Sutter: «A Gaza in corso un genocidio, in Italia si semplifica troppo il conflitto»

L’ex dirigente comunale è membro del consiglio di amministrazione di un’associazione che opera nella Striscia, ha più volte visitato il paese e ora è in contatto con gli operatori del centro: «Presto una raccolta fondi»

Sutter

Raffaella Sutter (a sinistra) con un’operatrice del centro di Gaza City

Ex dirigente comunale a Ravenna, sociologa, con una breve parentesi in politica nella stessa città (si candidò a sindaca nel 2016 in una lista che per la prima e ultima volta ha raccolto tutte le forze a sinistra del Pd), Raffaella Sutter si occupa da anni di cooperazione internazionale e in particolare di progetti in corso nella Striscia di Gaza. Dal 2021 è nel consiglio di amministrazione di Educaid, una Ong di Rimini per cui aveva fatto da valutatrice indipendente in passato e con cui aveva collaborato anche in veste di dipendente comunale. Il Comune di Ravenna infatti partecipa e finanzia i progetti di Educaid in Palestina dal 2003.

Quando la contattiamo ci racconta subito la forte preoccupazione di questi giorni, innanzitutto per l’incolumità di chi opera e beneficia dei progetti di Educaid, in gran parte disabili coinvolti in progetti di peer-counseling. «Il nostro centro ha sede proprio a Gaza City e ci lavorano circa trenta persone, una cinquantina in tutta la Striscia. Sto avendo contatti quotidiani con alcuni di loro, ma non so per quanto ancora. Ormai è rimasto un solo operatore che permette il collegamento a internet e in molte zone manca la luce, quindi i dispositivi si scaricano. Da quello che sappiamo l’edificio dove abbiamo sede è ancora in piedi, ma i palazzi tutt’intorno sono stati bombardati e molti anche dei nostri operatori stanno cercando di sfollare a Sud come richiesto da Israele, ma per persone disabili o anziane è ancora più difficile».

Sutter ci racconta come tra le prime vittime ci sia stato un loro giovane utente che era rimasto gravemente ferito dai soldati israeliani alcuni anni fa e che aveva a fatica ritrovato un’autonomia. Un’altra operatrice è stata tra i pochi sopravvissuti del bombardamento al convoglio che stava sfollando e che ha provocato oltre settanta morti. «Come Educaid abbiamo innanzitutto deciso di anticipare ai nostri operatori e alle operatrici lo stipendio di questo mese e stiamo cercando di trattare con i nostri fornitori per assicurare anche agli assistiti alcuni beni di prima necessità, come l’acqua non solo per lavarsi, ma anche per bere. E stiamo pensando anche a una campagna di raccolta fondi, la situazione è drammatica e non sappiamo come evolverà. In questo momento a Gaza non stanno arrivando aiuti di alcun tipo».

Quasi tutte le persone con cui Sutter è in contatto, vivendo a nord, hanno avuto la casa bombardata e famigliari morti o feriti. E l’evacuazione a sud è comunque complessa. «In realtà – ci racconta Sutter – Israele sta bombardando anche a sud, nei campi profughi nati nel 1948 e gestiti dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati. E comunque non si può pensare che oltre un milione di persone si aggiunga al milione e mezzo che già vive a sud, in una situazione già di grande affollamento. Si parla di fino a sessanta persone stipate in una sola aula delle scuole Unrwa trasformate in centri di accoglienza».

Una situazione drammatica causata dalla reazione di Israele al feroce attacco di Hamas di sabato 7 ottobre. Ed è quindi inevitabile chiedere a Sutter, che conosce bene questi territori e li frequenta da vent’anni, quale sia secondo lei il rapporto tra il gruppo politico estremista e da molti definito terrorista e la popolazione palestinese che sta ora pagando un prezzo altissimo. «Non è facile rispondere a questa domanda, l’ambiguità c’è per il semplice fatto che Hamas è l’unica realtà politica e amministrativa di Gaza ormai. Del resto per anni Israele ha fatto accordi con Hamas sui valichi per far passare il cibo e i beni di prima necessità, per esempio. Hamas, finanziata dal Qatar, è stata l’unica realtà a occuparsi della vita di una popolazione repressa, perseguitata, imprigionata. Anche se è vero che ha limitato la libertà di espressione, imposto censure e usato forme di repressione, per tante persone è comunque l’unica realtà che si è occupata dal popolo palestinese, dimenticato invece dal resto del mondo. Basti pensare che anche tante Ong hanno lasciato la Striscia negli ultimi anni».

Ora però Hamas ha provocato, se non forse auspicato, un attacco di Israele a Gaza senza precedenti con gli abominevoli attacchi a migliaia di civili israeliani, incluse famiglie con donne e bambini. «Sì, credo che Hamas sapesse che sarebbe successo tutto questo e lo volesse, anche per fermare gli accordi di Abramo. Ho tanti contatti israeliani, in particolare con persone delle zone colpite. Un aspetto che forse non viene abbastanza sottolineato è che sono stati attaccati kibbutz di tradizione anarchico-socialista, favorevoli al dialogo e alla soluzione pacifica. Sono stati colpiti esponenti della sinistra israeliana e attiviste israeliane per la pace. Credo che non sia secondario né casuale. Non a caso proprio da quelle zone in questi giorni sono in tanti a chiedere a Netanyahu di non invadere Gaza. Penso anche che in Italia troppe persone non conoscano la situazione e di sicuro si è ignorata l’enorme protesta che negli ultimi mesi ha portato centinaia di migliaia di persone a manifestare contro Netanyahu, che ora è anche accusato di non aver saputo proteggere la popolazione. Interi comparti dell’esercito stavano rifiutando di obbedire agli ordini prima del Progrom di Hamas». E se per ciò che è successo in Israele Sutter usa la parola Progrom, per la reazione israeliana su Gaza non esita a parlare di genocidio. «È quello che sta accadendo e per questo anche tanti israeliani, la sinistra israeliana, non appoggiando l’operazione in corso. In Italia non ne teniamo abbastanza conto».

Timori di radicalizzazioni nel nostro territorio? Di qualcuno che possa pensare di rispondere alla “chiamata alle armi” di Hamas in una sorta di scontro di civiltà? «Il rischio di un esaltato c’è sempre, come c’era con Isis o Al Qaeda, ma in Italia credo e spero sia meno diffuso che altrove. Noi abbiamo una storia diversa, abbiamo tanti italiani musulmani, quindi no, non temo una particolare recrudescenza. Ma è vero che abbiamo tutti la tendenza a considerare sia il popolo palestinese sia quello israeliano come due monoliti compatti, mentre non lo sono, serve una visione più complessa del quadro e il fatto che tutte le forze politiche siano schierate così uniformemente con il governo israeliano mi sembra un problema. Anche a livello locale si potevano dire e fare cose diverse». Il riferimento è alla bandiera d’Israele esposta in municipio a Ravenna martedì 10 ottobre durante il consiglio comunale. «Premesso che secondo me sul municipio andrebbe appesa solo la bandiera della pace, avrei capito se il sindaco avesse annunciato all’inizio del consiglio comunale l’intenzione di esporre per 24 ore la bandiera e magari fare cinque minuti di silenzio per le vittime dell’attacco di Hamas, ma accanto a questo credo si potesse ricordare l’impegno per la popolazione di Gaza dove peraltro il Comune sostiene da anni progetti di cooperazione internazionale». Peraltro una presentazione proprio di Educaid con ospiti dalla Palestina doveva essere organizzata a maggio ed è stata poi rinviata per l’alluvione. L’idea era di proporla ora in autunno, ma adesso potrebbe ovviamente subire un nuovo rinvio.

Educaid

Educaid è un’associazione no profit e una organizzazione non governativa che ha sede a Rimini e si occupa di vari progetti a carattere educativo e sociale nel mondo. Nella striscia di Gaza e nella West Bank, in Palestina, dal 2003 si occupa in particolare di persone con disabilità, bambini e adulti, con progetti finanziati dall’Unione Europea, da Aics (Agenzia italiana cooperazione e sviluppo) ma anche dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Ravenna (con un contributo di circa mille euro l’anno).

Si calcola che la popolazione con disabilità a Gaza sia pari a circa il 2 percento. In molti casi si tratta di vittime di bombardamenti israeliani che hanno subito amputazioni degli arti o gravi lesioni (in particolare dopo gli attacchi del 2008 e del 2014, quando oltre alle migliaia di vittime ci furono moltissimi feriti). Gli assistiti di Educaid sono circa un migliaio e grazie a questo progetto riescono a ritrovare spesso un’autonomia nella vita familiare e sociale. L’associazione infatti nel Centro per la vita indipendente delle persone con disabilità a Gaza fornisce servizi di riabilitazione e consulenza e si occupa sia di progettare e realizzare protesi, fornire sedie a rotelle e ausili, sia di attrezzare le abitazioni per renderle accessibili anche alle persone disabili. Il tutto in un’ottica di “peer counseling”: gran parte degli operatori e delle operatrici di Educaid sono disabili che conoscono quindi in prima persone le difficoltà di ogni tipo, anche psicologica, di chi si trova in quella condizione.

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