Martinelli: «Del senso della cultura si discuta pubblicamente»

Parla l’autore e regista fondatore delle Albe e di Ravenna Teatro, sul possibile rinnovamento del sistema culturale ravennate

MartinelliIncontro Marco Martinelli in una fase intensa della sua attività, in giro per l’Italia e l’Europa, impegnato come regista, autore e scrittore, a parlare del suo ultimo libro dedicato alla storia della non-scuola e a lavorare al montaggio del film tratto dall’opera teatrale “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi“. Ed è un’occasione per parlare di arte, teatro ma soprattutto di politica culturale nella nostra città.

Marco nel tuo ultimo libro (Aristofane a Scampia, in questi giorni in libreria, ndr) nel raccontare l’esperienza della non-scuola, fai alcuni cenni delle origini della tua vita artistica – e personale – tutta dedicata al teatro. Vicende che rimandano a 40 anni fa. Sentivi il bisogno di fare un bilancio del tuo lavoro?
«No, si tratta solo di premesse necessarie al racconto, perché ritornare alle radici ci aiuta a capire fino a dove siamo cresciuti oggi e dove potremo arrivare domani. Forse vale la pena rievocare alcune storie ai più giovani, anche solo per lampi, di quegli anni pionieristici. Sono storie ricche di fermenti, frammenti di una fase di passaggio fra la fine degli anni ‘70 e i primi ’90 che segna la crescita in provincia di tante persone e gruppi, e l’emergenza di una nuova generazione di intellettuali e artisti. Per me, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni, sono gli anni della fondazione del Teatro delle Albe e poi della nascita di Ravenna Teatro. Le fondamenta».

Ormai Ravenna Teatro è un centro di organizzazione e produzione culturale alle soglie dei 25 anni di vita…
«Ravenna Teatro nasce proprio nel 1991, frutto di una trasformazione radicale nella visione della cultura nella nostra città. A molti Ravenna Teatro appare come una realtà consueta, un’istituzione consolidata, ma negli anni ’80 quando eravamo ragazzi tutti presi dal nostro impegno intellettuale e politico  il teatro non si produceva, ci si limitava a ospitarlo. Certo era a disposizione una programmazione di alto livello artistico. Noi tutti siamo cresciuti anche grazie alle proposte che allora un dirigente comunale come Mario Salva­giani inseriva nel cartellone dell’Ali­ghieri: Strehler, Carmelo Bene, Parenti e Testori, Luca Ronconi, Gaber».

Però non male per una città di provincia…
«Molto bene direi, ma altra cosa era avere l’opportunità di mettersi all’opera in proprio, di cimentarsi nell’arte. Noi puntavamo a creare spettacoli e metterli in scena, ad avere un palcoscenico dove debuttare. Se all’epoca si andava da un assessore alla cultura per proporre progetti originali ci si sentiva dire: «Ma lei Martinelli nella vita vuole proprio fare questo mestiere»? Ravenna era così: da una parte ti offriva Carmelo Bene e dall’altra ti trattava da sprovveduto, da velleitario. Ma non credo fosse un vizio locale. Questa “sottovalutazione” accadeva in tutta Italia: a Torino con Vacis, a Cesena con Castellucci e Cesare Ronconi, a Firenze con Tiezzi e Lombardi. Fino a tutti gli anni Settanta il teatro si faceva a Milano e a Roma, le province servivano a ospitare le grandi compagnie metropolitane».

libro MartinelliPoi cos’è accaduto che ha portato a questa trasformazione radicale di cui parlavi prima?
«Progressivamente il teatro italiano è diventato policentrico, è cresciuto anche nelle periferie e nelle piccole città. E anche da noi, per l’appunto, questo cambiamento, la forza emergente di artisti inediti, ha portato all’apertura di nuovi orizzonti. La mutazione avviene quando Mario Salvagiani, che fino ad allora aveva gestito – in modo illuminato e raffinato – il sistema teatrale ravennate, fa una sorta di “mossa del cavallo”, spiazzante. E individua nell’esperienza delle Albe e della Dram­matico Vegetale – i nostri partner sul versante del teatro ragazzi – la passione artistica, la reputazione e la tenacia necessarie per aprire una nuova fase nella cultura teatrale della città. Quasi ignorati, emarginati per anni, extra muros, avevamo resistito e continuato a portare avanti la nostra poetica, con riconoscimenti e premi sul piano nazionale, e questo aveva convinto il Comu­ne che poteva fidarsi».

Ma qual è l’accordo fiduciario che ne viene fuori?  
«Ci viene proposto un patto sorprendente, legato alla qualità artistica della compagnia: produrre, programmare e fare del Rasi una “casa del teatro”. Per noi era una straordinaria possibilità di intraprendenza: non per attaccarci a una poltrona ma per “alimentare la concorrenza”. Non a caso la non-scuola nasce appena un anno dopo la fondazione di Ravenna Teatro. È da lì che nasce la semina, l’intenzione, piena di incognite, di avvicinare le nuove generazioni nel fare e nel vivere il teatro. Quando abbiamo cominciato ci siamo chiesti: «Come trasformare il teatro Rasi in un luogo aperto alla città»? Non avevamo modelli da seguire: seguimmo un’intuizione. Quella di entrare nelle scuole, in contatto con gli adolescenti. Da lì è nata un’esperienza di lungo corso che sul piano culturale e dello stimolo alla conoscenza è un metodo oggi studiato e ammirato a livello nazionale e internazionale».

Così si forma l’embrione delle convenzioni culturali che poi ha coinvolto un numero sempre più ampio di soggetti.
«Sì, ma i patti con noi sono sempre stati precisi, trasparenti e immagino siano valsi anche per tutti gli altri che operano dentro il sistema ravennate: l’accordo si rinnova se l’attività e i servizi culturali in gioco sono ben mantenuti, soddisfacenti, anche nel confronto continuo con il pubblico, con i cittadini. Ravenna Teatro così è nata e così continua fino a oggi. È un patto leale, senza sotterfugi: la convenienza a rinnovarlo deve valere per il Comune, per la comunità intera, per noi».

Però c’era anche il rischio di sostituire un’istituzione con un’altra, con le sue rigidità, una tendenza al predominio, magari qualche privilegio…  
«Privilegi? Quando sono nate le Albe, eravamo in quattro. Oggi in Ravenna Teatro siamo in 40 a vivere di questo lavoro. Siamo sempre stati legati allo spirito originario di cooperazione e mutuo soccorso. Non esistono privilegi fra noi. La logica con cui Ravenna Teatro è nata e sta in piedi dopo 25 anni, è una logica “corsara”. Corsara non a parole, ma nei fatti. Negli stipendi, che sono stipendi “operai”, uguali per tutti. Ravenna Teatro è un luogo della polis. Non è targata politicamente, non ha pregiudizi culturali. È uno spazio di sperimentazione per tutti i cittadini. E come diceva Aldo Capitini, «”tutti” è una parola sacra».

Ermanna MontanariQuindi il rapporto fra Comune e associazioni tramite deleghe per la creazione e la gestione della cultura secondo te ha ben funzionato per tutto questo tempo?
«Ritengo sia stato un dispositivo efficace. A Ravenna oggi esistono una decina di compagnie, alcune girano l’Italia, altre il mondo, una presenza sorprendente in una città delle nostre dimensioni, frutto di un percorso ormai ventennale. Non vedo e non capisco chi possa negarlo».

E della sfida di Ravenna 2019 cosa ne pensi? Ti ha convinto?
«Certo, valeva la pena concorrere al bando del 2019. Ma sul piano teatrale già da anni Ravenna era una capitale: lo hanno detto e scritto i maggiori critici teatrali italiani, gli storici del teatro, basta prendersi la briga di leggerli.  Per questo quando si è persa la sfida non l’ho vissuta come un lutto. Ritengo che l’ex assessore e coordinatore di Ravenna 2019, Alberto Cassani, sia stato uno dei protagonisti del sistema culturale degli ultimi 20 anni. L’eredità di ciò che che ha pensato e fatto ha ancora molte cose da esprimere. E lo vedremo. Intanto continuiamo ad essere quello che eravamo prima, una capitale, e a trasformarci ancora. Ed è questo che vale».  

Si ma non credi che questo sistema, nel tempo, si sia un po’ logorato, che rischi di sclerotizzarsi, che il ridursi delle risorse possa escludere gli ultimi arrivati?
«Se ci sono degli ultimi arrivati che si facciano vivi. Siamo pronti ad accoglierli. Ciò che è “disponibile” possiamo sempre condividerlo. Non è la prima volta che abbiamo ripartito risorse che il Comune aveva dato a Ravenna Teatro con altri compagni di strada: in anni recenti ad esempio con la cooperativa E e il Cisim, per sostenerli nel portare avanti i loro progetti».

Ma il sindaco De Pascale ha fatto capire che è arrivato il momento di fare il tagliando al sistema, di riformarlo, di riequilibrarlo?
«Noi siamo qua. Discutiamo e parliamone apertamente. Politici, artisti delle varie generazioni, cittadini. Nell’antica Atene le decisioni su come gestire il teatro ovviamente spettavano ai reggitori della polis, ma nascevano da animate assemblee pubbliche. Uno spirito, questo, che ritengo esemplare anche oggi».

Un po’ come un appello: chi ha qualcosa da dire lo dica ora…
«Direi di sì: nulla è immutabile, e le innovazioni sono vitali, ma con criterio e intelligenza. Ha senso trasformare ciò che non funziona e ingrigisce, ha senso mantenere ciò che cresce e illumina. Cambiare per cambiare, questo sì, sarebbe davvero insensato».


Il libro: non-scuola, l’avventura del teatro fra gli adolescenti
L’ultimo libro firmato Marco Martinelli, Aristofane a Scampia (edizioni Ponte alle Grazie, 160 pagine) è un lungo a appassionato racconto, una sorta di diario per tappe, dell’esperienza della non-scuola, ideata e perseguita fino ad oggi dalla compagnia delle Albe e da Ravenna Teatro. L’essenza di questo lungo percorso sta tutta nel sottotitolo del volume che recita: «Come fare amare i classici agli adolescenti…». Un progetto partito in sordina all’Itis di Ravenna nell’anno scolastico 1992-’93 che è diventato negli anni un grande processo di coinvolgimento delle nuove generazioni alla sapienza e alla vitalità del teatro: da Scampia a Chicago, dalla Romagna alla Calabria, dalla Sicilia all’Africa, passando per autori come Plauto, Aristofane, Shakespeare, Moliere, Jarry, Brecht e Majakovskij.

Il film: Aung San Suu Kyi ora rivive per immagini
È la la prima prova per Marco Martinelli come regista cinematografico ed è anche uno dei primi film finanziati dalla Regione Emilia-Romagna (con 72mila euro) in base alla nuova Legge Cinema del 2016: si tratta di Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del Teatro delle Albe-Ravenna Teatro.
Protagonista del film (come del dramma scenico) la pluripremiata attrice delle Albe, Ermanna Montanari, affiancata da uno dei grandi interpreti del teatro italiano, Elio De Capitani, dal giovane Roberto Magnani delle Albe  e da Sonia Bergamasco, un altro volto molto noto fra cinema e teatro. Del cast fanno parte anche sei bambine nelle vesti di narratrici della vicenda dell’eroina Birmana. Il film, di cui si sta ultimando il montaggio per la distribuzione nelle sale nel 2107, si avvale anche di una squadra tecnica d’eccezione, fra direttore della fotografia e del montaggio, scenografo e musicista.  

 

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