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«Il teatro è un antidoto e quello ravennate un’eccellenza»

«In questo ha contato anche il buon governo locale – commenta Alberto Cassani oggi membro della Commissione Teatro del Ministero. «E resto tuttora convinto che la cultura non può prescindere da una funzione innanzitutto sociale»

Parafrasando una celebre battuta di Morettiana memoria potrebbe dire: «Vedo (poca) gente, faccio (altre) cose». Quasi scomparso dai radar degli appuntamenti culturali mondani e della politica locale, Alberto Cassani, ha diradato a ben poche occasioni la presenza a eventi pubblici in città, però senza abbandonare le sue competenze e le sue passioni. 57 anni, assessore alla cultura (ma anche al bilancio) per ben tre consiliature in Comune, e poi ideatore e coordinatore della sfida di “Ravenna 2019” per la Capitale Europea della Cultura, dal 2016 Cassani ha proseguito la sua esperienza nella pubblica amministrazione a Bologna, in Regione, e da alcuni mesi anche a Roma con un incarico al Ministero della Cultura. Parallelamente ha anche avviato un personale percorso di scrittore…

«Comunque, non esageriamo – ribatte Cassani – continuo ad abitare a Ravenna, e quando mi invitano vado volentieri a teatro o a qualche incontro che mi interessa. Certo siamo ben lontani dai ritmi del passato quando partecipavo a quasi tutti gli eventi per cui ero coinvolto a livello istituzionale. Diciamo che era un dovere, magari stancante, ma a cui mi sono sempre dedicato con autentico impegno e spesso con piacere. È vero, ora ho la possibilità di avere un po’ di tempo da dedicare alla mia famiglia, ma anche alla scrittura narrativa, Dopo i primi due romanzi (L’uomo di Mosca e Una giostra di duci e paladini, editi da Baldini+Castoldi, ndr), ne ho scritto un terzo che dovrebbe uscire nella primavera del 2023».

Esauriti i suoi ruoli a Ravenna ha dovuto trovare una nuova collocazione professionale e fare vita da “pendolare”.
«Proprio così. Può esserci qualche piccolo disagio, ma non è che mi pesi più di tanto, ho sempre viaggiato anche quando ero assessore, nel lavoro può capitare di dovere allargare i propri orizzonti. È sempre istruttivo e ti può arricchire. In Regione da più di sei anni lavoro come capo-segreteria dell’Assessorato al turismo – oggi anche trasporti e infrastrutture – a fianco dell’assessore Andrea Corsini. Mi devo occupare di diverse materie, e, tra le altre cose, devo anche coordinare una “cabina di regia” fra turismo e cultura, che coinvolge, oltre agli assessori Corsini e Felicori, anche i dirigenti e i funzionari dei due ambiti. Si tratta di un avamposto strategico dove mettere a punto e sintonizzare interventi legati allo sviluppo del turismo culturale nei nostri territori».

Poi da quest’anno fa anche parte della Commissione Teatro del Ministero della Cultura.
«Sì, a inizio 2022 la Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni, su designazione dell’Unione delle Provincie italiane, mi ha nominato nella Commissione consultiva Teatro del Ministero della Cultura. È un organismo nazionale composto da sette membri, competenti nel settore, che si riunisce periodicamente alla Direzione generale dello spettacolo a Roma, con il compito di esaminare i progetti che le realtà teatrali italiane presentano per accedere ai fondi del Ministero. Valutiamo la qualità artistica che, assieme ad altri parametri quantitativi, va a comporre una graduatoria di merito per l’erogazione di contributi statali. Complessivamente parliamo della distribuzione di una cifra che si aggira intorno ai 100 milioni di euro annui. Una responsabilità rilevante per noi che dobbiamo giudicare».

Quanto vale questa assunzione di responsabilità?
«Vale molto come esperienza, ma alla fine prevale lo spirito di servizio, visto che l’incarico non prevede nessuna retribuzione. Solo rimborsi spese per viaggi e permanenze a Roma».

Magari la sua nomina deriva da una certa rinomanza della cultura teatrale in Emilia-Romagna?
«Può anche darsi… Quel che è certo è che negli ultimi 30 anni in regione, in Romagna e a Ravenna, si è seminato molto e bene in questo campo, costruendo un sistema policentrico, ad alta densità di luoghi ed eventi e con realtà produttive di grande qualità, molto apprezzate ben oltre i confini locali».

Quanto ha contato per questa reputazione la lunga serie di partecipazioni e relazioni intraprese, soprattutto in Romagna, per la sfida di “Ravenna 2019”?
«L’esperienza di Ravenna 2019 è stata il coronamento di un lavoro più che decennale di innovazione e valorizzazione di energie e talenti che – al di là dell’esito finale del concorso – ha consolidato e sviluppato una rete di istituzioni teatrali, compagnie, artisti, rassegne e festival che spicca a livello nazionale. Così come spicca il forte intervento degli enti pubblici che da stabilità al sistema e che non si riscontra in molte altre regioni italiane. Oggi la proficua collaborazione fra le organizzazioni e le individualità artistiche, i Comuni, la Regione e il Ministero della Cultura configura un modello di eccellenza».

Alberto Cassani in una foto recente, assieme a due sue “vecchie conoscenze”, Elisabetta Sgarbi e Massimo Cacciari

Ci sarà pure il suo zampino nel primato registrato nel 2022 per i finanziamenti statali a centri di produzione teatrale, compagnie, festival, ravennati e dell’Emilia-Romagna?
«La verità è che tutti i membri della Commissione conoscono la qualità delle principali realtà teatrali dell’Emilia-Romagna e la forza del sistema culturale regionale. Per questo non c’è bisogno di un sindacalista che difenda i teatri e le compagnie emiliano-romagnole. Poi, in ogni caso, contano i progetti che vengono presentati e che la Commissione valuta con spirito di imparzialità, dopo un esame approfondito e secondo criteri ben ponderati e condivisi».

Quanti progetti avete esaminato quest’anno?
«Abbiamo analizzato e valutato circa mille domande. Di tutte queste, più della metà erano prime istanze – cioè di soggetti teatrali che non erano tra quelli storicamente sostenuti dal Fondo Unico dello Spettacolo – e una parte di queste sono state ammesse. Il precedente governo aveva infatti incrementato le risorse di circa il 25%, consentendo di rafforzare l’intervento statale in sostegno alle realtà impegnate nella riapertura dei teatri dopo la Pandemia e nel rilancio delle proprie attività. La speranza è che l’attuale governo non interrompa questo processo di crescita e di ampliamento».

Tornando alla realtà ravennate e regionale, proprio in questi giorni diversi artisti e compagnie, sono stati premiati ancora una volta anche dalla critica, con il prestigioso premio Ubu. Pare una conferma di valore…
«Certo, ne conosco il valore, mi fa piacere e ne solo orgoglioso. Il merito artistico è tutto loro. Ma credo sia giusto riconoscere anche l’impegno delle istituzioni e della politica culturale locale che hanno creato un terreno e un clima fertile e positivo per il mondo teatrale».

Restiamo sempre a Ravenna e dintorni, come valuta le politiche culturali avanzate dopo la sua dipartita da un ruolo amministrativo e politico attivo?
«Ho sempre avuto il massimo rispetto delle istituzioni quando avevo responsabilità amministrative, tanto più oggi che ne sono fuori. Non entro nel merito, non ho ruoli politici e non faccio l’opinionista. Ho molta stima nell’attuale assessore alla cultura che è persona sensibile e competente. Conto che saprà fare le scelte giuste…».

Ecco, quali potrebbero essere allora delle scelte strategiche in questo campo?
«L’unica osservazione che mi sento di fare deriva dalla mia concezione della politica culturale come aspetto di un ambito più generale che riguarda il contesto sociale. L’arte e la cultura non sono astrazioni, o un diletto per una casta di privilegiati. Quando la cultura diventa materia esclusiva per addetti ai lavori perde forza e funzione pubblica. Specie di fronte alla pervasività della comunicazione digitale, la cultura – il teatro in primis – può essere un antidoto, ma deve riscoprire il proprio ruolo eminentemente sociale, deve innescare processi diffusi di partecipazione e conoscenza, deve coinvolgere generazioni e fasce sociali diverse, a partire dalle scuole. È quello che a suo tempo si è cercato di fare coi processi partecipativi di Ravenna 2019 ed è quello che, esemplarmente, fa ancora oggi Ravenna Teatro con le sue “chiamate pubbliche” e con l’esperienza della Non-scuola».