«Chi si avvantaggia dai migranti? Un esiguo gruppo di ricchi…»

L’autore Pietro De Carli all’incontro sul tema con Cofferati al Villaggio
del Fanciullo. «Ma il 99 percento degli arrivi non sono per le guerre»

Si parlerà di “Migrazioni, cause ed effetti in Italia e in Europa”, venerdì 4 novembre alle 20.30, alla Fondazione Il Nuovo Villaggio del Fanciullo. Un evento – rinviato il mese scorso – a cui parteciperà, oltre al sindaco di Ravenna Michele de Pascale, all’ex parlamentare Gabriele Albonetti della Fondazione e all’europarlamentare Sergio Cofferati – Pietro De Carli, autore del libro “Fuga a Occidente” che ha ispirato l’incontro. Il dibattito, sarà preceduto, dalle 19.30, da una mostra fotografica sulle etnie e i popoli delle aree più povere del mondo a cura dello stesso De Carli, che abbiamo intervistato.

De Carli, quanto ha inciso la sua esperienza come esperto di cooperazione, nella scelta di scrivere un libro sull’immigrazione?
«Moltissimo. In tutti i paesi in conflitto in cui ho vissuto nei due decenni trascorsi all’estero il problema dei flussi migratori era un tratto comune. In Mozambico, nel 1994, dopo la lunga e disastrosa guerra civile tra il governo della Frelimo e i ribelli della Renamo, le periferie delle città stavano scoppiando a causa delle decine di migliaia di persone che avevano abbandonato le campagne. Nel 1999 nel sud del Sudan gli sfollati vagavano da un’area all’altra, tentando di sfuggire agli scontri armati che non risparmiavano la popolazione civile. In Afghanistan dal 2003 al 2007, dopo la caduta del regime dei talebani, milioni di sfollati che avevano trovato rifugio in campi profughi oltre confine, in Iran, Pakistan e Turkmenistan, affrontarono un rientro difficile, da senza tetto, perché gran parte delle case erano state distrutte durante la lunga e dolorosa guerra civile, ma con la determinazione di ricostruirle e riporre nuovamente le proprie radici nei luoghi di origine. E potrei citare esempi analoghi a Timor Est, in Somalia e in Angola. Oggi però le migrazioni hanno connotazioni diverse».
Il tema dell’immigrazione è di grande attualità. Quale ‘taglio’ ha scelto per il suo lavoro e perché?
«Il criterio che ho tentato di seguire è pragmatico e non ideologico. L’approccio ideologico è quello che estremizza posizioni pregiudizialmente contrapposte tra chi pensa che le migrazioni apportino solo dei benefici e chi pensa che siano la fonte di tutti i mali. La cosa migliore è analizzare la realtà nuda e cruda come si presenta ai nostri occhi, qualunque essa sia, senza pretendere che sia come vorremmo che fosse, ma per come obiettivamente risulta secondo la logica dei dati e fatti, in tutti i suoi risvolti positivi e negativi».
Sul fenomeno esistono, come lei ribadisce, luoghi comuni e stereotipi. Uno di questi è che si emigri a causa delle guerre…
«Sì. Le guerre sono la causa più efferata per le sorti dell’umanità e inducono certamente parte delle popolazioni che ne sono vittime a cercare rifugio altrove. C’è però qualcosa di nuovo che sta avvenendo e su cui occorre interrogarsi. Lo dimostra il fatto che il 99 per cento degli arrivi 2016, attraverso il Mar Mediterraneo, riguardino Paesi non in guerra come Gambia, Senegal, Mali e Nigeria, Bangladesh, Pakistan e Afghanistan, mentre solo l’1 per cento Paesi in guerra come la Siria. Questo significa che si crea, tra i richiedenti asilo, una mescolanza tra coloro che non possono scegliere, i rifugiati, e coloro che possono scegliere, ossia i migranti economici che secondo le norme del diritto internazionale non possiedono i requisiti di rifugiati. La stessa cosa avviene per i minori stranieri non accompagnati – di cui di oltre 5mila si sono perse le tracce – che provengono per lo più dall’Egitto e dall’Albania e, in misura minore, da altri Paesi africani non in guerra».
L’altro elemento a cui si attribuiscono i flussi migratori è la povertà…
«È vero che la spinta a migliorare le proprie condizioni di vita è alla base di molte migrazioni, ma occorre fare un’importante riflessione. Secondo la Banca Mondiale quasi la metà della popolazione mondiale, circa 3 miliardi di persone, è estremamente povera, ossia vive con meno di 1,5 euro al giorno. Molti di essi soffrono la fame. Dovendo lottare giorno per giorno per la sopravvivenza, non riescono neppure a immaginare come arrivare a una cifra che va dai 4 agli 8-10mila euro, quanto serve per pagare i trafficanti di esseri umani. Quindi, per la metà della popolazione al mondo, la povertà è ancora un elemento frenante per le migrazioni».
Qual è il nesso che lega i flussi migratori alla globalizzazione?
«Datori di lavoro senza scrupoli, che operano nell’ambito dell’economia sommersa, hanno sfruttato l’opportunità offerta dai flussi migratori per avvalersi di lavoratori immigrati, spesso mantenendoli in condizioni di irregolarità, per imporre condizioni di lavoro più pesanti, eludendo le norme vigenti e applicando trattamenti salariali umilianti, rincorrendo profitti ricavati da una competitività truccata. In questo modo sono le condizioni di sottosviluppo a migrare dai paesi poveri provocando un livellamento dei redditi da lavoro e delle condizioni di vita al punto più basso possibile. A giovarsene, grazie al miracolo della globalizzazione e delle crescenti diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, è un numero sempre più limitato di ricchi sempre più ricchi a scapito di una quantità sempre più estesa di poveri sempre più poveri».

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24