Dal «tramonto» del Pd alla fine «grottesca» del Terzo Polo: «Ora la “demopraticità”»

Matteo Casadio è stato tra i fondatori dei dem e ora pubblica un manifesto politico che conia un nuovo termine
Pronto per un movimento alle Comunali 2024? «Metto in circolo idee, aiuterò volentieri chi le condivide»

CasadioCon un passato politico in prima fila tra i cattolici del Pd, per cui è stato anche consigliere e assessore comunale, Matteo Casadio, oggi 57 anni, ha scritto e pubblicato online una sorta di manifesto politico articolato che affronta, dal suo punto di vista, numerose criticità che attraversano l’Italia del 2023. Posizioni riformiste che non si riconoscono né nell’attuale Pd, di cui pure Casadio è stato un fondatore, né tantomeno nella destra di governo, entrambi in qualche modo accusati, di fatto, di un conservatorismo innanzitutto generazionale. E, forse unico, Casadio rivendica la stagione di riforme di Matteo Renzi, pur non riconoscendosi oggi nel soggetto politico fondato dall’ex premier. L’autore cerca in realtà di delinare una posizione alternativa a quella in campo, invocando una nuova politica “generativa” come già si intuisce dal titolo: Cattolico demopratico.

Casadio, innanzitutto, ci dà una definizione di questo termine, “demopratico”?
«La democrazia si difende non solo a parole e va alimentata. Vorrei scongiurare il rischio che i cattolici in politica, invece, siano visti solo come quelli che si limitano ad evocare principi senza mai prendere posizione oppure che non hanno idee se non quelle “dettate” dalla Chiesa o che stanno al “Centro” solo per stare con il miglior offerente. La “demopraticità” invece è mettersi insieme ad altri dalla parte delle riforme, avere il coraggio di prendere posizione, senza paura, prendersi qualche rischio pur di promuovere idee di cambiamento a volte anche radicale, anche se non sta bene alla Meloni o ai sindacati». 

Il suo testo è continuamente attraversato dal tema generazionale. A un certo punto scrive: “Siamo la generazione più fortunata di sempre e pensiamo di essere bravi”. E però dice anche che per i giovani la piazza è un boomerang. Come e dove oggi i ragazzi possono trovare spazi per la politica attiva?
«Se i giovani non si interessano della politica non è perché non hanno passione, ma è perché la politica di noi adulti non si interessa di loro, perché parla solo dei propri problemi: la sicurezza, le pensioni, i diritti acquisiti. Li costringiamo a dipendere da noi adulti, dai nostri problemi e dalle nostre paure. Gli spazi per la politica attiva si creano se si parla di loro oppure se sono loro che se li creano, visto che hanno, più di noi, il senso delle sfide collettive, nonostante noi gli abbiamo lasciato in eredità una società dominata dall’interesse personale o di parte».

Tra le tante riforme che auspica c’è anche quella istituzionale. Lei si dice favorevole all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Cosa ne pensa della proposta dell’attuale governo?
«A me interessa il principio. Io auspico riforme che rendano le nostre istituzioni più efficienti e quindi più credibili e la prima dovrebbe essere l’eliminazione del bicameralismo perfetto, perché oggi le leggi sono fatte e scritte male e spesso in contraddizione tra loro perché la procedura è complicatissima: la legge è incerta per tutti. Allo stesso modo, l’elezione diretta del Premier, insieme ad una legge elettorale maggioritaria, chiariscono le responsabilità della politica che oggi, invece, le scansa tutte, perché la colpa è sempre di altri. Fa un po’ senso vedere la destra impegnata in questi discorsi, dopo averli visti tutti schierati contro, insieme alla sinistra, nel referendum del 2016».

Nel libro sostiene che non c’è un rischio di ritorno al fascismo e anzi la politica sui rigurgiti fascisti è un regalo sontuoso alla destra. Ma siamo sicuri che i giovani di cui tanto parla siano consapevoli oggi di cosa sia stato davvero il fascismo in Italia?
«Oggi secondo me è così. Ma, in realtà, nel libretto aggiungo, con molta chiarezza, che oggi il pericolo vero nasce dal vedere un sacco di persone titolari di posizioni istituzionali di rilievo che hanno comportamenti inaccettabili che screditano le istituzioni. A me interessa che i giovani imparino, più di noi adulti, ad avere rispetto delle istituzioni e denunciare quei comportamenti, perché solo la credibilità delle nostre istituzioni garantisce la qualità della democrazia. Io dei vari Santanchè, Lollobrigida, Sgarbi, Salvini, Donzelli, La Russa e di tanti altri sono stanco e non li vorrei più vedere in quei ruoli, perché poi anche i cittadini si abituano al fatto che ognuno può dire e fare quello che vuole e così i rischi aumentano».

La sua ricetta economica e di riforme ricorda, come lei stesso risconosce, molte proposte di Renzi, a cominciare dalla flessibilità sul lavoro per ridurre il mismatch del mercato del lavoro, solo per fare un esempio. Ma queste soluzioni non hanno di fatto già fallito il loro obiettivo? Lo vediamo oggi, sempre più giovani poveri, sempre più famiglie in difficoltà economica, sempre meno garanzie sul lavoro…
«Non è la mia ricetta economica e nemmeno quella di Renzi, ormai è chiaro per molti. Il mercato del lavoro è la principale causa dell’arretramento delle condizioni di vita di chi ha meno di 50 anni, in Italia, questo perché lo Stato si era impegnato a dare in passato un sistema di garanzie che in realtà non sarebbero più sostenibili. La politica, a destra come a sinistra, ha lasciato così i giovani in braghe di tela, perché solo loro, i nuovi arrivati nel mondo del lavoro, sono costretti ad accettare la spietata competizione che caratterizza le dinamiche del mercato del lavoro che, ai nostri tempi, non esisteva. Ciò che ha fallito è la politica voluta da tutti in questi decenni: contratti di una volta per chi è già arrivato e contrattini per tutti gli altri, i giovani. I dati del triennio del famoso Jobs Act, dicono, invece, che l’aumento di assunzioni del 50 percento, con un aumento mai più registrato di assunzioni a tempo indeterminato, corrisponde a un numero molto più grande rispetto all’aumento dei licenziamenti del 50 percento e che l’occupazione totale è aumentata».

A più riprese spiega che ormai il progetto del Pd è definitivamente tramontato e auspica la nascita di liste civiche territoriali che possano poi dar vita a un grande partito riformista né di destra né di sinistra. Perché la sua idea dovrebbe avere più successo di Italia Viva e Azione o del cosiddetto Terzo Polo? Non c’è in realtà già un affollarsi di soggetti in quell’area?
«Purtroppo Calenda e Renzi hanno fatto tramontare anche il progetto del Terzo Polo, protagonisti di una vicenda che ha del grottesco. È chiaro che la loro smania di protagonismo prevale sulla prospettiva politica che pure era interessante, grazie al loro indubbio istinto riformista e anche chi, nei loro partiti, aveva intuito la forza del progetto, si è dovuto rassegnare. Mi dica lei con quale spirito uno, ad esempio come me, si deve mettere a scegliere tra Renzi e Calenda visto che dicono e pensano le stesse cose, sono stati i protagonisti del governo più riformista degli ultimi 30 anni e ora si comportano come i bambini di un asilo. Oppure mi dovrei andare a perdere in tutta quella galassia di vecchi e nuovi centrini promossi da ex parlamentari che magari lo fanno per provare a garantirsi un posto in qualche prossima elezione?».

Lei dice che anche a livello locale i “cattolici demopratici” potrebbe avanzare proposte e incidere sulle politiche. Nel 2024 ci saranno le elezioni in molti comuni delle provincie e per le Europee (dove lei vorrebbe candidati under 50). Dobbiamo aspettarci qualche nuovo simbolo?
«Non mi interessano i simboli alle elezioni. Spero che nascano associazioni e iniziative che incomincino ad aggregare non solo cattolici, ma persone, esperienze, idee e proposte innovative nel segno delle riforme anche a livello locale: per trasformare il welfare dei servizi in quello delle relazioni, per promuovere una nuova cultura del costruire e dell’abitare e del riqualificare, per la gestione collettiva di bisogni sociali, per sollecitare la sperimentazione di nuove soluzioni nella programmazione dei servizi sanitari più delicati e sofferenti dal punto di vista organizzativo nel segno di una maggiore collaborazione tra le varie categorie di medici, per migliorare i rapporti tra scuola e mondo dell’impresa e coinvolgere dirigenti e docenti scolastici in un approccio pioneristico all’orientamento e alle competenze trasversali per una didattica che valorizzi i ragazzi anche per quello che sono e non solo per quello che sanno». 

Questo suo manifesto, prelude a un suo ritorno alla politica attiva a livello locale? L’attuale sindaco De Pascale non si ricandiderà alla fine del secondo mandato…
«Nella vita ci sono gerarchie: in questi anni le mie priorità sono state tornare al mio lavoro a Bologna per non essere un peso per la politica, la famiglia e tornare a fare attività in parrocchia dove faccio l’animatore di un gruppo fantastico di giovani. Ormai ci siamo abituati a pensare che se uno mette in circolo idee, lo fa solo per fare “carriera” e quindi ci si mette tutti l’elmetto in testa per difendersi. Mi è già capitato in occasione dell’altro libretto su Ravenna, Capitale dei talenti. Ma se a sostegno di questa nuova cultura politica si aggregheranno, anche a livello locale, persone nuove e desiderose di dare il loro contributo disinteressato e senza pregiudizi, saranno loro a sollecitare la necessità di dare rappresentanza a ciò che oggi non è rappresentato e io darò volentieri una mano».

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