A Bagnacavallo il telecronista di Sky, una delle voci più note del calcio in tv, con quasi 2.500 live in carriera. L’importanza delle parole: «Palla filtrante è meglio di imbucata»
Sciarpa al collo per dieci mesi all’anno, per proteggere le corde vocali, e la settimana lavorativa comprende la visione di una quarantina di partite di calcio. È il mestiere del telecronista secondo Stefano Borghi, una delle voci più note del pallone contemporaneo. Con la cinquantina di gare raccontate in questa stagione per Sky Sport, di cui l’ultima a Bilbao per la finale di Europa League il 21 maggio scorso, le telecronache in carriera sono ormai 2.500. Il 43enne giornalista originario di Pavia sarà a Bagnacavallo il 30 maggio al Sonora Fest.
Il titolo dell’incontro di Bagnacavallo è “Il salotto del calcio che abbiamo sempre sognato”. È un’esplicita attestazione di stima verso un certo modo di raccontare il pallone, un modo che trova spazio in maniera trasversale fra i media. Perché piace?
«Veniamo da anni in cui la standardizzazione dei mezzi di comunicazione ha portato a un linguaggio che parlava di calcio in una maniera un po’ semplicistica, che conquista superficialmente, ma non nel profondo. Negli ultimi anni c’è stato un innalzamento della profondità del linguaggio, anche perché il pubblico è più competente avendo accesso a più informazioni. Lo spettatore ha voglia di un racconto profondo e appassionato. Questo non può che farmi piacere perché è proprio la mia propensione».
Ci sarebbe bisogno di parlare di più degli aspetti veramente tecnici del calcio? Spiegare i movimenti in campo, le tattiche…
«Credo che questo manchi sempre meno. Se penso a Sky Sport mi vengono in mente tutti gli approfondimenti trasmessi durante la settimana. Soprattutto con la capacità di partire dai numeri, senza fermarsi a quelli: la statistica è interessante se è lo spunto per un concetto».
L’incontro a Bagnacavallo si tiene il 30 maggio, giornata in cui esce la prima puntata di 90-10, il suo nuovo format di Sky Sport. Che prodotto sarà?
«Quando Sky mi ha proposto un format di storytelling per me è stato come ricevere una medaglia perché vuol dire che ti inserisci nel solco di gente come Buffa e Porrà. Raccontiamo storie di calcio comprese tra il 1990 e il 2010. Abbiamo aperto gli archivi di Sky ed è uscito del materiale straordinario. La particolarità sarà raccontare un momento particolare. Per esempio: di Baggio racconto il suo 1993 in cui vinse la Uefa e il Pallone d’oro che oggi sarebbe impensabile, e di Mourinho racconto la genesi del suo Porto».
Da Bilbao con la finale di Europa League ha fatto l’ultima telecronaca della stagione. Quante in totale quest’anno e quante in carriera?
«Quest’anno dovrebbero essere tra 40 e 50, che non sono tantissime per le mie abitudini. In totale dovrei essere attorno a 2.500».
Qual è quella cui è legato più di tutte?
«Impossibile sceglierne una. Ho fatto una ventina di clasicos Real-Barcellona e dovendone scegliere uno direi quello con il gol di Messi all’ultimo minuto al Bernabeu. Ma anche la sfida Boca-River al Bernabeu. Potrei dire anche l’amichevole Scozia-Argentina del 2008 che era l’esordio di Maradona come allenatore».
Sarà capitata qualche gaffe in diretta…
«Ricordo un Pisa-Viareggio di Lega Pro del 2011 seguita per Sportitalia. Danno un rigore agli ospiti e in diretta dico che lo calcia Cesarini, la seconda punta che era il rigorista abituale. Invece aveva calciato Fiale, difensore centrale che sbagliò. Me lo dissero dopo in cuffia. A mia parziale difesa posso dire che ero in una postazione piuttosto sfortunata, con uno schermo minuscolo e le maglie bianconere non avevano il riquadro sulla schiena. Ci rimasi malissimo, ma il producer Matteo Fragni mi consolò dicendo: “Farai tanti altri errori in carriera, ma questo non lo farai più”. E infatti è vero: prima di dire un nome aspetto di essere sicuro, al massimo temporeggio…».
Qual è la sua preparazione prima di una telecronaca?
«È una preparazione continua, che non si ferma mai. In un anno posso dire che ci sono una ventina di giorni in cui davvero non faccio nulla legato al mio lavoro. Alla base di tutto c’è la documentazione. Importante è guardare le partite, per conoscere i giocatori, le caratteristiche, le movenze. Di solito seguo ambiti diversi in una stessa stagione: ricordo un anno a Dazn in cui feci quasi cento telecronache tra Serie A, Liga, Europa League e Coppa Libertadores. Di norma guardo una quarantina di partite a settimana. Anche la lettura dei giornali è necessaria, per essere aggiornato, ma per una buona telecronaca mi è più utile aver visto le ultime 5 partite di una squadra piuttosto che aver letto tutti gli articoli. Una cosa che di sicuro non consulto sono i profili social network dei calciatori: non credo che allo spettatore importi cosa ha fatto o detto con la sua fidanzata…»
Il linguaggio è il principale strumento di lavoro. Avete delle regole a Sky o si è dato delle regole personali sull’uso di certe parole e non altre?
«Dove ho lavorato finora non ho mai avuto imposizione su cosa dire o cosa non dire. La regola che mi sono sempre imposto è di parlare in modo chiaro: il nostro fine è informare. Poi ho anche il dovere di usare la lingua correttamente e voglio offrire un linguaggio di livello. Se uno spettatore impara un termine dalla mia telecronaca la considero una grande vittoria».
I tecnicismi sono ammessi?
«Sono interessanti se si possono spiegare, altrimenti preferisco qualcosa di diretto e chiaro. La riaggressione è un concetto ultratecnico, che posso far capire aggiungendo 4 parole. Ma non userò half spaces, meglio corridoi intermedi».
Ci sono parole che le piacciono più di altre?
«Non dirò mai imbucata, perché palla filtrante è molto più bella. Le catene esterne non mi piacciono, meglio le fasce».
E i braccetti?
«A me non dispiace. Visivamente rende l’idea, se pensiamo alla disposizione in campo. Il termine ancora più corretto sarebbe “terzini” perché sono i terzi della difesa, ma ormai se lo uso la gente pensa al laterale della difesa a 4».
Ogni telecronista ha alcuni “marchi di fabbrica”. Sono studiati?
«Di solito nascono senza volerlo e poi te li porti dietro. Uso spesso “sgasata” perché penso che renda bene l’idea. Alla fine della partita dico “fischia tre volte” e il nome dell’arbitro: ho iniziato così alla prima telecronaca e continuo. Però certe espressioni sono ormai associate a una voce e non ha senso che le utilizzino altri. Abbiamo un linguaggio talmente ampio».
I telecronisti più noti spesso hanno timbri di voce unici che hanno fatto le loro fortune. È una dote necessaria?
«Se te lo costruisci hai già perso. Le persone che mi conoscono di persona spesso si stupiscono dicendo che parlo come nelle telecronache. È ovvio, la mia voce è quella».
E la pronuncia dei nomi stranieri? Vanno italianizzati o meglio cercare di replicare la dizione nella lingua originale?
«All’inizio della mia carriera ero molto più rigido, poi mi sono un po’ ammorbidito. Rispettiamo più possibile l’accentazione e le regole della lingua originale: la doppia elle di Castellanos va pronunciata nel modo argentino e non spagnolo. Ma non rendiamoci patetici con sforzi eccessivi».
E fino a che punto il telecronista può spingersi nell’entusiasmo e nell’esaltazione?
«Non mi preparo cosa dire per chi segna e dobbiamo avere bene in mente che non stiamo commentando sempre la partita dell’anno o del secolo. Non ti dirò mai che una partita è bella se invece è brutta. Devo dirtelo per spiegarti perché, ben sapendo che può essere brutta per 70 minuti e diventare bellissima per gli ultimi 20».
E le esultanze?
«Provateci voi a restare calmi se state commentando Inter-Barcellona 4-3 o il gol di Messi in Real-Barcellona. Ma poi dico: perché frenarsi? Di fronte a certi eventi credo sia legittimo aprire i rubinetti e cedere al “gasamento”».
Come protegge uno strumento prezioso come la voce?
«Vivo dieci mesi all’anno con la sciarpa al collo, non mi piacciono nemmeno ma le porto sempre, di pesantezza diversa in base alla stagione. E già in agosto la metto perché l’aria condizionata è micidiale. Consigliano di utilizzare con costanza l’erisimo, che è un’erba specifica, ma io lo faccio solo a ridosso delle partite. E poi puoi pregare. Con l’onestà di rinunciare se ti trovi in condizioni non accettabili perché poi il telespettatore lo sente e la fruizione non è più piacevole».
L’evento di Bagnacavallo è organizzato da Radio Sonora, un progetto che è possibile soprattutto grazie alle tecnologie online. La sua prima telecronaca fu Venezia-Ascoli il 7 novembre 2004 che venne trasmessa su Rosso Alice, un progetto di Tim. Una partita trasmessa in streaming all’epoca era una sperimentazione e ora è la prassi. C’è qualcosa che oggi nelle telecronache del 2025 è appena accennato e potrebbe consolidarsi in futuro?
«La mia sensazione, senza pretese di prevedere il futuro, è che avremo un’evoluzione verso la pluralità di voci durante il live. Già oggi abbiamo telecronista, commento tecnico, bordocampista e commento arbitrale. Ho l’impressione che queste potrebbe aumentare ancora: magari un esperto di tattica, qualcuno inserito nell’ambiente dello stadio. È una suggestione».