I giovani candidati con De Pascale: «Che delusione, dopo le elezioni nessun dialogo»

Il gruppo Turbe Giovanili, alle ultime Amministrative con la lista Voci Protagoniste, tra politica e “società liquida”: «Per i ragazzi facciamo più noi con le “camminate socializzanti” che il Comune. Ci ripresenteremo alle elezioni»

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Nella loro presentazione, la parola “giovani” ricorre 23 volte. Hanno ben chiaro a chi parlano e di chi vogliono parlare Edoardo Caroli, 30 anni, impiegato nel settore finanziario a Bruxelles, e Ilario J. Salvemini, 26, account manager per un’importante agenzia del lavoro, fondatori del progetto Turbe Giovanili. Fabri Fibra non c’entra: si tratta di un gruppo informale nato a Ravenna nel 2019, che mette al centro delle sue attività politico-sociali il disagio delle nuove generazioni, cresciute in un Paese sempre più accartocciato e privo di prospettive. L’obiettivo? Ascoltare i turbamenti degli under 35, risvegliare le coscienze, fare massa critica. E, forse, buttarsi in politica.

Al centro dei vostri interessi ci sono i giovani. In quale generazione vi riconoscete? Millennial, Gen Z?

I.S.: «In nessuna di queste. Sono un classe ‘97, ma non mi sono mai sentito parte di questa generazione. Ho sempre avuto pensieri vecchi».
E.C.: «Direi millennial. Siamo cresciuti con la tecnologia, non l’abbiamo dovuta imparare. Spotify, Uber: abbiamo accesso a cose che non possediamo. Spesso i giornalisti ci definiscono “generazione Erasmus”».

Dite che il turbamento è “il sentimento del XXI secolo”. Cosa significa?

S.: «Lo credo fermamente. Mi sono laureato sul sociologo Zygmunt Bauman, di cui sono un enorme fan. Bauman parlava di una “società liquida”, dove tutto è momentaneo, niente dura per sempre. Dalla continua liquidazione dei rapporti, del lavoro, della socialità, emerge il turbamento. Un fardello, certo; ma bisogna accettarlo per trasformare il negativo in positivo, per mutare l’insoddisfazione in attivismo politico e sociale. È il nostro punto di partenza: turbati, ma possibili agenti di cambiamento».

Vi siete candidati nelle ultime elezioni comunali, nel 2021. La vostra lista civica si chiamava Voci protagoniste e faceva parte della coalizione di centrosinistra.

S.: «Edoardo era a Bruxelles, quindi fisicamente sono stato io il leader della lista civica. Abbiamo sostenuto Michele de Pascale. C’eravamo candidati per portare all’attenzione le esigenze degli under 35, di chi non fa o non si interessa di politica. I risultati non sono stati quelli auspicati e la delusione rispetto all’amministrazione locale è stata tale che ho lasciato l’Italia per un anno e mezzo. Dopo le elezioni non c’è stato nessun riscontro da parte dell’amministrazione. Nessun dialogo. E i risultati si vedono: la politica locale va sempre più in malora, i giovani se ne fregano. Prova a chiedere agli under 35 come si chiama l’assessore alle Politiche giovanili (Fabio Sbaraglia, ndr): il 99% non sa rispondere. Questo è per noi l’emblema di un fallimento. Ma se i giovani non si interessano di politica è perché la politica non si interessa di loro. Siamo molto più assessori alle Politiche giovanili noi di quanto lo sia l’attuale, perché lavoriamo davvero coi giovani, ci sporchiamo le mani».

Dove vi collocate politicamente?

S.: «Faccio fatica a dirtelo perché questa politica mi repelle a livello amministrativo, regionale e nazionale. Ecco perché il nostro attivismo sociale è più importante di quello politico: perché quello politico è inutile. I giovani, in un certo senso, fanno bene a disinteressarsene, così come noi abbiamo scelto di escluderci da logiche partitiche. Socialmente c’è tanta energia che, in un’ottica a lungo termine, può essere reintegrata a livello politico. E anche se al momento siamo fuori dal campo politico, le nostre indoli rimangono tali, e probabilmente io e Edoardo torneremo a far politica».

State pensando alle prossime elezioni comunali?

S.: «Sarebbe assurdo dirti di sì adesso. Ma se devo risponderti onestamente, la mia opinione è  che Ravenna ha bisogno di noi. Quindi sì, scenderei di nuovo il campo».

Vi definite apartitici. Non c’è una contraddizione nel far politica senza un partito?

C.: «Essere politici in modo apartitico è la linea migliore da seguire. Al momento di candidarci ci chiedemmo: ma chi votiamo, chi ci rappresenta? A un giovane che mi avesse chiesto un consiglio su chi votare, sarei stato costretto a rispondere: nessuno. Per questo era necessario candidarsi».

È il 2027: un giovane ravennate vi vuole votare. Dove sta votando? Destra, sinistra, centro?

S.: «Non esistono più destra, sinistra, centro. È tutto un magna magna. Onestamente mi sento di rappresentare idee sociali lungimiranti che non hanno posizionamento partitico. L’ambiente riguarda la destra e la sinistra. Così la parità sociale, l’educazione, i giovani. Vogliamo risvegliare tutte le coscienze che hanno a cuore la società».
C.: «Fra i nostri motti c’è questo: riavvicinare i giovani alla politica. Per me puoi votare chi ti pare, ma l’importante è andare alle urne, far vedere che esisti, esercitare un diritto che è anche un dovere. Partendo dall’atto politico del voto si fa il mondo. Bisogna istruire i ragazzi a prendersi in carico questo dovere. In Belgio e in altri quattro Paesi europei il prossimo giugno potranno votare i 16enni. Alcuni possono storcere il naso, ma potrebbe essere un buon passo per l’educazione civica al voto».

Ho visto le vostre attività: podcast, incontri, camminate serali, l’uso di adesivi per raccogliere le esigenze degli under 35. Oltre a queste, che tipo di azioni concrete volete operare per cambiare Ravenna?

C.: «Abbiamo un gruppo Whatsapp con 75 membri e da poco abbiamo fatto una serie di sondaggi. Nove domande per capire chi erano i nostri “turbati”. Abbiamo chiesto di che cosa avessero bisogno. Sono emersi risultati interessanti: il nostro “turbato” medio va dai 25 ai 30 anni, spesso è un lavoratore insoddisfatto; alcuni vorrebbero fare un’esperienza all’estero, alcuni vorrebbero un supporto per redigere il curriculum; altri un orientamento all’università o al lavoro; in molti hanno chiesto un aiuto psicologico. Nel 2024 vorremmo iniziare a offrire una serie di servizi, in collaborazione con altre realtà locali. Partendo da una sorta di peer to peer review vogliamo rafforzare la comunità. Offrire oggi quelle risposte che io e Ilario cercavamo dieci anni fa e che nessuno ci ha saputo dare».
S.: «Hai mai visto 20 ragazzi passeggiare in centro a Ravenna? Noi ne abbiamo fatti incontrare il triplo nella serata di lancio del format Walk&Talk. Ragazzi che non si conoscevano, che studiano o lavorano, che vengono da fuori Ravenna. Abbiamo fatto ciò che non è mai stato fatto per tanti anni in città e che sarebbe compito dell’amministrazione organizzare. Ma la forza del nostro attivismo è influenzata proprio dalla totale mancanza di interesse di questa amministrazione. Perché succede? Forse perché non siamo personaggi comodi…»

Parliamo di queste camminate. Come nasce l’idea?

S.: «Walk&Talk è un format ideato da uno studente di Forlì, Simone Flamigni. Ho conosciuto casualmente la sua idea di queste “camminate socializzanti” online e l’ho subito contattato. La dinamica alla base era molto simile a quella delle nostre “serate sticker”, durante le quali spingevamo i giovani a socializzare, a occupare il centro città facendo sentire la propria voce».
C.: «Lo slogan della serata è: meno social, più sociali. Non siamo dei semplici profili, siamo delle persone. Vogliamo aiutare i giovani a conoscersi dal vivo, a creare amicizie, in un mondo che si basa sempre di più sulle relazioni virtuali».

Cosa succede durante le camminate?

C.: «Decidiamo una data e cominciamo a promuovere l’evento sui nostri social. Quindi ci si incontra. Noi partiamo da Porta Adriana. Al fischio d’inizio si formano casualmente delle coppie e si inizia a camminare. Si segue un itinerario in centro città e ogni tot si fa un nuovo fischio per rimescolare le coppie. Questo permette di parlare con una persona sconosciuta, di conoscersi. Si riscopre la bellezza delle relazioni personali. Pensa che recentemente, a Forlì, una coppia che si era conosciuta durante un Walk&Talk si è sposata!»

Quante camminate avete organizzato? Ce ne saranno altre?

C.: «Al momento due, una a novembre e una a febbraio. Ancora non sappiamo quando sarà la prossima. Forse a maggio, in vista delle elezioni europee».
S.: «Continueremo a farne. Ci piacerebbe che la nostra amministrazione cogliesse la bellezza di questa iniziativa, com’è già avvenuto a Forlì e Cesena».

turbe giovanili

Ravenna è una città privilegiata rispetto ad altre realtà italiane: tendenzialmente benestante, culturalmente attiva. Cosa manca per un ragazzo? Si parla banalmente di posti di aggregazione o ci sono mancanze più profonde?

C.: «La parola è “prospettiva”. Io stesso, che ho studiato Scienze internazionali diplomatiche a Forlì, mi sono chiesto: concretamente, qui, che posso fare? Se uno non si vuole accontentare del lavoro di famiglia o di un lavoro purchessia, cosa può fare? Manca un aiuto per tutti quei giovani che decidono di intraprendere carriere autonome: un salario più alto, servizi».
S.: «A Ravenna manca tantissimo. Non parlo di degrado, naturalmente. Mancano spazi di aggregazione, luoghi dove i giovani si possano incontrare, occupare spazi fisici, fare cultura. Se vogliamo cambiare il mondo, bisogna partire dal nostro piccolo mondo».

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