Pace fatta sul Senato, Errani al governo ma non parlate di scambio. Nonnò

E ci voleva tanto? Bastava dirlo, era tutta una messinscena, altro che raffinata battaglia politica…

Vasco Errani e Matteo RenziE ci voleva tanto? Bastava dirlo, era tutta una messinscena, altro che raffinata battaglia politica tra Renziani, la maggioranza Pd, e la minoranza Pd di Bersani e D’alema, la cosiddetta Ditta. Federico Fornaro, uno dei senatori ribelli della minoranza sbotta: «Ma quale resa. Non abbiamo ceduto. Prima non si potevano eleggere i senatori, ora sì».
Ah, non avete ceduto? Mi pare che l’articolo 2, quello sulla ineleggibilità dei senatori, non sia stato cambiato di una virgola, invece, grazie all’ardita e ferma resistenza della minoranza Pd, è stata infilato un cavillo, un arzigogolo, un pirulino testuale nel comma 5, in base al quale i senatori verranno “indicati“ dagli elettori ma poi “designati“ dai consigli regionali. Accipicchia. Una gustosa arrampicata sugli specchi. In pratica, non cambia niente: i senatori non sono eletti dal popolo. Bersani parlava di «torsione autoritaria», non è cambiato niente eppure ora parla di «sostanziale apertura».

Apertura di che? A mezzogiorno di mercoledì c’è la riunione della minoranza, che serve per mettere a punto la strategia su come spiegare che la resa è una vittoria. Ma è solo una finta. Maurizio Migliavacca, nel corso della riunione, spiega che l’accordo non è in discussione. E guai a riaprire la questione. All’uscita quelli della Ditta, che parlavano di torsione autoritaria, ti spiegano che l’emendamento al punto 5 è «la sostanza democratica». Anche se si capisce che è solo un modo per salvare la faccia. È un film che si ripete: la minoranza viene sconfitta, dice che è stata una vittoria, ma perde i pezzi.

Prima furono i giovani turchi di Orfini e Orlando, a lasciare Bersani e ad andare immantinente con Renzi. Ai tempi della legge elettorale, Maurizio Martina si alleò con Renzi ed entrò nel governo, portandosi nel voto un pezzo dell’allora minoranza. E questa volta chi è stato a portare a Renzi il Senato in cambio della stabilità del Governo? Il partitone emiliano, o meglio uno che noi conosciamo bene: Vasco Errani. Quello che che Pier Luigi Bersani considera “un fratello“, anzi “mio fratello“, così lo chiama. Il Premier in questi giorni ha avuto contatti soprattutto con lui, l’ex-governatore dell’Emilia, mentre con Pier Luigi i rapporti sono segnali da un certo gelo. Ecco:  Errani. È stato lui a far ragionare Bersani sul Senato e non viceversa. Errani si è convinto che la rottura coi Renziani e la conta sarebbe stata un errore fatale: «Rischiamo di essere irrilevanti – ha detto a Bersani – e così permettiamo a Renzi di dire: ecco i frenatori, i gufi, quelli che dicono sempre no, che non vogliono fare le cose. Tu, PierLuigi, intestati la tregua, così la riforma sarà di Renzi ma anche tua, tanto passerebbe lo stesso coi voti di Verdini. E a quel punto cosa succede»?

Uno della minoranza di Bersani spiega: «Pensare che in questi giorni il mondo bersaniano fossero solo Gotor e compagnia, quelli che non volevano l’accordo, e non le cooperative, le imprese e gli amministratori delle zone rosse, significa non aver capito chi comanda lì. E quelli non solo non volevano una crisi di governo, ma volevano un numero di telefono, un interlocutore affidabile al Governo».
E l’avranno, ma guai a parlare di “scambio“. «Questa cosa di Errani – dice Gotor – gira da tempo. È sbagliato vederla come uno scambio». Già, Bersani e gli emiliani hanno siglato la pace con Renzi. E in cambio Vasco Errani entrerà nel Governo. Andrà al Ministero dello Sviluppo Economico: diventerà il sottosegretario o  forse addirittura Ministro, al posto della Guidi che a Renzi proprio non piace. Ma non chiamatelo uno “scambio“. Nonnò.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24