È scomparso qualche mese fa il babbo di un mio caro amico, una persona che senza saperlo ha avuto una grande influenza nella mia vita. Era un personaggio molto particolare, almeno per gli standard di una persona nata e cresciuta in campagna come me. Studioso di lettere classiche, ex bibliotecario, persona dotta e grandissimo commensale; non era decisamente frequente trovarsi a cena con un gruppo di venticinquenni e il padre sessantenne di uno di loro, e che tutti i venticinquenni stessero in silenzio ad ascoltare le sue storie. Con lui capitava sempre.
Nella mia esperienza di vita è stato uno dei primi adulti di cui ho pensato che una volta sono stati anche ragazzi, e senza necessariamente comportarsi da eterno adolescente o cosa – credo avesse un trucco, credo di averlo capito, non lo svelo per scaramanzia. Era anche un discreto appassionato di musica, o comunque aveva in qualche modo la capacità di parlarne, e (da appassionato a mia volta) la mia storia preferita tra quelle che raccontava era una storia di musica, e arrivò per caso, buttata lì per caso a un certo punto.
Avrete forse sentito parlare di un compositore di nome John Cage, forse il più importante intellettuale che nel novecento ha girato intorno alla musica. Una volta Ravenna dedicò a lui una piccola mostra in un luogo inusuale: la stazione Fs, con un concerto per piano preparato, un reading di Mimì Clementi e (mi pare) l’esposizione del famoso treno della sua performance. Alla fine degli anni settanta venne chiamato a sonorizzare un treno che percorreva la tratta Bologna-Rimini, un’opera poderosa di cui io ho potuto solo sentir parlare – una cosa che attraversava il mio territorio, piena di artisti fichissimi, improvvisazioni, tutto a cura di un gigante della cultura del ‘900.
E lui dice che in effetti su quel treno c’era stato e aveva conosciuto John Cage (immaginati la mia mascella), ma non ricordava musica o altro – forse erano sopralluoghi pre-performance, o che so io. In effetti l’unica cosa che ricordava era che s’era sparsa la voce di questo tizio importante ma anche cordiale e un po’ stralunato, e della sua cricca di amici che andava ad attaccar bottone e magari prenderlo un po’ per il culo.
Di questa cricca uno dei più accaniti era tale Riccardo, nome di fantasia, uno di quei classici figli della campagna romagnola che a un certo punto vengono investiti da un tir carico di buone letture e diventano improvvisamente dei bohemien di sinistra con la sciarpina ma senza scordare il buonumore che respiri nella valle del Savio. Era una bella storia, un po’ perché aggiungeva una dimensione umana alla figura di John Cage, ma soprattutto perché questo Riccardo aveva poi completato gli studi, fatto certe scelte di vita e in quell’esatto momento ricopriva la carica di sindaco nella città in cui ci trovavamo mentre il padre del mio amico raccontava la storia – tra l’altro negli anni chiave di un percorso di imborghesimento liberale di un centrosinistra che stava scandagliando i tombini alla disperata ricerca di una personalità carismatica.
Fine dell’aneddoto, e giunto fino a qui mi rendo conto di averla tirata troppo per le lunghe. L’ho raccontato perché è stato a quel tavolo, qualche decina di anni fa, che ho scoperto un aspetto marginale ma significativo di quello che sarebbe stata l’età adulta: arriva un momento in cui alcune delle persone che popolano l’album fotografico dei tuoi ricordi escono dal suddetto album e vanno a tappezzare le strade delle città in cui passi la tua vita, sotto forma di manifesti elettorali. E per quanto riguarda la mia esperienza, non è mai molto diverso dalla storia del treno, e se devo essere sincero è tutto un po’ deludente.
Quando giravo per i banchi del liceo alla disperata ricerca di un punto di riferimento politico era abbastanza evidente chi avrebbe dedicato la sua vita alla politica, da tutte e due le parti. A dirigere le attività della sinistra c’era un gruppo di personaggi vestiti più o meno come me, alcuni arrabbiatissimi e altri spesso storditi dalle cose che facevano nella loro vita privata; a destra c’erano diversi membri della Cesena bene che gravitavano attorno alle associazioni cattoliche e nuovi personaggi che stavano prendendosi la ribalta sull’onda del berlusconismo (a quei tempi appena nato).
Erano spesso personaggi ai limiti del probabile, ma si riusciva a identificare tra loro alcuni nomi per i quali avresti giurato una carriera politica di grandissimo successo a livello nazionale. Erano spesso figure barricadere che nell’Italia del 1995 urlavano contro i pericoli dello statalismo e dell’ultraliberismo, a seconda dei casi, con un’energia e un trasporto che mi facevano intravedere in filigrana un alleato o un nemico su cui poter contare in futuro. E ovviamente non ho sentito parlare di nessuno di loro finiti gli anni del liceo, quantomeno quando si trattava di politica.
Le persone che riconosco nei manifesti per strada e negli spot su internet sono decisamente altre. Quasi sempre hanno trovato la loro vocazione politica più tardi, nella prima età adulta, e magari dopo i trenta. A quel punto la loro vita era una somma di esperienze di cui non potevi avere idea, e il loro programma politico – ammesso che oggi si possa davvero parlare di programmi, ok – non rispecchia in alcun modo le foto che hai in testa.
Alcun* hanno il viso pulito e parlano di un futuro green, ma tu te l* ricordi con qualcuno che teneva loro i capelli mentre sboccavano fuori dal Rock Planet e posti simili. Ci sono persone con cui hai diviso birre e confidenze che ragliano contro il pericolo immigrazione e una sicurezza cittadina ormai allo sbando. Spariscono magicamente gli anelli al naso, le collane coi pentacoli, le occhiaie e le bottiglie di Tennent’s Super (parliamo dei più morigerati per carità cristiana), sostituiti da bizzarri completi scelti da qualche consulente per l’armocromia e pettinature indossate per la prima volta in occasione della foto, con lo stesso sdegno con cui la mia professoressa di lettere al liceo commentava i miei temi di cultura generale («e commentiamo ora il tema insipido e triste di Farabegoli, che per la fortuna di questo paese non sarà più tenuto a scrivere una singola riga di prosa una volta che riuscirà a rubare il suo diploma di maturità scientifica»). Sciorinano un italiano formale e irriconoscibile, pugnalato dalle inflessioni dialettali che maneggiavano così bene nei tavoli di quei bar forlivesi, nelle saltuarie tribune politiche del Tgr Emilia Romagna a cui partecipano.
Leggo i loro nomi incolonnati nei manifesti che affiggono fuori dai seggi, spesso nei piani bassi delle liste di un partito contro cui sono venuto a votare, e credo che questa sia in fondo la forma ultima di democrazia – entrare nel segreto dell’urna e tirare una croce nella speranza di contribuire a mandare a casa uno dei tuoi migliori amici.
Pensateci la prossima volta che prendete un treno e magari un diciannovenne nello scomparto dietro vi infastidisce ascoltando della trap orrenda con l’amplificatore bluetooth: fra 30 anni potrebbe essere lui a decidere se rifare o no l’asfalto davanti a casa vostra.