Case popolari, la residenza da almeno 3 anni in regione non darà punteggi aggiuntivi

Polemiche del centrodestra contro la nuova delibera. «Per superare le diseguaglianze»

Case Popolari

Sta andando avanti da giorni la polemica sulle case popolari in Emilia-Romagna, con il centrodestra (Lega e Fratelli d’Italia in particolare) sul piede di guerra per il nuovo regolamento approvato dalla Regione che ridimensiona il criterio della cosiddetta “residenza storica”.

A intervenire sul tema è stata in questi giorni l’assessora regionale alla Programmazione territoriale e politiche abitative, Barbara Lori che – rispondendo a un’interrogazione – ha parlato di «polemiche false e fuorvianti, poco adatte a un atteggiamento di responsabilità che deve riguardare tutti gli amministratori pubblici», ricordando che in Emilia-Romagna quasi l’80 percento degli alloggi Erp è occupato da famiglie italiane.

«Quanto al requisito della storicità della residenza e dell’attività lavorativa per almeno tre anni in regione – ha ribadito l’assessora – il provvedimento adottato dalla Giunta lo conferma come requisito di accesso all’edilizia residenziale pubblica, ma non ne prevede la duplicazione. È quindi falso affermare che è stato cancellato», come sta cercando di far passare qualcuno.

La delibera approvata dalla giunta a fine 2023 introduce l’obbligo per i Comuni di attuare una ripartizione ponderata dei diversi indicatori (ad esempio, nuclei familiari numerosi, giovani coppie, fragilità economica, coabitazione) utilizzati nelle graduatorie, in modo che nessun requisito specifico possa avere un valore preponderante rispetto agli altri. Come invece è capitato in passato con la residenza o dell’attività lavorativa da almeno tre anni in Emilia-Romagna, che «rimane un requisito di accesso – sottolineano dalla Regione – ma non potrà più essere utilizzato dai Comuni per attribuire punteggi aggiuntivi in graduatoria». L’obiettivo della Regione è quello di «assicurare il diritto alla casa e superare alcune diseguaglianze che a livello locale caratterizzano l’accesso all’edilizia residenziale pubblica».

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