenato in Cina. Il calcio arabo sta attirando molti calciatori nel pieno della carriera, pensa che possa essere il futuro o è solamente un exploit di qualche anno come il caso cinese?
«Sono stato in Arabia nella parte finale della mia carriera. Ora è vero che sta attirando e attraendo, però non credo che ci siano realmente i presupposti per far diventare futuribile il calcio arabo. È chiaramente un fenomeno emergente per l’aspetto economico che ha indiscutibilmente la priorità. Molti giocatori e allenatori vengono attratti da questo e non gliene faccio una colpa ma penso anche che sia difficile vedere l’Arabia Saudita emergere come grande potenza calcistica negli anni a venire».
Invece tornando proprio ai suoi anni al Milan: Donadoni era un giocatore che da ala cercava sempre il fondo e il cross. Un prototipo di calciatore che si vede sempre meno. Secondo lei perché è cambiato così tanto il ruolo e quali giocatori adesso le assomigliano di più?
«Fare paragoni non mi è mai piaciuto. Anche da giocatore non mi piaceva essere paragonato a qualcun altro. Credo che ogni epoca abbia un po’ le sue modalità, le sue caratteristiche, le sue peculiarità. Il calcio si evolve continuamente, le cose cambiano e quindi a volte si richiedono e si ricercano anche determinate caratteristiche tecniche. Detto questo i giocatori di talento sono ancora tanti e bisogna saperli coltivare».
Uno che le piace adesso del calcio attuale?
«Mi piacciono i giocatori che sanno essere uomini di squadra, che sanno dare il loro contributo a livello tecnico e di personalità».
Ha giocato con grandi campioni ed allenato ottimi giocatori nelle sue esperienze di allenatore. Qual è il più forte con cui ha giocato e il migliore che abbia mai allenato?
«Non è una domanda facile perché ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni al Milan, ma sicuramente in quella squadra era un piacere condividere il campo con un calciatore del calibro di Van Basten. Da CT della Nazionale ho avuto il piacere di allenare i migliori giocatori italiani di quel periodo, che tra l’altro venivano dal mondiale vinto nel 2006. Uno su tutti Pirlo, dal punto di vista tecnico, è stato probabilmente il più forte che abbia avuto a disposizione nella mia carriera da allenatore».