mercoledì
10 Settembre 2025

I sindacati contro Enel: «Deve tornare a investire. Verso il collasso del servizio»

I sindacati chiedono a Enel di tornare a investire, «se vuole portare a termine gli impegni presi per la realizzazione di progetti legati al Pnrr e per garantire un buon funzionamento della rete».

Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil parlano di «situazione molto critica anche a livello locale» con il nuovo modello organizzativo, portato avanti unilateralmente dall’azienda, che non starebbe portando i frutti sperati. Nel Ravennate sono operativi 70 dipendenti ma le scelte organizzative hanno di fatto dimezzato gli effettivi per ogni turno, «creando un boom di trasferte, ordini di servizio e task force per potere gestire gli innumerevoli blackout e le emergenze sulla rete di distribuzione elettrica».

Filctem, Flaei e Uiltec, da mesi, hanno aperto una vertenza, «per ottenere non solo qualità e dignità del lavoro e dei lavoratori, ma anche per garantire un servizio efficiente ogni volta che nelle abitazioni viene a mancare l’energia elettrica». I sindacati chiedono «più assunzioni e un cambio del modello organizzativo» sottolineando come solo lo spirito di sacrificio del personale di Enel – Distribuzione abbia evitato per lunghi periodi di sopperire alla carenze organizzative aziendali. «Il nostro territorio, negli ultimi anni, è stato un esempio, i lavoratori hanno gestito le emergenze climatiche, dai tornadi alle alluvioni, con grande professionalità e dando piena disponibilità. Nelle ultime settimane – prosegue la nota dei sindacati – abbiamo inviato una mail via Pec ai Prefetti di tutta Italia, compreso quello di Ravenna. Non abbiamo avuto alcuna risposta. Abbiamo coinvolto anche la politica in maniera trasversale scrivendo a tutti i capi gruppi di Camera e Senato per metterli al corrente della situazione oramai non più sostenibile».

A Ravenna, come nel resto d’Italia, si sono svolti negli ultimi mesi tre presidi accompagnati da altrettanti scioperi: «Il modello organizzativo di Enel è fallito – concludono i sindacati –. Enel ha stravolto l’organizzazione del lavoro, senza aprire ad un numero adeguato di assunzioni. Tutto questo sta portando al collasso l’operatività del servizio e sta mettendo a rischio l’incolumità delle persone costrette a sobbarcarsi turni estenuanti di lavoro, ben al di là di quanto fissato nel contratto».

La “Notte rossa” dell’Advs in spiaggia tra festa in maschera e fuochi d’artificio

Domenica 27 luglio sulla spiaggia di Marina di Ravenna approderanno i colori del carnevale con la “Notte Rossa” Carnival Theme, l’appuntamento estivo dedicato alla donazione di sangue, organizzato da Advs Fidas Ravenna.

L’evento, giunto alla sua decima edizione, vuole celebrare e diffondere la cultura del dono e la sua importanza. La donazione di sangue e plasma è fondamentale in qualsiasi periodo dell’anno e soprattutto in estate, momento critico dato dal calo di donazioni nonostante il bisogno di emoderivati aumenti. Per questo motivo è fondamentale sensibilizzare la popolazione a prenotare la propria donazione di sangue o plasma prima di partire per le vacanze.

Dalle ore 19.30 sulla spiaggia del Bagno Corallo di Marina di Ravenna, inizia la grande festa con lo spettacolo “Nil Do Brasil”, il Dj Set Berdondini e lo spettacolo di fuochi d’artificio.

La serata si apre con la cena sulla spiaggia con pasta, spiedone di carne con contorno e il cocomero fresco, il tutto a soli 15 euro. L’intero ricavato della serata sarà utilizzato per la promozione della donazione di sangue.

Per tutta la serata sfilata di maschere di carnevale e per ogni partecipante “mascherato”, alle 22 un bombolone gratis fino a esaurimento scorte. Il gran finale è previsto per le ore 23 con i fuochi d’artificio in riva al mare.

Prenotazioni entro il 22 luglio fino ad esaurimento posti allo 0544/403462.

Info: www.advsravenna.it.

Una pedalata “per la pace” a Russi

C’è chi corre verso il riarmo. E chi, come Emergency, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, Tavolo per la Pace Russi e Comune di Russi, sceglie di pedalare verso la pace.

A Russi, i gruppi locali di queste associazioni organizzeranno per lunedì 21 luglio una pedalata accessibile, per riportare nella vita quotidiana un messaggio collettivo contro la logica delle armi e a favore dei diritti: il percorso partirà alle ore 18 da piazza Farini, sotto lo striscione R1pud1a appeso sotto il loggiato del Comune, e si concluderà al Parco Falcone e Borsellino; a seguire Pastasciutta Antifascista e concerto a cura di Anpi. Il percorso sarà di circa 6 km all’interno del Comune di Russi, con fermate ai cippi e luoghi della Resistenza. Sarà una delle decine di pedalate simboliche organizzate dalle associazioni per «Pedaliamo per la Pace», un evento diffuso per portare un messaggio urgente e necessario: la pace si costruisce insieme, scegliendo percorsi comuni, invece di alimentare divisioni.

A tutti i partecipanti verrà consegnato uno «straccio di pace», simbolo del rifiuto della guerra – di tutte le guerre, da portare con sé. Un gesto collettivo per dire che la pace si può portare, insieme, faticando, anche in salita. Il calendario in costante aggiornamento con le date e le località è pubblicato su: emergency.it/pedalata andiamoinbici.it

Per informazioni: Emergency Faenza, tel. 338 6977693.

Il lupo, da archetipo del male ad animale non più in competizione con l’uomo

Autore di romanzi e saggi di antropologia legati al nostro territorio, Eraldo Baldini da tempo scrive di lupi, o meglio del rapporto tra uomo e lupo e della sua difficile convivenza nei secoli. Per prima cosa, quindi, dopo l’apparizione di un lupo alle porte del centro di Ravenna, gli abbiamo chiesto se la nostra sia storicamente una terra di lupi. «In passato – spiega l’antropologo – l’Italia era tutta terra di lupi e il lupo è tra gli animali che storicamente ha più interagito con l’uomo, perché sono due animali ai vertici della catena alimentare e nel tempo sono entrati spesso in attrito. Non a caso e per secoli questa faccenda si è risolta con una lunga operazione da parte dell’uomo di contenimento e sterminio, tanto da arrivare nel 1900 alla quasi estinzione dell’animale, eccetto qualche esemplare nelle Foreste casentinesi».

Baldini ci racconta come per ogni lupo ucciso il cacciatore per secoli veniva premiato economicamente da parte delle autorità o dagli allevatori. Poi negli ultimi decenni il cambiamento radicale delle economie del territorio che si è accompagnato a una nuova sensibilità rispetto al tema della fauna selvatica, ha riportato una diffusione dell’animale sia in collina, sia nelle pinete, da dove forse proveniva l’esemplare avvistato nel parcheggio dell’ospedale Santa Maria delle Croci il 7 luglio. «Quell’immagine mi ha fatto una grande tenerezza – commenta Baldini – non sono uno zoologo, ma mi è sembrato un esemplare forse giovane in dispersione, che si guardava intorno senza capire dove fosse finito, piuttosto disorientato». “In dispersione” è come si definisce l’esemplare che si allontana dal branco divenuto forse troppo numeroso alla ricerca di nuovi spazi, perché, dice ancora Baldini, «il lupo è un animale che si autoregola».

Ma quindi oggi il lupo non è più un pericolo? «Oggi, a differenza di quanto accadeva in passato, il lupo ha di che nutrirsi grazie per esempio alle nutrie, ai daini in pineta, non è quindi in concorrenza con l’uomo, come accadeva quando la popolazione umana era soprattutto non inurbata e viveva in insediamenti nelle campagne, con allevamenti diffusi. Allora ci poteva essere concorrenza per lo spazio e il cibo, oggi non più». Del resto proprio da quel mondo nasce l’immagine archetipica del lupo come minaccia tramandata da tante fiabe. Nasce anche la figura sovrannaturale del “lupo mannaro”, ossia il lupo che si nutre di uomini.  «Accade probabilmente nei secoli in cui la cristianizzazione delle campagne si manifesta mettendo in campo la paura per la figura del diavolo, della strega e in generale di creature che sconfinavano nel sovrannaturale. Troviamo il lupo mannaro in cronache del ‘500 e ‘600 e fino al  ‘700. Non possiamo negare che nella storia non ci siano stati mai attacchi di lupi agli uomini: basti pensare che spesso a badare per esempio i greggi di pecore venivano mandati bambini anche di cinque o sei anni. Ma le ragioni che possono aver portato a questi confronti oggi non ci sono più».

Quindi non c’è motivo di aver paura del lupo, oggi? «Per il momento il lupo il cibo ce l’ha, anche se come ogni predatore non disdegna il  cibo facile, come l’orso. Noi, da parte nostra, dopo un’assenza di questo animale tanto prolungata, dobbiamo forse riprendere abitudini che avevamo perso, alcune accortezze, come tenere gli animali domestici più riparati e i rifiuti più custodi o mettere un recinto per gli animali dove prima non c’era. Precauzioni minime che erano abituali in passato. In questo momento non ci sono elementi di contrasto vitale e per fortuna mi sembra che ci siano tante persone che hanno accolto questo ritorno con gioia.  Siamo lontani da quell’“ammazziamoli tutti” dominante in passato, in cui un certo antropocentrismo vedeva l’uomo come padrone di tutto, autorizzato a liberarsi di ogni concorrente».

9791259784018 0 0 0 0 0Un rapporto quello tra l’uomo e la natura in continuo mutamento che è anche al centro del recente volume firmato da Eraldo Baldini a quattro mani con Massimiliano Costa dal titolo La Romagna selvatica ieri e oggi (Il Ponte vecchio). «È una fotografia, molto accurata, dell’oggi alla luce anche del cambiamento climatico e che per questo potrebbe mutare in fretta. Un esempio su tutti? Gli uccelli migratori che oggi non hanno più bisogno di andarsene in inverno perché continuano a trovare il cibo…». Per approfondire questo argomento di sicuro fascino, il prossimo appuntamento è mercoledì  16 luglio alle 21 al bagno Luana Beach di Marina di Ravenna con gli autori.

«Con il “Don Chisciotte” ho conosciuto il vero teatro, dove gli Erranti, gli spettatori, sono parte dell’opera»

Oggi sono uno spettatore di parte. Sono a una replica a Palazzo Malagola del Don Chisciotte ad ardere di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Io ho iniziato, come migliaia di ragazzi e ragazze di Ravenna, in un coro teatrale alla non-scuola. Non so quante città in Italia possano vantare qualcosa di simile, non credo molte. Io, in prima media, ho scoperto una chiamata, una storia, durata otto anni di non-scuola e un anno di Don Chisciotte. Quell’anno, a 18 anni – era il 2023 – ho conosciuto il vero teatro. Un grande set che prendeva vita: Marco Martinelli che dirigeva le operazioni, Ermanna Montanari che mi istruiva sulla posizione in scena, Roberto Magnani, Alessandro Argnani e Laura Redaelli che ripetevano le loro parti. Mentre tutt’intorno un coro di genti diverse, che arrivavano da tanti mondi.

Coro è la parola fondamentale per raccontare questo spettacolo, questa compagnia, quel Teatro delle Albe che sta pian piano, da decenni, spiegando a Ravenna, all’Italia e al mondo cosa può fare un gruppo di gente apparentemente comune che si dà regole, battute e voce. La ripetizione e le prove mettono a punto un’orchestra che inizia dall’entrata nel “Di legno porton” – così lo definisce Ermanita (Ermanna Montanari) nel monologo d’apertura – e termina sostanzialmente alla terza anta sul palco del Rasi, dove corpi e figure si muovono come burattini sul palco del “Teattrino” un’ultima volta nelle 4 ore di spettacolo, per lasciar spazio alla morte di Don Chisciotte, senza pentimento. Un coro di arti affianca le genti, canto, disegno, scenografia, sceneggiatura, glossolalia, musica e racconto, una scultura a tutto tondo di ciò che siamo in grado di rappresentare.

Nella prima anta la passeggiata per palazzo Malagola è mozzafiato, le musiche, le danze e le scene corali guidano; ricordo la minuziosità di Martinelli nel posizionare tutti quanti in modo da creare un quadro in movimento, dove ognuno era fondamentale allo sviluppo della scena. Io avevo giusto qualche battuta, come molti altri, Martinelli veniva da ognuno di noi, si ripeteva e si provava, si ripeteva e si provava. Vengono presentati i personaggi e gli attori che li interpretano, facciamo conoscenza con le dinamiche della compagnia composta da Roberto del Castillo, Laura Ros de la Brianza e Alejandro Argnan de Puerto Foras (Magnani, Redaelli, Argnani), dalle scene traspare un’intesa costruita in anni di lavoro insieme. Gli interventi di Marcus (Martinelli) ed Ermanita danno infine respiro a un ritmo teso e incalzante.

Lo spettacolo prosegue sfondando spesso la quarta parete: si usa questa tecnica per parlare di teatro, della compagnia stessa, nella seconda anta al Palazzo di Teodorico, della fatica di fare teatro in questo mondo, ma quindi della sua importanza, di quello specchio “luminoso e zoppicante” che è l’arte drammatica, necessaria a tutti.

Il messaggio politico è forte e chiaro. il Don Chisciotte ad Ardere è contro la guerra, contro il “maledetto archibugio”, contro la tendenza a cui il mondo che dista ormai secoli dai tempi di De Cervantes si sta abbandonando, contro i triliardi di dollari nelle mani di pochi, contro la fame, lo sfruttamento, per le donne, per la parità dei generi.

I migliori momenti sono sicuramente alcuni monologhi di Don Chisciotte o Roberto del Castillo (Magnani) sulla guerra e sul mondo nella prima e terza anta; invece a illuminare la notte al Palazzo di Teodorico è un folgorante intervento nella seconda dal gruppo delle Marcelle e dei Marcelli su una ragazza adolescente usata come schiava di piacere per mezza Europa e lasciata con suo figlio in grembo “sul fondo di un lago”. La terza anta inizia con un ritorno alla Divina Commedia e un rinfresco al Forno la “Vela Bianca” di Sancho Panza al ridotto del Teatro Rasi con pane, acqua e vino; si prosegue poi nel vero e proprio teatro con le nozze di Gamaccio, dove il coro riprende centralità con danze e musiche. Dopo un poderoso intervento da alcuni minuti tutto d’un fiato, saltellando a destra e sinistra, di Sancho Panza (Argnani) lo spettacolo si conclude con le ultime battute dei cinque protagonisti, la morte di Don Chisciotte e un immenso cavallo alato posizionato nell’abside della chiesa che ora ospita il palcoscenico.

Uno sforzo “titanico” come lo definisce Martinelli, dove gli Erranti, gli spettatori, noi, sono parte dell’opera; un mondo intero prende vita, una città chiamata a raccolta, un gruppo di artisti che mette in atto un grande lavoro. Con i suoi pregi e i suoi difetti, con la sua partecipazione e la sua politica, con la sua fatica e la sua storia, questo è il Teatro delle Albe.

Bilancio da record per Arco Lavori. Nel 2025 si punta ai 500 milioni di euro di fatturato

L’assemblea di bilancio del Consorzio Arco Lavori, svoltasi all’hotel Mattei di Ravenna nei giorni scorsi e aperta dal saluto dell’assessore Massimo Cameliani, ha presentato risultati in decisa crescita. Il valore della produzione ha superato i 400 milioni: si attesta infatti a 401.300 milioni (contro i 304 dello scorso anno) con un trend di crescita del 32%. Il capitale sociale del consorzio è oggi di 15 milioni e 613 mila euro.

Nella sua relazione, il direttore generale Emiliano Battistini ha anche evidenziato la situazione in prospettiva, che sposta ancora più in alto le previsioni: il portafoglio ordini prevede infatti un ulteriore incremento di fatturato, che nel 2025 dovrebbe avvicinarsi ai 500 milioni.

Dal punto di vista delle modalità operative, in un mercato in rapido cambiamento, il presidente Mauro Cassani ha affermato che «la sfida futura di Arco Lavori si gioca su un modo diverso di fare consorzio, anche dal punto di vista economico». Come esplicitato anche nel documento ufficiale di bilancio, Arco Lavori si propone ai propri soci e al mercato come un network di nuova generazione, che ha come obiettivo «promuovere, attivare e gestire il cambiamento da struttura consortile tradizionale verso nuove forme di aggregazione tra consorzi e imprese, per creare un sistema integrato proattivo, dotato della capacità di prevedere e di affrontare con dinamismo i cambiamenti del mercato, coniugando al tempo stesso valori storici come la solidarietà e la mutualità con fattori più chiaramente di stampo imprenditoriale».

Centinaia di persone ricordano Vigor Bovolenta al Bagno Obelix – FOTO

Centinaia di pallavolisti, appassionati, e amici hanno ricordato ancora una volta Vigor Bovolenta. Il pallavolista della Nazionale è scomparso il 24 marzo del 2012, all’età di 37 anni, a seguito di un malore durante la partita tra Forlì e Lube Macerata. Dopo sette anni, il “Bovelix” è tornato ad animare la spiaggia del Bagno Obelix di Marina di Ravenna con tornei 4×4 misti giovanili e open, che hanno coinvolto oltre 200 partecipanti e nomi noti del volley italiano. Il ricavato dell’evento sarà devoluto all’associazione “I Ragazzi di Via Angiolina”, impegnata nel sostegno alle famiglie colpite dall’alluvione in Romagna.

Davanti ad una folta cornice di pubblico, il torneo open è stato vinto dalla squadra “Tre uomini e due gambe” composta da Lorenzo Grottoli (giocatore di Lecce in A3), Paolo Zonca (Ziraat Ankara, con cui ha vinto il campionato e la coppa turca), Filippo Bartolucci (Consar Ravenna) e Lara Salvestrini (Iannino Volley Santa Teresa di Riva in B1). In una finale giocata ad alto ritmo, hanno trionfato contro i “Fefos” che, oltre a Caterina Ravaioli (Liverani InVolley), avevano tra le fila tre giocatori ravennati che nella stagione 2024/2025 hanno calcato i campi di serie A: Davide Gardini (Padova), Francesco Recine (Milano) e Alessandro Bovolenta, figlio di Vigor, che gioca a Piacenza.

Al via le prevendite per la Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival

Si rinnova il dialogo fra la raffinata regia di Pier Luigi Pizzi e la sapienza musicale di Accademia Bizantina e Ottavio Dantone per la Trilogia d’Autunno, dal 12 al 16 novembre: se nel 2024 hanno affrontato insieme Monteverdi e Purcell, quest’anno Händel è protagonista assoluto con due nuovi allestimenti dei suoi Orlando (12, 14 novembre) e Alcina (13, 15 novembre), a cui si aggiunge l’esecuzione del Messiah (domenica 16), in questo caso con Dantone alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e il Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini” preparato da Lorenzo Donati.

Con questo trittico intitolato L’invisibil fa vedere Amore continua anche il percorso del Teatro Alighieri alla scoperta e riscoperta del repertorio lirico del Seicento e primo Settecento – cosiddetto “barocco” – con interpreti d’eccellenza e importanti firme registiche.

Da lunedì 14 luglio sono disponibili i carnet Trilogia (3 spettacoli con il 15% di sconto sul prezzo dei biglietti), presso la Biglietteria del Teatro, telefonicamente (0544 249244), online (ravennafestival.org), presso le filiali La Cassa di Ravenna Spa e gli IAT di Ravenna e Cervia. Le prevendite carnet continuano fino all’8 agosto e poi dall’1 al 13 settembre. I singoli biglietti saranno invece in prevendita dal 15 settembre.

Cordoglio per la morte del maestro pizzaiolo Nicola Grittani. Recitò anche in un film di Sorrentino

Cordoglio a Ravenna e non solo per la morte del pizzaiolo e imprenditore Nicola Grittani, classe 1955, a causa di una grave malattia. Originario di Bari ma da molti anni ravennate d’adozione, Grittani aveva fondato la nazionale acrobati pizzaioli, campione del mondo a Las Vegas 1992 e primo direttore della squadra acrobatica nata nel 1988 a Ravenna.

Tra i promotori negli anni ottanta della “pizza da asporto”, Grittani (noto a Ravenna in particolare per il locale “La mia patria”, in zona Duomo) ha collaborato con altri professionisti; molti locali in Italia hanno la sua firma, apprezzato all’estero, è stato chiamato per aprire e organizzare pizzerie e ristoranti in tutte le parti del mondo, dagli Stati Uniti fino agli Emirati Arabi.

Insieme al fratello gemello Franco ha anche ottenuto una parte ne “L’amico di famiglia”, film di Paolo Sorrentino del 2006.

«Sempre discreto – lo ricorda l’amico di famiglia Nicola Tritto – lascia un segno indelebile nella nostra comunità, un imprenditore attento e orgoglioso delle sue origini, orgoglioso di contribuire con la continuità della sua arte, un Maestro che nessuno mai dimenticherà. Ciao Nicola, grazie di tutto».

In arrivo a Ravenna la Ocean Viking con 16 migranti salvati nel mare di fronte alla Libia

Tornerà a Ravenna la Ocean Viking, la nave Ong della Sos Mediterranee, con a bordo solo 16 migranti. Lo comunica sui social la stessa associazione umanitaria, il giorno dopo aver tratto in salvo i migranti nell’area di mare di fronte alla Libia.

«In risposta, le autorità hanno assegnato alla Ocean Viking il porto di Ravenna, a oltre 1.600 chilometri di distanza – si legge in un post sui social -. Si ripete la solita prassi di assegnazione di un porto lontanissimo, in questo caso per sbarcare solo 16 persone e quindi impedendoci per molti giorni di essere presenti in uno dei tratti di mare più pericolosi al mondo».

La nave è attesa a Ravenna tra martedì e mercoledì.

Tra sogno e natura, quel mondo che non c’è più della Romagna tra Ottocento e Grande guerra

Il mondo che non c’è più: potrebbe essere questo il sottotitolo fantasma di Tra sogno e natura. Da Miserocchi a Guaccimanni passando per Don Chisciotte, la mostra a Palazzo Rasponi di Ravenna – curata da Paolo Trioschi e Giorgio Costa – che attraverso un buon numero di dipinti, disegni e incisioni, realizzati fra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni attorno alla prima guerra mondiale, restituisce paesaggi, vedute urbane, persone e lavori di una Romagna ormai tramontata.

I testimoni di un mondo rurale e di una città all’albore delle sue vocazioni moderne sono artisti ben conosciuti ai collezionisti ravennati, a cominciare dal fiorentino Arturo Moradei (1840-1901) che nell’ottobre 1870 venne chiamato a Ravenna per insegnare pittura alla locale Accademia di Belle Arti. Il maestro si era formato a Firenze, allora meta quasi obbligata per molti artisti romagnoli dell’Ottocento, dove aveva sperimentato diversi linguaggi principalmente per la pittura di paesaggio. Contemporaneamente frequentava il noto Caffé Michelangelo in cui – grazie a Fattori, Signorini, Cecioni, Lega e Cabianca – si metteva a punto criticamente e tecnicamente la pittura di macchia. Tornato in patria dopo la partecipazione alle guerre di indipendenza e la prigionia in Austria, Moradei aveva preso distanza dagli sviluppi dei macchiaioli per avvicinarsi alla pittura di storia, su derivazione della pittura romantica. L’interesse mai dismesso per il paesaggio, a cui aveva aggiunto la ritrattistica soprattutto degli umili, era avanzato secondo il verbo verista. Il suo stile aumenta o diminuisce a fisarmonica di intensità emotiva e coinvolgimento patetico: in alcuni dipinti (Ritratto di giovane uomo, 1886; Donna che cuce) Moradei applica una pittura fedele alla realtà allevata su un occhio disincantato, con una partecipazione narrata quasi in terza persona. Altre volte invece, come nel Corteggiamento o nelle Due ragazze, il naturalismo accetta compromessi con una declinazione sentimentale, alimentata dal grande successo delle sue opere presso il pubblico e le riviste del tempo.
Attraverso le sezioni degli omaggi alla città di Ravenna, dei ritratti, della registrazione del quotidiano e del paesaggio, in mostra sono le opere delle più importanti personalità artistiche ravennati, tutte legate all’ambiente dell’Accademia: direttamente attraverso gli insegnamenti di Moradei oppure quelli del collega Gaetano Savini. Fra i più vicini a Moradei è Domenico Miserocchi

(1862-1917), famoso per il suo cappello di paglia a tese larghe che gli valse il soprannome di Pastorino. Dopo gli studi con Moradei, si perfeziona prima a Roma e poi a Firenze, dove lo accoglie in studio lo stesso Fattori, che lo fa approdare a un’arte ispirata alla natura, quella con cui il ravennate traduce in poesia di piallasse, di pinete e cavalli bradi, di barche all’ormeggio e palizzate ventose. A differenza di Moradei, Miserocchi ama più i paesaggi che le figure umane, soggetti tratteggiati comunque con una perizia tale da renderlo idoneo a ottenere nel 1901 la cattedra

di figura nell’Accademia ravennate, dove andrà a sostituire il suo primo maestro. Nonostante la preferenza accordata alle vedute, in mostra è possibile ammirare la sua grande capacità tecnica, quasi fotografica, nella Figura femminile

con fiori (1884). Un inedito Don Chisciotte del 1910 invece rappresenta un interessante anomalia nella carriera del Pastorino, che affronta la rappresentazione dell’hidalgo e dei suoi fantasmi quasi profetizzando la propria biografia, terminata fra le mura di un ospedale psichiatrico. In questa opera matura, Miserocchi abbandona l’usuale versione naturalista per recuperare il linguaggio romantico, sicuramente più adattabile al tema. Il riferimento iconografico quasi puntuale per alcuni particolari è alla Morte di Sardanapalo di Delacroix – da cui trae spunti per le storie a bordo quadro come il cavallo e le figure femminili –, trasferiti però in una pittura sporca, quasi di impressione, che forse si prestava meglio a rendere l’epica fantastica del protagonista. Attirano quindi le prove dei fratelli Vittorio e Alessandro Guaccimanni, entrambi allievi del Moradei a Ravenna a cui è stata dedicata nel 2013 una bella monografia, da considerare il primo passo verso una futura ricognizione sistematica del loro lavoro, apprezzato in Italia e all’estero dove lavorarono per anni ottenendo numerosi riscontri da parte del pubblico e una visibilità in mostre internazionali.

Il primo (1859-1938), terminato il corso di studi a Roma e dopo alcuni anni passati a di incarichi artistici a Venezia, nel 1902 entrerà nell’Accademia ravennate come direttore dei corsi. Lo spirito risorgimentale affermato nelle azioni della gioventù permane nella maturità in modo da giusti care la parte della produzione – incisioni, disegni, dipinti – dedicata a battaglie, ai cavalli, alle cariche e ai soldati, visti sempre attraverso un filtro eroico e mai dimesso come in Fattori. Più intimo, più naturalista quando si dedica ai paesaggi ravennati, cede talvolta al sentimentalismo per i soggetti di genere e le figure popolane. A torto, in Romagna la figura di Alessandro (1864-1927) è stata da sempre consideratavmarginale rispetto al fratello maggiore: pocovsi conosce delle sue lunghe permanenze a Londra e a New York dove si specializza in paesaggi urbani e una ritrattistica in miniature. In mostra sono alcuni incantevoli brani di paesaggio, le vedute di Ravenna e di Venezia, in cui l’acquerello lo avvicina alle fortunate e precise esecuzioni dal vero di Silvio Gordini (1849-1937).

In mostra seguono poi i lavori di Enrico Piazza, Edgardo Saporetti, Angelo Torchi, Giovanni Minguzzi, Gaspare Gambi, Orazio Toschi, Giuseppe Rambelli, Giovanni Guerrini e Alfredo Protti, tutti legati alla scuola romagnola per nascita, formazione o lavoro, e tutti riuniti nella narrazione aurorale di un territorio ormai completamente superato da quello che conosciamo.

“Tra sogno e natura. Da Miserocchi a Guaccimanni passando per Don Chisciotte” 
Ravenna, Palazzo Rasponi, fino al 20 luglio;
orari: ma-ve 16-19.30; sa-do 11-19.30
ingresso gratuito

«Il personale di polizia è l’8 percento in meno rispetto a 10 anni fa. Non possiamo garantire un servizio adeguato»

C’è stato un episodio, dal forte impatto mediatico, che di fatto ha segnato l’inizio della stagione 2025 della malamovida estiva sui lidi ravennati. Dal 22 giugno sui social network circola unfilmato in cui si vede un giovane all’interno dell’abitacolo di una volante della polizia, parcheggiata nella zona degli street bar a Marina di Ravenna, che sfonda un finestrino posteriore e fugge a piedi. È sembrato l’emblema di una località già allo sbando dalle prime battute della stagione turistica, dove i sospettati di reati (in quel caso furti su auto in sosta) sfuggono alle maglie delle forze dell’ordine (la latitanza è durata sei giorni).

La segreteria ravennate del Sindacato autonomo di polizia (Sap) è intervenuta per sottolineare che quella è la prova di quanto denuncia da tempo: «La provincia di Ravenna soffre di una cronica carenza di personale – dice Valter Rivola, in polizia da trent’anni, dal 2002 alla squadra mobile e da un anno segretario provinciale del Sap –. Gli agenti di quella pattuglia hanno dovuto lasciare momentaneamente il fermato senza vigilanza e si sono dovuti precipitare a soccorrere una ragazza di 15 anni appena rapinata e ferita a colpi di catena perché non c’erano altre pattuglie che potevano occuparsi della minorenne».

Rivola fa i conti: la dotazione di personale di polizia in provincia (questura di Ravenna e commissariati di Lugo e Faenza) oggi è circa l’8 percento in meno rispetto a dieci anni fa. Il sindacalista è convinto che il territorio provinciale avrebbe bisogno di almeno sette volanti operative ogni turno tutto l’anno: «Tre a Ravenna a servizio di città e lidi, due a Lugo e due Faenza. Oggi non è possibile garantire questo dispiegamento per mancanza di agenti».

Ma sul campo la situazione da gestire per chi è sulle volanti è diventata più complessa: «La percezione è che il consumo di alcol sempre più diffuso renda le persone, soprattutto i giovani, più inclini agli eccessi e questo poi porta comportamenti oltre le regole». Secondo Rivola sono chiari il momento e l’atto esatti da cui è cominciata la problematica del personale, per Ravenna e per tante altre realtà in Italia: «Dal 2016 le nuove assunzioni sono bloccate per la legge Madia. Da quel momento sono stati banditi pochissimi concorsi per introdurre nuovo personale e quindi non ci sono state le coperture dei pensionamenti». L’altro serbatoio che è venuto a mancare per rimpinguare le fila della polizia è la leva. «Chi sceglieva di fare l’anno di leva obbligatoria in polizia poi poteva rimanere un anno in più come volontario e poi, se superava una prova di valutazione, diventava effettivo. Tutto questo ora non c’è più».

Rispetto a dieci anni fa è cambiata anche la proporzione tra i vari profili in forza alla polizia. Gli agenti semplici sono il doppio, i dirigenti sono in calo: «La legge Madia ha bloccato anche i concorsi interni perché l’aumento di qualifiche corrisponderebbe a retribuzioni più alte a carico dello Stato». L’effetto, in questo caso, è qualitativo anziché quantitativo: «Sono andate in pensione le figure più esperte, ma non c’è stata la possibilità di un affiancamento per trasmettere ad altri le loro conoscenze. Questo è un deficit di competenze». L’esempio lampante è la situazione dei due commissariati di Faenza e Lugo. «Da un anno sono di fatto privi dei rispettivi dirigenti, autorità locali di pubblica sicurezza che, ricoprendo anche altri incarichi, difficilmente possono assicurare la necessaria presenza sul posto. Il dirigente di Faenza svolge anche il ruolo di capo di gabinetto mentre il dirigente di Lugo regge anche l’ufficio del personale. Entrambi sono quindi fisicamente in questura a Ravenna e, conseguentemente, l’attività corrente è demandata ad altre figure che non hanno né la qualifica di autorità di pubblica sicurezza né, a Faenza, quella di ufficiale di pubblica sicurezza, con tutte le implicazioni che ne derivano». E Rivola sottolinea che Faenza è un comune da quasi 60mila abitanti con un bacino di utenza di oltre 90mila persone: «Ha una popolazione maggiore di tante città sedi di questura».

Gli unici rinforzi da fuori provincia per l’estate appena iniziata servono per il distaccamento a Pinarella di Cervia, attivo dall’1 luglio: «Sono meno degli anni scorsi e quindi verranno spostati temporanemente degli agenti da Ravenna. Purtroppo la coperta è corta e c’è poco da inventarsi».

Alcune forze politiche alimentano la convinzione che ci siano troppi agenti alle scrivanie, invece che in strada. Rivola prova a fare chiarezza: «Nel totale del personale c’è un circa dieci percento di figure civili che sono dipendenti del ministero dell’Interno, ma non poliziotti. Anche per queste figure i concorsi sono sempre meno. Se vanno in pensione occorre spostare dei poliziotti su quelle mansioni. Un concorso per personale civile potrebbe spostare poliziotti su compiti più operativi e non di ufficio».

Per la fine del 2025 la dotazione complessiva di uomini e donne in polizia in provincia dovrebbe aumentare di sei agenti. «È il conteggio che tiene conto di dieci nuovi giovani in prova tra Lugo e Faenza e il saldo tra trasferimenti fuori Ravenna e verso Ravenna. Possiamo considerarci soddisfatti perché altre questure a noi vicine, come Rimini e Ferrara, non hanno avuto assegnazioni dai nuovi effettivi usciti dalle scuole di formazione».

Dal 2026 potrebbe cominciare un lento percorso verso il recupero del deficit di personale: «I pensionamenti sono in calo e un po’ alla volta si potrà colmare la mancanza. Ma sarà lento». Insomma, tra i compiti del nuovo questore Gianpaolo Patruno appena insediato ci sarà anche la gestione della coperta corta: «Non è facile e ci sono pochi margini di manovra. Gli facciamo i nostri migliori auguri e avrà la nostra collaborazione».

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