Il terrorismo islamico per Ben Jelloun «Il nodo è il conflitto israelo-palestinese»

L’autore marocchino di fama mondiale a Ravenna: «L’Italia dovrebbe perseguire una politica solidale, incentrata su lavoro e cultura»

Intenso narratore e profondo saggista, Tahar Ben Jelloun è uno degli intellettuali più importanti del Nordafrica. Vincitore del premio Goncurt, il più prestigioso riconoscimento per la letteratura in lingua francese, è considerato in Francia la voce più autorevole del mondo islamico e delle periferie in Occidente.

L’autore marocchino terrà a Ravenna un incontro ispirato al suo ultimo libro “Il terrorismo spiegato ai nostri figli” (La Nave di Teseo) per Scritture di Frontiera (progetto realizzato da Scrittura Festival assieme all’assessorato all’Immigrazione del Comune di Ravenna, vedi articoli correlati). Dopo aver parlato con 400 ragazzi delle scuole superiori della città, Ben Jelloun incontrerà il pubblico giovedì 16 febbraio alle 18 a Palazzo dei Congressi di Largo Firenze 1.

Qual è secondo lei il luogo comune più pericoloso legato al terrorismo di matrice islamica?
«È l’amalgama tra una religione, l’islam, e il terrore che diffonde lo pseudo “Stato islamico”. Le persone non distinguono tra una civiltà e la barbarie che utilizza l’islam per fini politici».
Ha dedicato diverse sue opere ai giovani come “Il razzismo spiegato a mia figlia” e ora “Il terrorismo spiegato ai nostri figli”. In Francia l’immigrazione è alla quarta generazione, mentre in Italia la scuola multietnica è un fenomeno relativamente recente. Che cosa possiamo imparare dai risultati e dagli errori compiuti in Francia?
«La Francia è responsabile della sua cattiva politica, anzi della sua assenza di politica rispetto ai figli degli immigrati, che sono francesi ma che non riconosce pienamente come tali non integrandoli nel suo tessuto sociale e culturale. Il risultato è che sempre più giovani si allontanano dalla Francia, non necessariamente per diventare terroristi, ma per tentare la sorte altrove, nel Paese d’origine dei loro genitori o in Paesi lontani come il Canada o altri Paesi europei. I più fragili tra loro, coloro che hanno debolezze psicologiche o una forte determinazione a “vendicarsi” seguono i reclutatori di Daesh. L’Italia dovrebbe avere una politica più solidale, più generosa e soprattutto incentrata sulla cultura e il lavoro. Non bisogna abbandonare quei figli di immigrati. Bisogna occuparsene perché il terrorismo non li attiri».
Il tema razzismo è al centro di molto del suo lavoro. L’intolleranza e il reclutamento di terroristi in Europa sono due fenomeni legati tra loro?
«Sì, l’intolleranza, il razzismo, la mancanza di vigilanza da parte dei genitori, i fallimenti scolastici, la delinquenza o il vuoto sentito in Europa, e soprattutto la propaganda efficace di Daesh, tutti questi fenomeni assieme fanno sì che alcuni giovani partano per fare la jihad».
L’Islam è una cultura composta da molti elementi e con una storia millenaria, come racconta in numerose sue opere, come si è trasformato con le migrazioni?
«L’islam è un dogma, non cambia. Gli immigrati arrivano con un islam semplice che è anche la loro cultura e talvolta la loro identità. Ma tutto dipende da come si leggono e si interpretano i testi. La maggior parte degli immigrati non hanno alle spalle studi importanti. La loro cultura è talvolta limitata a ciò che i loro genitori hanno insegnato loro nei loro rispettivi Paesi. Ma l’immagine che hanno dell’islam è non violenta, pacifica».
Il terrorismo di matrice islamica in Europa nasce anche dalla frustrazione di chi sperava di raggiungere qui una vita migliore che non è riuscito ad ottenere?
«La frustrazione è talvolta, non sempre, alla base: si dice loro, la vita in Occidente è senza Dio, “hanno ammazzato Dio”, “noi vi offriamo una vita dove Dio guiderà i vostri passi e vi darà tutto ciò che l’Occidente non vi ha dato”. Meglio ancora, dicono loro: “In Europa avete fallito la vostra vita, nello Stato Islamico avrete successo in vita e nella morte!”. Talvolta questa propaganda ha successo!»
Molti terroristi sono giovanissimi, cosa li affascina dell’Isis al punto da essere disposti a morire?
«I giovani voglio avventura, rischio, cambiamento. La propaganda promette loro tutto questo. Sono affascinati da un
discorso che l’Europa non ha mai fatto loro. Alcuni sono disperati, altri annoiati, altri alla ricerca di qualcosa di nuovo e altri ancora sono pervasi dall’odio e dal desiderio di vendetta verso questo Occidente che non ha saputo trattenerli».
Come può l’occidente rispondere al dilagare di questa terribile seduzione?
«L’Occidente deve fare un’analisi di tutta la sua politica. L’immigrazione con il ricongiungimento familiare contiene questo rischio di deriva. Deve capire meglio l’islam e la sua civiltà. Per questo serve un maestro fin dalla scuola primaria per insegnare le religioni, le loro storie, le loro somiglianze e la loro importanza. Bisogna anche lavorare con le famiglie che hanno difficoltà con i loro figli sui quali non hanno più autorità».
Se i Paesi europei non si occupassero dei conflitti in Medio Oriente questo secondo lei sarebbe sufficiente a ridurre il numero di attentati?
«Sì, il conflitto israelo-palestinese è il nodo di questo problema: il terrorismo nel nome dell’islam è una delle conseguenze delle umiliazioni subite dai palestinesi dall’occupante israeliano. Fino a quando Israele perseguirà la sua politica di colonizzazione e di occupazione illegale dei territori dove continua a costruire case senza rispettare la legge e il diritto, il mondo arabo e musulmano sarà umiliato e quindi in conflitto».
Come si può spiegare tanta violenza a dei ragazzi? Primo Levi parlando dell’Olocausto scrisse che “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Crede che si potrebbe dire la stessa cosa del terrorismo?
«Sì, Primo Levi ha ragione. Bisogna conoscere e spiegare, e questo non significa scusare o accettare».

(traduzione di Federica Angelini)

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