Il no di Miro Fiammenghi al referendum E un appello al Pd: «Resettiamo tutto»

Parla l’ex consigliere regionale, molto vicino a Bersani: «Oggi il partito
sembra più uno stadio con le tifoserie, ma non me ne andrò»

La campagna elettorale per il referendum si sta rivelando per il Partito democratico un fattore fortemente divisivo tra la maggioranza renziana, schierata a favore del sì, e una minoranza divisa tra più posizioni che vanno dal sì al no. In particolare recentemente ha fatto discutere la decisione di Pierluigi Bersani, ex segretario del partito, di votare no e di partecipare ad alcune iniziative elettorali, mentre Gianni Cuperlo, anch’egli esponente della minoranza di sinistra, si è detto a favore del sì dopo un impegno della maggioranza (ritenuto da molti però vago e insufficiente) a modificare la legge elettorale. Non bastasse, la recente Leopolda ha visto qualche coro che invitava in modo non troppo dialettico a uscire dal Pd chi non seguiva la linea del partito proprio in tema di referendum. Insomma, è ormai guerra aperta. Per questo abbiamo chiesto l’opinione di Miro Fiammenghi, già segretario provinciale dei Ds, consigliere regionale Pd e soprattutto uomo molto vicino da sempre a Pierluigi Bersani.

Cosa pensa della scelta di Bersani di schierarsi ed esprimersi per il no?
«Credo che un partito debba essere anzitutto una comunità, fatta di valori, identità e idee, ma anche di rispetto, civiltà e pluralismo. Non mi è piaciuto e non mi piace come si è sviluppato il dibattito sul tema referendum dentro al Pd negli ultimi mesi e credo che si sia esagerato nei toni e nei contenuti. Ma mi è piaciuto ancora meno ciò che è successo alla Leopolda».
Si riferisce ai cori finali di un gruppetto in platea “fuori, fuori”?
«Certo, concordo con le parole di Macaluso: “ciò che è successo domenica è un fatto indecente”. Peraltro credo sia stato un danno anche per loro: immagino che alla Leopolda si sia discusso di cose anche interessanti e importanti che però sono state oscurate da questo episodio».
Quindi secondo lei Renzi non ha preso a sufficienza le distanze da chi urlava?
«Erano i suoi sostenitori, chi doveva dire loro di smetterla? Un leader deve avere il coraggio di dire cose forti quando c’è bisogno di dirle e lui è uno che in altre occasioni ne ha dette».
Ma il Pd di Bersani era davvero più aperto e rispettoso delle minoranze interne? Non tutti i renziani, che sono stati minoranza, concorderebbero…
«Non voglio fare polemiche con i renziani o non renziani. Ma voglio solo ricordare che quando Renzi ha partecipato alle primarie, lo statuto non lo consentiva ed è stato Bersani a volere la deroga allo statuto per consentire nuove primarie. Era un “dentro, dentro”, il contrario di ciò che accade oggi».
L’idea di abbandonare questo Pd la sfiora?
«Sa cosa ho fatto lunedì mattina? Ho chiamato il mio segretario di circolo (a Cervia, ndr) e prenotato la tessera Pd per i prossimi dieci anni, dicendomi pronto a pagare in anticipo se necessario…»
Come a dire: questa è casa mia, di qui non me ne vado…
«Voglio continuare a praticare questo spazio politico con lo speranza che diventi un soggetto politico. Oggi è più simile a uno stadio dove si scontrano le tifoserie».
Ma che cosa ha in comune oggi lei con Renzi? Quali sono i valori e le idee che tengono insieme il Pd?
«È esattamente ciò da cui bisogna ripartire e di cui vorrei poter discutere. E credo sarebbe innanzitutto compito di un segretario cercare di tenere insieme, di unire. Renzi è anche il mio segretario ma posso avere idee diverse dalle sue e deve essere normale che ci siano idee diverse; che si possano esprimere soprattutto su temi importanti come la Costituzione e che quelle idee possano essere espresse pubblicamente anche con azioni concrete. Inoltre ci deve essere spazio per un confronto vero e rispettoso delle diverse opinioni, e ovviamente si deve fare anche la sintesi».
Quindi, pare di capire, il suo voto sarà per il no.
«Voterò no se nulla cambierà, soprattutto per il combinato disposto di legge elettorale e riforma ma spero ancora che possano essere decise cose importanti e cogenti in particolare su come cambiare la legge elettorale».
Ormai sembra tardi, però. Lei non è in Parlamento, ma perché come minoranza non vi siete fatti sentire durante la fase di approvazione della legge?
«La legge di per sé ha anche cose buone, poteva essere fatta meglio, si fa quel che si può. Il problema è appunto che con quella legge elettorale, quella con cui si voterà la prossima volta, e queste riforme, il sistema diventa pericoloso».
Non dà valore all’accordo firmato da Gianni Cuperlo sulla riforma della legge elettorale? Lui infatti ora è per il sì…
«Il punto è che quell’accordo è impalpabile e fumoso, è privo di impegni concreti e di tempistiche. Mi pare significativo, per esempio, che Renzi alla Leopolda non vi abbia nemmeno fatto cenno. Al momento per me sono semplici appunti, al massimo un promemoria su cui ragionare se proprio sarà necessario un giorno o l’altro, ma ciò non basta».
Ma esiste una minoranza Pd? Lei e Bersani per il no, Cuperlo per il sì dopo l’accordo, parlamentari di certo non renziani come Alberto Pagani per il sì da subito? C’è peraltro chi dice che Vasco Errani potesse essere un pericolo proprio per Renzi dentro al partito e che farlo commissario per il terremoto sia stata una mossa leggibile anche in termini di equilibri politici interni…
«Questo non lo credo. Di fronte a un’enorme tragedia e a un’emergenza Errani è stato chiamato per le sue capacità, la sua esperienza e la sua competenza, credo che nessuno dovrebbe dare una lettura politica di questo incarico. Per quanto riguarda il partito, ripeto, c’è una maggioranza, c’è una minoranza o ci sono più minoranze e bisogna avere rispetto di tutte».
La vedremo impegnato a iniziative per il no?
«No, e non mi iscriverò a nessun comitato. Però mi sento di fare un appello per il bene del Pd: fermiamoci, resettiamo tutto e ognuno lavori con la propria idea per il Pd, nel rispetto reciproco. Questo soprattutto per costruire una vera comunità di donne e di uomini e non un semplice comitato elettorale. Quindi un soggetto politico forte della sinistra europea, questo sarebbe molto utile soprattutto dopo la Brexit e Trump».
Se il 4 dicembre vincesse il no, cosa dovrebbe fare Renzi?
«Il 4 dicembre, che vinca il sì o che vinca il no si dovrà discutere, finalmente».

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