Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento della nostra collaboratrice Marina Mannucci, attivista per l’emergenza climatica.
Il 23 luglio, la Corte internazionale di Giustizia (International Court of Justice – ICJ), l’organo giudiziario delle Nazioni Unite, ha adottato l’atteso parere consultivo sulle conseguenze giuridiche che derivano per gli Stati in base al diritto internazionale nella lotta al cambiamento climatico. Come punto fondamentale della decisione, la Corte ha chiarito che tutti gli Stati della Comunità internazionale hanno obblighi vincolanti nella gestione e mitigazione degli effetti negativi del cambiamento climatico, e che possono essere chiamati a risponderne in caso di loro violazione, con tutte le conseguenze che ne derivano, tra cui l’obbligo di risarcimento dei danni subiti da altri Stati o individui.
In Italia, l’ordinanza n. 13085/2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pubblicata il 21 luglio, ha segnato un passaggio cruciale nella riflessione giuridica sul tema della climate litigation. La Corte si è pronunciata in merito a un regolamento preventivo di giurisdizione sollevato nell’ambito di un giudizio promosso da Greenpeace, ReCommon e diverse/i cittadine/i – campagna #La giusta causa – contro Eni, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., accusati di inottemperanza agli obblighi climatici internazionali e di responsabilità per danni derivanti dal cambiamento climatico. Si tratta della prima causa, in Italia, a stabilire una domanda risarcitoria e inibitoria non solo nei confronti dello Stato ma anche di soggetti privati (Eni) e pubblici partecipati (Cdp), con l’obiettivo di ottenere misure coercitive concrete in materia climatica. I ricorrenti hanno costruito la propria azione su norme di diritto interno (artt. 2043, 2050 e 2051 c.c.), su fonti costituzionali (artt. 2, 9, 32 e 41 Cost.), e su fonti sovranazionali, in particolare l’art. 8 CEDU e l’Accordo di Parigi, di cui si chiede un’efficacia diretta anche nei rapporti tra privati. La Corte ha riconosciuto il rilievo giuridico della controversia e ha indirettamente individuato la potenziale giustiziabilità (ossia la garanzia di poter agire in giudizio contro atti e comportamenti che si prospettino lesivi di interessi riconosciuti come meritevoli di protezione) di richieste basate sulla tutela climatica, con riferimento ai diritti fondamentali e alla responsabilità civile.
La Cassazione ha dato piena ragione alle associazioni ambientaliste e ha sottolineato come ormai vi sia una certezza scientifica sull’origine antropica del cambiamento climatico, senza scappatoie. Trascurare, sottovalutare, ritardare per prediligere il mero profitto, ancora peggio, negare il cambiamento stesso è una minaccia grave per i diritti umani che richiede azioni urgenti da parte di tutti, settore pubblico e privato. Malgrado la decisione della Cassazione non entri ancora nel merito della responsabilità di Eni e degli altri soggetti coinvolti, questa sentenza è un passaggio significativo nel delineare i confini per le responsabilità anche di soggetti privati nel rispetto degli obblighi derivanti dalla crisi climatica.
Sempre nel mese di luglio, come riporta una nota del Blog indipendente “Faenza Eco-Logica”, «Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna, Corrado Schiaretti, ha archiviato definitivamente la querela per diffamazione rivolta alla giornalista Linda Maggiori nel 2023 da Stefano Pratolesi, proprietario dell’allevamento intensivo di tacchini Gaia Società Agricola. Una querela che il Pm aveva già archiviato ma alla quale Pratolesi si era opposto. Il 23 luglio è stata depositata l’archiviazione definitiva anche dal Gip». Pratolesi aveva denunciato Linda Maggiori a seguito di un articolo pubblicato sul blog “Faenza Ecologica” dal titolo L’allevamento di tacchini a Celle, Faenza: una storia di proteste, giudicato diffamatorio dal proprietario. Secondo il Gip, «Il contenuto dell’articolo era volto a ricostruire in chiave critica la storia dell’allevamento di tacchini sito in località Celle di Faenza e a descriverne lo stato attuale».
Questi pronunciamenti giuridici – in ambito internazionale, nazionale e locale – segnano l’inizio di una nuova era di contenziosi climatici, ponendo Stati e grandi aziende di fronte alle proprie responsabilità. La giustizia climatica, ponendosi interrogativi su come diritto e giurisdizione possano evolvere per rispondere alla sfida epocale del cambiamento climatico, non è più un’opzione astratta, ma un obbligo legale che apre e allarga spazi di giustiziabilità nell’ordinamento italiano e a possibili cause climatiche in tutto il mondo, dando una base giuridica consistente alle richieste di risarcimento avanzate anche dai Paesi più vulnerabili.