Il giornalista sotto scorta: «Sempre più importante difendere la libertà di stampa»

Paolo Berizzi è presidente dell’Osservatorio di Conselice: «Ho subìto minacce di ogni tipo. E la situazione negli ultimi anni è peggiorata…»

Paolo Berizzi Conselice

Berizzi (il secondo da sinistra) a una delle iniziative al monumento per la libertà di stampa di Conselice

Quando ci si interroga sul ruolo del giornalismo nella società di oggi, è certamente interessante confrontarsi con Paolo Berizzi, presidente dell’Osservatorio sulla libertà di stampa di Conselice dal 2019 e giornalista di Repubblica dal 2000, costretto a vivere sotto scorta da quasi cinque anni a causa delle minacce e intimidazioni ricevute per le sue inchieste e i suoi libri sul neofascismo.

Berizzi, nel 2019, è nato l’Osservatorio permanente per la vigilanza e il monitoraggio sulla libertà di stampa. Come mai proprio a Conselice?
«È il primo Comune italiano per la libertà di stampa, quello la cui storia parla con forza. Qui c’è chi ha sacrificato la propria vita – mi riferisco ai quattro partigiani-tipografi massacrati dai nazifascisti nel 1944 – per garantirci l’accesso all’informazione, prima negata con il sangue e la violenza. Il nostro messaggio è molto semplice: tramandare il passaggio di questo testimone contro chiunque provi a comprimere, condizionare o reprimere questa libertà».

Perché è così importante avere questo tipo di Osservatorio oggi?
«Ci è sembrato necessario e urgente tutelare la libertà di stampa prevista nella Costituzione italiana, in quanto pietra angolare di una democrazia matura. Il nostro intento è quello di raccogliere storie, casi e vicende, spesso sconosciute ai più, di colleghi giornalisti che operano lontano dai riflettori e che, per mille motivi, vedono condizionato e a rischio il loro mestiere: denunciare a portare a galla certi crimini. Facciamo da cerniera di collegamento tra i territori e gli organi preposti a tutelare il mestiere, in primis il sindacato giornalisti, la Federazione nazionale Stampa Italiana, il Comune di Conselice».

Che momento sta attraversando oggi il giornalismo italiano?
«Se la necessità di difendere la libertà di stampa è sempre più forte è proprio perché il giornalismo sta attraversando una delle fasi più difficili della storia, legata al contesto culturale, sociale, politico ed economico. La crisi dell’editoria, la gente che legge sempre di meno sono problemi noti da anni, a cui si è aggiunta più di recente l’aggressività dei social che cercano di soppiantare i tradizionali mezzi di informazione».

Oggi come oggi, però, si denuncia di più rispetto al passato… Non è così?
«Il sommerso c’era prima e c’è anche adesso. Si denuncia ancora pochissimo perché c’è sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine, della giustizia e della politica, per cui ci sono centinaia di casi che non vengono alla luce. Il nostro compito è quello di aiutarli a emergere contro i poteri forti».

In tutto questo, che ruolo ha la politica? Com’è cambiato l’approccio dei politici verso l’informazione?
«Ormai la politica è sempre più allergica all’informazione. Il giornalista che vuole raccontare, scavare e ricercare è sempre più mal visto da chi fa politica, indipendentemente da idee e schieramenti, non solo quindi dalle organizzazioni criminali. Il tentativo, grazie ai social, è sempre più quello di comunicare in modo diretto con i cittadini, facendo venir meno il ruolo di chi verifica, screma, valuta, in definitiva il ruolo di mediazione del giornalista. Si finisce così con lo screditare l’intera categoria, per generare la sfiducia nei lettori».

Berizzi, veniamo a lei, che vive sotto scorta da quasi 5 anni… Com’è non sentirsi mai completamente al sicuro?
«Sono l’unico caso in Europa di cronista sotto minacce neofasciste. Il fatto di vivere in Italia credo sia indicativo visto che il nostro è il Paese in cui è nato, e poi è stato sconfitto, il fascismo… Ma tutto ciò non è rassicurante. Vivendo la cosa in prima persona, faccio fatica in realtà a scindere l’aspetto personale ed emotivo da altro. A ogni modo una scorta, per quanto preziosa, è sempre un segnale di sconfitta per lo Stato che dovrebbe invece eliminare il problema alla radice. Ho subito minacce di ogni tipo, anche di morte: di continuo sul web ma anche nella vita di tutti i giorni. Purtroppo, la situazione negli ultimi anni e mesi è persino peggiorata. C’è stata una recrudescenza. Le minacce episodiche sono diventate sistematiche per esempio su Twitter. Per quanto mi riguarda cerco di continuare a fare il mio lavoro».

E lo fa nelle sue inchieste, nei suoi libri e anche attraverso la rubrica “Pietre” su Repubblica
«Con “Pietre” denuncio episodi di razzismo, antisemitismo e altre forme di violenza, in sostanza mi occupo di odio a 360 gradi, e sono diventato obiettivo degli odiatori».

Prima parlava di recrudescenza: quale pensa che sia la causa?
«Alcuni mi dicevano che vedevo fascisti ovunque, invece non solo esistevano ma hanno anche rialzato la testa. Fuori dai denti, credo che la stagione politica che stiamo vivendo abbia fatto cadere il pudore a molti neofascisti che ora si comportano come un tempo faceva la mafia, minacciando i giornalisti che li infastidiscono. Quando certe cose vengono dette da chi ha importanti cariche istituzionali, poi è inevitabile che certi gruppi di neofascisti si sentano sdoganati e in qualche modo “coperti”».

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