Sbarchi, il sindaco: «Fallimento del Governo. Norme sull’asilo troppo restrittive»

De Pascale: «Sorprendente il silenzio del centrodestra. Noi, l’unica provincia che distribuisce i richiedenti asilo tra tutti i comuni in base ai residenti»

De Pascale Sbarco MigrantiPer il governo Meloni Ravenna è diventata “porto sicuro” per le navi delle Ong che salvano naufraghi nel Mediterraneo, richiedenti asilo che fuggono da Africa e Asia. Nell’arco di un anno sono oltre 800 le persone approdate sulla banchina ravennate, quasi 500 in questo inizio di 2024: 336 il 3 gennaio scorso, 134 il 10 febbraio, arrivati a bordo della nave Geo Barents di Medici senza Frontiere, provenienti da Siria, Pakistan Bangladesh, Marocco, Palestina, Egitto, Etiopia ed Eritrea.

Ad accoglierli c’è sempre stato anche il primo cittadino Michele de Pascale, essendo il Comune sempre direttamente coinvolto nelle operazioni.

Sindaco, lei ha dichiarato che l’ultimo sbarco è stato forse logisticamente il più complesso per l’indisponibilità del Pala De André come primo spazio di accoglienza e visite mediche. Come è andata?
«C’era da parte nostra una certa preoccupazione, è vero, ma la Croce rossa, che sta facendo un lavoro davvero encomiabile, ha allestito una tensostruttura nell’area esterna del circolo canottieri della Standiana e le operazioni si sono svolte senza problemi. Ma il nodo resta: lo Stato decide il porto sicuro, ma poi sta alle città organizzare fattivamente lo sbarco e l’accoglienza. Ravenna si è confermata un modello basato su umanità, professionalità e organizzazione».

Esiste anche un tema di costi a carico del Comune?
«Ovviamente il Comune ha i costi del personale che mette a disposizione per assicurare un’accoglienza degna, tra cui, per esempio, i mediatori culturali, ma il rapporto è diretto con la Prefettura, sempre presente e disponibile, e su questo non ci sono problemi».

Lei è sempre molto polemico contro il governo in queste occasioni, anche se ammette che non lo si può accusare di una scelta politica mirata a penalizzare le città o le regioni governate dal centrosinistra, visto che gli sbarchi avvengono, per esempio, anche a La Spezia.
«Questo è vero, come è vero che invece le navi non vengono inviate in città come Bari o Taranto governate dal centrosinistra, perché ormai è chiaro che l’obiettivo disumano del governo è mandarle in alto Adriatico per tenerle impegnate in giorni di navigazioni lontano dalle zone Sar. In questo modo non solo impediscono alle Ong di salvare altre vite umane, ma aggiungono sofferenze a persone già allo stremo delle forze, allungando il loro viaggio. Forse il governo si aspettava una reazione negativa, una ribellione da parte delle città prescelte, ma noi abbiamo sempre risposto e risponderemo con umanità e organizzazione, quello che manca al governo».

Questo è sicuramente vero per quanto riguarda l’Amministrazione e i volontari coinvolti, ma secondo lei qual è l’atteggiamento prevalente tra i cittadini?
«Si tratta di un tema divisivo. Ci sono tanti ravennati che vorrebbero che il governo bloccasse gli sbarchi come aveva promesso e come chiaramente non sta facendo; si tratta di fatto del fallimento più cocente per loro. Tantissimi altri che invece, con orgoglio, hanno un approccio opposto a questo. Del resto, la nostra amministrazione su questi temi ha sempre preso posizioni ben chiare, non abbiamo mai lisciato il pelo a sentimenti egoistici o alla retorica dei porti chiusi e sono stato eletto due volte. Quindi io penso che i sentimenti razzisti e xenofobi siano assolutamente minoritari. Poi c’è anche chi si rende conto che, al di là di tutto, gli immigrati rispondono a un’esigenza precisa del nostro paese».

Un’esigenza di forza lavoro? E però chi sbarca dalle navi viene accolto in attesa di capire se potrà o meno restare in Italia con la protezione umanitaria, per il lavoro ci sono i flussi…
«L’esigenza è quella di contrastare la forte denatalità del nostro paese che con i dati attuali, volenti o nolenti, non ci permetterà di mantenere un sistema complesso come il nostro e questo livello di benessere. I flussi previsti dal governo sono assolutamente insufficienti, mentre un sistema assurdo fa sì che un richiedente asilo in attesa di permesso possa trovare lavoro ma poi, in caso di rifiuto della protezione, come avviene per circa una metà delle persone, non possa convertire il permesso e restare qui in regola. E sa cosa succede? Che queste persone perdono il lavoro regolare e magari vengono assunte in nero, diventano quei famosi “clandestini” di cui parla il governo, il quale, d’altro canto, non è in grado di organizzare i rimpatri. A domanda precisa di noi sindaci sul numero di persone rimandate nei paese di provenienza dopo il diniego, il ministro Piantedosi ha evitato di rispondere. Non sarebbe meglio che potessero regolarizzarsi?».

Sindaco, sta parlando forse di una specie di sanatoria per chi non ottiene lo status di rifugiato?
«No, sto parlando di cambiare un sistema che così come è mette insieme disumanità e disorganizzazione, producendo sacche di irregolari che invece potrebbero essere integrati e di cui abbiamo bisogno. Si tratta di uno dei rari casi in cui ragioni etiche e utilitaristiche possono coincidere. Abbiamo norme sull’asilo troppo restrittive e si potrebbe pensare a percorsi premianti per chi lavora, per esempio. Ma è ovvio che i primi strumenti da dare a queste persone sono la lingua italiana e un avviamento al lavoro».

Questo è quello che accade nelle strutture di accoglienza Sai (ex Sprar) gestite direttamente dai Comuni?
«Esatto, ma purtroppo i numeri sono chiari, la maggior parte delle persone sono accolte nei cosiddetti Cas per cui il governo gialloverde allora decise di ridurre i fondi proprio per attività di integrazione e dove l’accoglienza significa solo vitto e alloggio. Per questo come Comune rinunciammo alla gestione e ora è tutto in mano alla Prefettura. Lo Sprar era un modello che avremmo voluto estendere e invece a un certo punto il centrodestra parlò di abolirlo del tutto, poi per fortuna si sono limitati a cambiargli nome in Sai. Qui i percorsi sono più personalizzati e di lungo respiro».

Nel complesso a Ravenna oggi sono accolte 1.500 persone, 800 sono quelle sbarcate in un anno, eppure abbiamo letto che la gran parte degli arrivi viene indirizzata altrove.
«Delle ultime 134 persone, per esempio, solo sette sono rimaste in provincia, mentre di continuo ne arrivano dal Lazio o dal sud Italia, non si capisce davvero per quale motivo, è un paradosso ma non abbiamo un luogo dove poterci confrontare e poterne discutere. Noi qui invece abbiamo cercato di darci un’organizzazione e ci tengo a precisare che Ravenna è un caso forse unico in cui i richiedenti asilo sono distribuiti su tutti i 18 comuni della provincia in base al numero dei residenti per evitare situazioni di eccessiva tensione e pressione sulla popolazione».

Sempre a proposito di organizzazione, il traffico delle crociere a Ravenna è in aumento, preoccupato per possibili problemi in occasione di altri sbarchi?
«Nemmeno questo riescono a fare dal governo, chiedere un calendario con le disponibilità».

Continuerà ad andare sulla banchina per accogliere i prossimi arrivi?
«Continuerò a farlo e Ravenna continuerà a dimostrarsi all’altezza della sfida. Devo dire che in quei momenti l’emozione è sempre molto forte e che tutte le persone coinvolte, a cominciare dagli operatori dell’Ausl, mostrano un coinvolgimento e una partecipazione che va ben oltre il dovere professionale. Devo anche dire che ogni volta che mi avvicino a Porto Corsini, mi tornano in mente gli ignobili striscioni di qualche anno fa a Marina Romea, sotto la struttura che ospitava alcuni profughi. E mi meraviglia il fatto che l’opposizione cittadina in questo caso taccia. Sono piuttosto certo che se a mandare le navi Ong qui fosse stato un governo di centrosinistra di striscioni di protesta o bandiere di partito ne avremmo viste parecchi. E invece il centrodestra locale o regionale non si è mai nemmeno preoccupato di spiegare ciò che sta accadendo. Spero almeno che tutto questo porti a una moratoria su future, eventuali, stupidaggini su questo tema».

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