lunedì
16 Giugno 2025
l'intervista

Marco Travaglio, sempre controcorrente: «Per un’alternativa alla stampa omologata»

Il direttore del "Fatto Quotidiano" al teatro Alighieri con uno spettacolo di satira: «Racconto l’arrivo della Meloni in Italia: sta completando la restaurazione inaugurata dal Governo Draghi, andando contro alle origini del suo partito»

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marco travaglio

Al Teatro Alighieri di Ravenna martedì 11 febbraio arriva lo spettacolo I migliori danni della nostra vita: il direttore del Fatto Quotidiano e noto giornalista Marco Travaglio sarà sul palco con un’opera di satira sul mondo di oggi. Lo abbiamo intervistato.

Perché proprio uno spettacolo a teatro? A quale pubblico si rivolge?
«Per raccontare l’arrivo della Meloni alla guida del nostro paese occorre del tempo e il teatro è in grado di fornirlo, a differenza della tv, dove gli interventi sono per forza di cosa molto brevi. Sul palco si crea un’interazione in “carne e ossa” che nessun altro tipo di mezzo di comunicazione può dare: dalla platea capisci cosa funziona e cosa no, cosa fa ridere, cosa fa riflettere. E poi, per conoscere i propri lettori è necessario uscire dalla redazione. Lo spettacolo si snoda attraverso un linguaggio satirico, il pubblico a cui mi rivolgo quindi è quello che apprezza la satira: chi vuole capire veramente, senza prediche di ore, ma ridendo amaramente del nostro presente».

In che direzione si sta muovendo la democrazia, in Italia, in Occidente, nel mondo?
«La democrazia lancia grandi allarmi, ma già da tempo. Ci troviamo più precisamente in una post-democrazia e noi in Italia abbiamo fatto da cavie: qui votiamo ma il “sistema” rimane uguale. Nel 2011, per esempio, Napolitano decise di non andare alle elezioni e di istituire un governo tecnico (guidato da Mario Monti, ndr), ben sapendo che una vittoria dei 5 Stelle avrebbe cambiato le cose. E di nuovo nel 2013, quando al posto dell’ammucchiata tecnica ce ne fu una politica, guidata da Letta e dagli sconfitti alle elezioni: abbiamo potuto vedere come in realtà in Italia rimanga sempre tutto com’era prima. Non è un caso che negli anni successivi abbiano avuto successo proprio le parti escluse a quelle elezioni: nel 2018 il Movimento 5 Stelle, alle Europee del 2019 la Lega e nel 2022 Fratelli d’Italia. Oggi la Meloni sta distruggendo le politiche di cambiamento dei 5 Stelle: in Europa Conte ottenne più di 300 miliardi (con il cosiddetto “recovery plan”, ndr), la Meloni invece è tornata in negativo; ha smantellato il reddito di cittadinanza e sta completando una restaurazione inaugurata dal governo Draghi, che la fece sostanzialmente resuscitare portandola dal 12 al 26 percento, andando contro alle origini sociali, anti atlantiste, anti europeiste del suo partito, senza tassare i grandi gruppi e i grandi patrimoni; appena hanno sfiorato le lobby, Marina Berlusconi ha fatto capolino e si è compiuta un’inversione di marcia per non infastidire le persone sbagliate».

Che peso ha, che ruolo ha il giornalismo oggi, nell’età apolitica, dell’individuo e dell’intelligenza artificiale?
«Il giornalismo oggi ha un ruolo infimo, è omologato, ed è terreno fertile per una sostituzione da parte dell’Intelligenza artificiale. Per “combatterla” occorre originalità, andare controcorrente e resistere alla semplificazione del messaggio».

Come percepisce il suo ruolo di giornalista in un’Italia senza ormai penne davvero super partes, capaci di attaccare il potere a prescindere dalla parte politica?
«Mi diverto: meglio essere in pochi. E poi credo che non siamo in questa situazione per meriti miei, ma per demerito altrui. Quando iniziai a fare il giornalista una quarantina di anni fa erano centinaia a fare questo mestiere come lo faccio io. Oggi invece in molti dipendono da grandi gruppi o dalla pubblicità, a causa della crisi dell’editoria, e quindi non attaccano, non fanno domande scomode per non mettere a rischio il loro posto di lavoro. Il Fatto Quotidiano si avvale della sua indipendenza: se un grande gruppo acquista una pagina pubblicitaria siamo felici di vendergliela ma se il progetto si espande a “tutto il giornale” allora rifiutiamo perché dobbiamo poter mettere in luce tutto ciò che il potere fa, senza essere condizionati».

Il Fatto è tra i pochi giornali a crescere. Riesce a mantenersi con i suoi lettori, si può andare avanti anche così?
«Per il momento si cresce, andiamo avanti, cerchiamo di essere originali, di fare diversamente, di prendere posizioni forti quando le cose non vanno come dovrebbero. Cerchiamo soprattutto di farlo subito, non a distanza di anni, come con Monti per esempio, dove fummo tra i pochissimi a muovere critiche al momento dell’insediamento. O con l’Ucraina, dove scrivemmo nei primi mesi che la guerra l’Occidente la stava perdendo, che le sanzioni non funzionavano e che Zelensky non era altro che un burattino, un ostaggio angloamericano. Con interventi come questi abbiamo forse conquistato lettori in cerca di una via alternativa all’omologazione generale della stampa di oggi».

In questo momento cosa si sta muovendo in Italia, in Europa, di positivo, di progressivo, qualcosa che possa portare a un miglioramento politico e in generale sociale?
«Nel mio giudizio politico sono laico, applaudo il giusto, non l’incoerenza: se Trump fermasse la guerra in Ucraina io lo direi, se la Meloni tassasse i grandi gruppi io lo sottolineerei, ma se va contro ogni idea fondante del suo partito e si fa schiava dell’Europa e degli Stati Uniti io non posso che criticarla. Oggi ritengo sarebbero importanti le politiche sociali, una lotta all’atlantismo cieco, andare a prendere soldi negli extra profitti delle grandi aziende e delle grandi banche, cercare la pace e il negoziato. Vedo queste idee in piccole frange del Pd e nel Movimento 5 Stelle».

Un consiglio a noi ventenni di oggi, appassionati di storia, politica, economia, mondo, narrazione?
«Direi di informarsi, di sviluppare uno spirito critico attraverso il messaggio complesso, non con le poche frasi lampo dei social, direi di non assecondare il potere che dice che il nostro voto non conta».

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