La ventenne Hiba Alif, nominata assessora dal sindaco Alessandro Barattoni, non è la prima persona di origini straniere che entra nella giunta comunale di Ravenna. Già avvenne nel 2011 nella seconda squadra di governo di Fabrizio Matteucci che scelse Ouidad Bakkali, all’epoca 25enne e oggi in Parlamento con il Pd.
Accanto alle critiche sulla presunta inesperienza dovuta alla giovane età, Alif ha ricevuto via social anche parecchi attacchi a sfondo razziale legati più alle sue origini piuttosto che alle sue competenze politiche. Sulla nostra pagina Facebook abbiamo deciso di rimuovere alcuni dei commenti più violenti.
Bakkali e Alif hanno entrambe origini marocchine. Per la deputata è stato una sorta di déjà vu e ha scelto di non restare in silenzio, anche perché il tema dell’inclusività e della cancellazione delle discriminazioni è uno di quelli su cui spesso si è esposta in prima persona.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo alcune riflessioni firmate da Bakkali sul caso Alif:
Sono passati quattordici anni da quando Fabrizio Matteucci mi nominò assessora a Ravenna. Un tempo infinito. E leggere, nelle ore successive alla sua nomina, i commenti beceri e razzisti rivolti a Hiba Alif, assessora alle politiche giovanili, mi ha fatto fare un salto temporale. Stesse parole, stessa violenza, stessa stupidità.
Oggi, con l’esperienza e gli anni, quei commenti di leoni e leonesse da tastiera rimbalzano sulla pelle indurita che mi sono costruita. Ma ricordo bene che allora non fu così. Quei commenti erano vere e proprie aggressioni e microaggressioi come le definisce nelle sue ricerche il Prof. Derald Wing Sue sulle persone razzializzate o parte di gruppi sociali marginalizzati.
All’inizio non fu semplice. Alcune parole ti trafiggono, ti feriscono, ti offendono, ti violano nel profondo, nella tua persona. “Ma che sarà mai, fregatene!” mi dicevano. Ma a venticinque anni non ce la facevo. Li leggevo tutti, uno per uno. Non mi ero mai resa conto, prima di diventare un “personaggio pubblico”, che qualcuno potesse giudicarmi e disprezzarmi preventivamente, senza conoscermi, solo sulla base del mio nome, del mio cognome, delle mie origini. Erano spine nella carne, conficcate da gente qualunque, che poi magari incontravo in via Cavour o in piazza del Popolo. Odiatori vigliacchi, che quando li guardavo negli occhi per strada, abbassavano lo sguardo e scappavano.
Si potrebbe liquidare tutto questo dicendo che si tratta di persone di poco valore, che usano i social per riversare odio, frustrazione, visioni del mondo ormai superate. Ma no, non basta. Anche perché chi mi diceva di “tornarmene al mio Paese” (e chissà, forse intendevano Casalborsetti, dove vivevo prima di trasferirmi in città?) e riversava insulti razzisti sulle pagine social dei giornali locali, spesso era inconsapevole di commettere veri e propri reati.
Sì, cari leoncini e care leoncine: le vostre non sono opinioni, sono reati. Diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 604 bis c.p.), e poi la legge 654 del 1975 e la legge Mancino del 1993. Se avessimo una normativa specifica sui crimini d’odio, sarebbe più semplice perseguire e sanzionare, soprattutto per quanto accade online. Ma intanto, le sentenze iniziano a creare giurisprudenza sul tema, e finalmente questi leoni da tastiera iniziano a dover spendere soldi veri per avvocati veri, cause vere e risarcimenti veri.
Detto questo, cara Hiba, ti sono vicina. Capisco bene quanto certe parole possano fare male. All’epoca, la mia migliore risposta fu dedicarmi all’incarico che mi era stato affidato: con il lavoro quotidiano, amore, umiltà, passione, voglia di imparare. Riportavo il confronto sempre nel merito delle azioni, delle scelte, del mio lavoro politico. Perché lì, i leoni solitamente scappano miagolando e trovi solo i confronti utili, discussioni anche aspre e quelle critiche costruttive che ti aiutano a migliorare le politiche, cambiare idea quando serve e amministrare la cosa pubblica.
Un grazie sentito va a Ravenna&Dintorni che, come altre volte, si assume la responsabilità di rimuovere i commenti indegni e si confronta, per quanto possibile, con la comunità online che segue il giornale.
E grazie a quel pezzo di comunità ravennate, sana e consapevole, che ha saputo prendere posizione con parole chiare. Non solo a difesa di Hiba Alif, ma anche del principio che razzismo e violenza non possono essere normalizzati, né diventare moneta corrente nelle relazioni sociali. Non possiamo accettare passivamente quello che sta accadendo sotto la spinta di una propaganda globale che mette i penultimi contro gli ultimi, che normalizza deportazioni, “remigrazioni” e discriminazioni sistemiche in nome di un’idea di sicurezza che, invece di proteggerci, rende le nostre società più impaurite, chiuse, diffidenti e violente.
Una sicurezza fatta di città militarizzate, di capri espiatori scelti senza alcuna analisi seria dei fenomeni complessi che attraversano la nostra epoca. Perché ancora prima del fenomeno migratorio, quello che ci rende insicuri sono: la povertà, le disuguaglianze profonde, l’incertezza sul futuro dei giovani e dei loro sogni, l’emergenza abitativa, il caro vita e bollette, la fragilità del nostro sistema sanitario, il disagio sociale e culturale, la cura degli anziani, delle persone con disabilità, l’affermazione della supremazia e della regola del più forte e del più ricco nelle relazioni tra Stati, tra categorie e, di conseguenza, tra persone.
Buon lavoro a Hiba e a chi, come me e come tanti, crede ancora in una società della convivenza plurale, giusta, laica, antirazzista e antifascista. Una società che abbia la nostra Costituzione come faro per il futuro, con la determinazione di attuarla davvero nei suoi principi fondamentali e in quell’equilibrio magistrale che madri e padri costituenti seppero trovare tra libertà individuali e responsabilità collettive, all’indomani di guerre devastanti e dittature totalitarie.
Dopotutto, essere cittadini e cittadine italiane significa proprio affermare questi principi, no?
“Lasciatemi cantare
Con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare
Una canzone piano piano
Lasciatemi cantare
Perché ne sono fiera
Sono un’italiana
Un’italiana vera”