Breve guida al referendum sulla riforma della Costituzione

I punti fondamentali dei cambiamenti sottoposti al voto. Probabile chiamata alle urne a fine novembre. Gli schieramenti fra Sì e No

costituzioneDifficile e complesso, il referendum che siamo chiamati a votare in autunno (la data ancora non c’è, i più informati scommettono sarà tra il 20 e il 27 novembre) riguarda una riforma costituzionale, detta anche Riforma Boschi, che tocca più aspetti della seconda parte della Costituzione e non solo la trasformazione del Senato, che resta comunque l’elemento centrale e dirimente. Perché la riforma entri in vigore è necessario che i Sì prevalgano sui No, ma a differenza di quanto accade con i referendum abrogativi, non vi è un quorum da raggiungere perché il voto sia valido.
Al momento, nel panorama politico il Pd è sostanzialmente solo nel difendere le ragioni del Sì, mentre da sinistra a destra, passando per la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle, l’invito è quello al No.

Fortemente personalizzato dal Presidente del consiglio Matteo Renzi che mesi fa promise di lasciare il Governo in caso di sconfitta, non è da escludere che ci sarà chi voterà Sì o No a prescindere dal contenuto della riforma. Un rischio talmente evidente (con i No in in vantaggio secondo molti sondaggisti) da costringere lo stesso Renzi a correggere il tiro e ad ammettere di recente di aver sbagliato nella personalizzazione, spiegando anche che in caso di vittoria del No il suo tanto declamato abbandono della politica potrebbe in effetti non verificarsi affatto e, comunque vadano le cose, che si voterà nel 2018.

Resta tuttavia evidente che se vincesse il No il governo e il Pd ne uscirebbero enormemente indeboliti, e c’è chi anche nel partito sembra intenzionato ad approfittarne: c’è una fazione della minoranza Pd che non si sta sperticando per il Sì. Massimo D’Alema si è già dichiarato per il No. E vi è un gruppetto di parlamentari Dem che si è dichiarato a favore del  No (tra questi ci sono figure di spicco come Walter Tocci e Luigi Manconi). Ad andare in soccorso alle ragioni del Sì, ci sono invece realtà organizzate che si sono schierate come (sostanzialmente) la Cisl e Confindustria (quest’ultima ha addirittura paventato una possibile recessione economica in caso di vittoria del No), mentre realtà come Anpi e Arci, storicamente vicine al Pd, si sono schierate per il No in gran parte dei casi (con qualche eccezione nel nostro territorio). La Cgil non dà indicazioni di voto nonostante le critiche alla riforma, mentre la Fiom sta facendo campagna per il No. Non mancano osservatori e stampa internazionale a dire che questo voto potrebbe essere fin più dirompente della Brexit, dovesse vincere il No. Dunque che si tratti di un voto importante è cosa certa, meno certo per molti è esattamente cosa cambierà concretamente, oltre i vari possibili e in parte impoderabili scenari politici, se dovesse vincere il Sì. Ecco un breve riassunto dei punti più discussi.

firma costituzioneIl cuore della riforma: la trasformazione del Senato
Cuore della Riforma e argomento sempre citato dai sostenitori del Sì: l’abolizione del bicameralismo perfetto. Il Senato viene infatti trasformato in una camera composta da 95 senatori, tra consiglieri regionali e sindaci designati dai consigli regionali (che non percepiranno alcun compenso aggiuntivo ma godranno delle stesse immunità dei deputati), e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Per questo ci sarà una riduzione dei costi, ma molto limitata perché resterà la macchina del Senato e palazzo Madama. Oltre a cambiare composizione e numero, il Senato soprattutto cambia funzioni: non avrebbe più piena competenza insieme alla Camera su tutte le leggi come oggi, ma solo su quelle che riguardano i rapporti tra Stato, Ue e territorio, leggi costituzionali, revisioni della Costituzione, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali, leggi sulla Pubblica Amministrazione. Per il resto, può decidere, entro 30 giorni e su richiesta di 1/3 dei suoi componenti, di chiedere alla Camera di modificare una legge. La Camera può decidere di ignorare queste modifiche e votare il disegno di legge senza ascoltare il Senato. Ogni Regione dovrà indicare almeno un sindaco e ogni rinnovo dell’assemblea legislativa designerà i propri rappresentanti.

Cosa cambia per eleggere il Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica sarà sempre eletto da deputati e senatori ma non ci saranno più i 59 delegati regionali e cambiano le maggioranze con cui deve essere eletto dopo le prime votazioni. Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera e il Presidente della Camera diventa la seconda carica dello Stato.

Cosa cambia per la Corte Costituzionale
Per quanto riguarda la Corte Costituzionale i 5 giudici oggi eletti insieme dalle due Camere vengono eletti separatamente: 3 alla Camera, 2 al Senato. Inoltre, la riforma introduce la possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali per accertarne la legittimità.

La via preferenziale per il Governo alla Camera
Il Governo potrà chiedere alla Camera una “via preferenziale” per l’approvazione di una data legge ritenuta urgente. La Camera ha tempo 5 giorni per accogliere questa richiesta e deve discutere e approvare la legge entro 70 giorni. I decreti legge dovranno contenere “misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.

Province e Cnel, il vero addio
Con la riforma, le Province vengono definitivamente abolite e le loro competenze spartite tra Comuni, Regione e Stato. Viene inoltre abolito il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Per entrambi questi enti, previsti dalla Costituzione, è infatti necessaria una legge di riforma costituzionale per prevederne la cancellazione.

Principi costituzioneLe competenze tra Stato e Regione
La riforma si occupa anche dell’organizzazione e l’assegnazione delle competenze tra Stato e Regioni rivedendo il famigerato Titolo V. Si tratta in particolare di un tanto vituperato articolo al centro di molte critiche. Particolarmente discussa, in questo articolo viene introdotta la “clausola di supremazia”, in base alla quale la legge dello Stato può intervenire se ritiene sia necessaria una “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Tra le critiche più ricorrenti quella di un maggior accentramento dei poteri allo Stato che riporta effettivamente a sé competenze come il turismo o la politica energetica.

Referendum e leggi di iniziativa popolari
Cambia anche la disciplina del referendum: per gli abrogativi rimane la cifra di 500mila firme per richiederlo e il quorum al 50%+1 degli aventi diritto per rendere valido il voto, ma se a richiederlo sono almeno 800mila elettori, il quorum si abbassa al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera. Saranno ammessi anche referendum popolari propositivi e d’indirizzo. Novità anche per le leggi di iniziativa popolare: serviranno non più 50mila ma 150mila firme, ma il Parlamento avrà l’obbligo di discuterle.

Si promuove l’equilibrio di genere
Tratto questo trascurato nel dibattito pubblico, la riforma promuove “l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”. Questo significa che ci vorranno leggi elettorali ad hoc nella direzione, per esempio, della doppia preferenza di genere già istituita anche alle ultime amministrative.

Il combinato disposto con la legge elettorale e le incertezze dell’Italicum
Come non bastasse la complessità della materia in sé, in ballo c’è anche la modifica della legge elettorale, il cosiddetto Italicum approvato dal Parlamento e attualmente in attesa di un pronunciamento della Corte costituzionale su due ricorsi presentati sulla legge. Non solo, trattandosi di una legge ordinaria e non costituzionale (non si vota infatti sull’Italicum al referendum, in nessun caso), non sono escluse modifiche in corso d’opera in particolare per dare il premio di maggioranza alla coalizione vincente e non alla sola forza politica, come è previsto adesso. Ed è proprio questa possibile modifica della legge elettorale tuttavia a tenere in stand by più di un elettore anche del Pd perché preoccupa molti il combinato disposto tra una riforma in grado di dare maggior potere all’esecutivo e una legge che potrebbe portare a governare una forza politica che ottiene il 37 percento dei voti al primo turno o la vincitrice tra un ballottaggio se nessuna forza politica dovesse raggiungere il 37 percento. Una legge già approvata, pur tra mille polemiche, e che è in vigore ma non è mai stata testata e che ora qualcuno teme che potrebbe avvantaggiare di fatto i 5 Stelle. E che riguarda, si badi bene, solo la Camera. Dunque il paradosso a cui si andrebbe incontro in caso di vittoria del No è quello di trovarsi con (forse) la nuova legge per la Camera e per il Senato la legge rimasta dopo la parziale bocciatura del cosiddetto Porcellum di Calderoli (la legge con cui è stato eletto l’attuale Parlamento) da parte della Corte costituzionale.

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