«Napolitano si dimette, il 14  Emmò che ffamo?»

Il Presidente e il tre percento

Napolitano RenziSto passeggiando per i corridoi del Senato, tra le boiseiries barocche e le tende in broccato rosso cardinalizio. Quasi deserto. Rari capannelli di senatori si formano e si dissolvono tra la bouvette e le sale da fumo. Mormorano tra loro. «Napolitano si dimette, il 14. Emmò? Che ffamo?» Qualcun altro, specie della minoranza Pd, gongola ridacchiando: «Ah ah! Grande ‘sta storia del 3 per cento! Che figura barbina ha fatto Renzi…» Napolitano e il tre per cento, non si parla che di questo. Già. Il tre per cento. Ma che cos’è? Dopo la riunione del Consiglio dei Ministri del 24 dicembre, vigilia di Natale, una manina amica ha infilato un piccolo cadeau, l’articoletto 19 bis, dentro la bozza di decreto legislativo sulla riforma fiscale. Prima non c’era, i ministri non l’avevano visto, questo articoletto birichino. Stabilisce che non si viene più puniti se Iva o imposte sui redditi evase “non sono superiori al 3% rispettivamente dell’imposta sul valore aggiunto o dell’imponibile dichiarato”. Una norma molto democratica. Difatti stabilisce che se un barista evade quattro scontrini del caffè, totale 4 euro, sull’incasso di 100 euro, è colpevole. Ma se uno ha evaso 2,99 milioni di euro su 100, la fa franca. E chi vi viene in mente, condannato per frode fiscale? Silvio? Toh, sì proprio lui. E secondo voi la sua frode fiscale è sotto o sopra quella soglia? Toh, guarda caso, è sotto. Ha evaso solo qualche milioncino di euro (gliene hanno condonati 368 per prescrizione), così Silvio avrebbe il reato cancellato e potrebbe ricandidarsi subito alle elezioni.

Chi è stato? «Io no di certo», si è affrettato a dire il Ministro del Tesoro Padoan. «L’ho fatto inserire io», ha confessato Matteo Renzi. «La ritiro. E che non si pensi sia una legge ad personam frutto dell’inciucio». No, si figuri, mai e poi mai. È una legge pensata per i baristi, ovvio. «Mi chiede se la polemica sul 3% per i reati fiscali e sul mio assistito Silvio Berlusconi c’entri con la partita per il Quirinale? E io le rispondo di sì, altrimenti perché Matteo Renzi promette che la pratica sarà rinviata a presidente eletto e dopo la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone?» ha chiosato Umberto Coppi, avvocato di Silvio. Già. Perché poi bisogna eleggere l’erede di Napolitano. Qui al Senato tutti sanno che il 14 o il 15 si dimette. (Voglia comunicare anche a noi la data, grazie).

Ora, a me Giorgio Napolitano piace proprio poco. Ha sempre capito le cose, ma dopo, a seguito di infiniti struggimenti. Si è sempre schierato, con sofferenza dell’animo, per carità, dalla parte della ragione storica (cioè del più forte). Dopo la sua elezione al Quirinale, i giudizi più feroci furono di due suoi ex compagni del Pci. Scrisse Giuliano Ferrara: «Il suo stemma araldico dovrebbe essere un coniglio bianco in campo bianco». E Massimo Caprara: «Non ha spirito d’intraprendenza né di fantasia, né di personalismo, né di invenzione, né di scoperta, ma soltanto d’acquiescenza e di triste arrendevolezza». Napolitano prima fu fascista, poi comunista. Stalinista togliattiano poi migliorista, antieuropeista poi europeista, filosovietico poi filoamericano. Quando i carri armati sovietici invasero l’Ungheria, nel ‘56, lui disse: «Difendono la pace nel mondo». Quando il Pci doveva decidere se appoggiare o no il referendum sul divorzio, lui disse: «Il referendum è una minaccia per la democrazia», perché non bisognava disturbare l’accordo con la cattolicissima Dc di quel galantuomo di Andreotti. Cosa vuole ‘sta gente? Il divorzio? Poi magari Andreotti non mi saluta. Quando Berlinguer tuonò: «I partiti sono diventati macchine per il potere», lui disse che «sono vuote invettive» perché voleva accordarsi con il Psi di quel gentiluomo di Craxi.

Ha sempre difeso il sistema dei partiti, come adesso. Vuole che il Pd di Renzi resti bello abbracciato al Pdl di Silvio Berlusconi – un pregiudicato per frode fiscale – e Marcello Dell’Utri – uno che è dentro per associazione mafiosa, uno che ogni volta che gli parlavo, poi, temevo di trovarmi una testa mozzata di cavallo nel letto. Perché questa è la politica, baby. Per lui, l’Italia dovrebbe non avere il divorzio, essere governata da Craxi e Andreotti prima, e ora da Silvio. Poi uno dice che la fiducia nei partiti è al 4 per cento. Ah, già, è colpa dell’antipolitica.

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