Il Magio Bike Tour pedala in salita sulle Ande. In totale 40 Paesi in 4 anni

Da Cajamarca Giovanni Gondolini e altri quattro amici stanno puntando Cordillera Blanca e poi Lima, dove l’8 giugno verrà inaugurata la prima mostra dell’avventura partita da Ravenna con foto e dipinti (quest’ultimi del pittore ravennate Luca Mandorlini) in vendita per beneficenza

DSCF0142Ormai è diventato un gruppo affiatato, quello guidato da Giovanni Gondolini in giro in bicicletta per il mondo con quello che è stato battezzato come Magio Bike Tour, partito da Ravenna nell’ormai lontano 2013 e destinato a compiere il giro del pianeta in sella. Giovanni da diversi mesi sta pedalando in Sudamerica. Il suo iniziale compagno di viaggio, Marco Meini, si è fermato per amore (e sul numero del settimanale uscito il 18 maggio pubblichiamo la sua testimonianza dopo essere diventato padre in Canada), ma Giovanni è stato raggiunto dal fratello Francesco (sullo stesso numero del giornale il suo primo reportage) e da alcuni amici (i loro report sono in questa pagina).

I cinque ciclisti ci scrivono dalle Ande, in Perù, quarantesimo Paese toccato da Giovanni che ci scrive via mail una quarantina di giorni dopo le ultime notizie dalla Colombia. «Nel frattempo abbiamo pedalato piú di mille km in Ecuador, tra Amazzonia e montagne vulcaniche. Ho trovato un Ecuador piú ricco che la Colombia con una gran voglia di crescere – scrive Giovanni –. Ci siamo trovati bene e abbiamo visitato diversi luoghi adatti anche al turismo. Dopo ottime strade verso il confine con il Perú sono ricomparse strade sterrate e molte valanghe. Sembra che la natura voglia giustamente riprendersi tutta la terra che le stiamo rubando». Da Cajamarca ora stanno puntando Cordillera Blanca e poi Lima, dove l’8 giugno verrà inaugurata la prima mostra del Magio Bike Tour con foto e dipinti (quest’ultimi del pittore ravennate Luca Mandorlini) in vendita per beneficenza.

…frena, rallenta, chiudi gli occhi, cosa senti?!
di Colin Corboy

DSCF0487L’aria nei polmoni, il sole che mi riscalda, il vento che mi accarezza la pelle, profumi di cibi lontani. E poi? Il cuore, il mio cuore che batte. Apro gli occhi e sulla cima di questa montagna, in un paesino del quale non conosco  il nome, vedo un piccolo uomo, che dopo aver posato a terra la sua bicicletta  malandata si avvicina a me. Inspiegabilmente i miei battiti aumentano. La sua statura mi fa sembrare un gigante, il suo viso è segnato dal sole, la sua barba è rada e stranamente incolta. Mi chiede : “de donde eres usted?”  Gli dico che siamo un grupo di amici italiani in viaggio nel sudamerica. Quasi mi abbraccia, i suoi occhi scuri si spalancano e sorride.     “Vi auguro tutto il meglio dal mio paese, vi ringrazio di essere qui e spero che un giorno possiate ritornare nuovamente in questa terra”. Proprio lì il mio cuore si è fermato per un’istante. Lo guardo riprendere la strada in salita, forse verso un campo lontano; io riprendo la mia, ma percepisco qualcosa di strano in me, qualcosa di tanto umano che quasi non mi permette di pedalare. Sono stato investito da qualcosa di magico. Era il potere di un piccolo grande uomo di cambiare il corso delle cose. Con un semplice gesto ha cambiato qualcosa in me. Ora sono sul balcone di un ostello di Riobamba, una città ecuadoregna sulla cordigliera centrale delle Ande a quasi 3000 metri di altitudine. Scrivo queste parole che mi permettono di riflettere su quanto siamo fortunati. Non so spiegare se questo privilegio derivi dal fatto che stiamo viaggiando in bicicletta. Forse siamo fortunati perché abbiamo semplicemente il privilegio di poter scegliere cosa vogliamo essere. Purtroppo qualche ora dopo l’incontro con quel piccolo uomo, ho saputo che l’uomo più potente del mondo ha fatto sganciare la super bomba in Afghanistan, cancellando in un istante vite umane. Siamo veramente fortunati, possiamo alzare gli occhi al cielo poi chiuderli e ringraziare che oggi, ancora una volta è solo la pioggia a cadere.

Paese che vai, donne che trovi
di Matteo Caraffi

DSCF0511Viaggiando con quattro uomini si presta più attenzione alle donne. E’ istintivo, naturale ed a tratti indispensabile per potersi confrontare con sensibilità esterne al gruppo. Così le donne mi hanno trasmesso la loro storia, il loro lato della verità. In Colombia sono le mamá che cucinano divinamente. Sono le mamasitas che non distolgono lo sguardo quando le miri e ballano salsa fino a saturare le gonne di sudore. Sono le donne sole che non trovano un hombre in grado di condividere bellezza e difficoltà della vita con loro. Poi ci sono le donne con figli che hanno lasciato lo sposo perché pigro e senza ambizione. Magari sono le proprietarie di ostelli e ristoranti, belle e toste, che hanno modellato la mia visione del sud America.  Scendendo in Amazzonia le personalità di queste donne sembrano un po’ appassite dal calore e dalla pioggia quotidiana. Poi risalendo di quota verso il cuore dell’Ecuador si svelano le origini indio. Qua donne e uomini si caricano sulla schiena sacchi grandi quanto loro, in stivali di gomma e vestiti da lavoro, cosicché si ha bisogno di ascoltarne la voce per distinguerli. A Quito abbiamo avuto anche la fortuna di incontrare delle connazionali, che grazie al servizio civile italiano svolgono qui progetti sociali, pedagogici e sanitari. Lavoravano con un’allegria che ha ricaricato anche i nostri cuori, viaggiatori testimoni delle meraviglie della natura e dell’umanitá. Poi rotolando verso sud, le donne spuntavano a colpi di machete da erbe più alte di loro, dai campi coltivati o dai mercati, sempre in gonne nere maglioni colorati e cappelli. Abbiamo contrattato il prezzo di una camera con bambine di dieci anni, lasciate a  badare gli alberghetti dai genitori. Loro future capofamiglia in un continente machista, con uomini che scappano invece di affrontare gli ostacoli, che non si fanno problemi a cambiare consorte, lasciando al caso i figli per correre tra le braccia o le gambe di un’altra. Poi ci sarà il Perù e chissà chi conosceremo, ma più pedalo e mi arricchisco, più mi convinco che questo mondo, minacciato e maltrattato dagli uomini, possa migliorare passando nelle mani delle donne.

Traveling as an Italian
di Chris Foley

DSCF0260I first met Giovanni by chance in South Korea, where I spent a few weeks cycling with him and Marco. That was my introduction to traveling with Italians. Now I’m in the immersion course on this trip from Medellin to Lima, traveling with four Italians and becoming the fifth. Everywhere we go, people ask us where we’re from, and we often just respond “somos italianos”. In this way, I’ve been traveling as the undercover American. With that comes some responsibility to act more Italian. So how do you act more Italian? I can only share what I’ve observed from my compatriots here. Be open about everything. Nothing is banned from discussion, even when the shy American side of me wishes it was. As we go along, we stay in close quarters, and it quickly becomes clear that they’re more open about nudity than Americans are. In every sense, Italians keep nothing hidden. The Italian way is also to be friendly with strangers. In every town we pass through, we get smiles. This is partly because of how funny and crazy we look on our bikes, but also because of the friendly Italian aura that surrounds us. It rubs off on me and makes me act friendlier.  Take food very seriously. There is a big focus on food on this trip. Giovanni has confessed to me that he feels very uncomfortable riding a day without an ample supply of bread packed on the bikes. Without pasta, camping is out of the question. Then there are the strict rules of Italian food. I’ve learned that certain toppings are never allowed on pizza, not even the American favorite, barbecue chicken. We are all lovers of food, and it motivates us to keep going to the next place. In all, it’s been a trip with few problems and many happy moments. We spend our time off the bikes cooking, reading, writing, telling stories, joking around. Things get a little smelly and dirty at times; that’s just the nature of traveling on a bike. I’m glad to be part of this team and see South America through this Italian lens.

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