Case famiglia sotto indagine, un settore che scricchiola

Dai maltrattamenti al caporalato: il settore delle case famiglia a Ravenna nell’ultimo anno è stato toccato da accuse pesanti con sei arresti in quattro strutture finite sotto indagine.

Prima di gridare che è tutto marcio forse è il caso di calare i numeri nel contesto: parliamo di un centinaio di realtà nel comune con circa 500 letti, trecento posti di lavoro e un fatturato complessivo attorno ai 10 milioni di euro (dati 2017 di Confcommercio).

Ma l’errore più grave sarebbe sottovalutare il segnale che arriva dalle operazioni giudiziarie. Perché il settore è troppo delicato per commettere una leggerezza simile. Di mezzo ci sono gli anziani, diventati la grande questione per una popolazione che muore sempre più tardi e allunga la fase della vita in cui ha bisogno di assistenza (basti pensare che nella campagna elettorale di Cervia tre candidati sindaco su quattro mettevano la terza età come priorità prima di tutto nel welfare).

Le case famiglia sono, come dice la parola stessa, luoghi in cui ospiti fra loro estranei dovrebbero comporre un eterogeneo nucleo familiare in cui vivere serenamente con la leggera assistenza di personale che li aiuti nelle lacune di una complessiva autosufficienza. Più ritrovo che ospizio, per capirci. Invece a Ravenna ci ritroviamo con società che mandano avanti catene di case famiglia. È il business della terza età. Che ora ha bisogno di un giro di vite nelle norme che regolano l’accesso, nei requisiti richiesti da chi opera e nella frequenza dei controlli per reprimere gli abusi.

Pensate come spazi di convivenza e non come luoghi di assistenza socio-sanitaria, nacquero in un quadro normativo non troppo rigido. Ma in quella scarsa rigidità hanno proliferato le irregolarità. Non solo violenze disumane dagli operatori nei confronti degli ospiti ma in un caso anche di trattamenti lavorativi ai confini dello sfruttamento. Questo secondo aspetto proietta ombre ancora preoccupanti: le vittime delle irregolarità non sono solo gli anziani indifesi ma anche i lavoratori in condizioni di bisogno. Insomma, i deboli pagano il prezzo.

L’offerta della sanità pubblica non è in grado di coprire la domanda dei cittadini, per ragioni di tagli, e il servizio viene delegato ai privati. Ma questi poi agiscono da imprenditori con la necessità di fare profitto (incassando rette che arrivano a duemila euro al mese per ogni persona, fate i vostri conti).

Nella scenario locale dei bisogni per gli anziani però qualcosa si muove. Da circa un mese è operativa la comunità alloggio casa Fabbri, struttura del Comune con una ventina di posti nata da un lascito privato. È uno spazio gestito dal pubblico. È qualcosa, ma sappiamo già che non sarà abbastanza visti i grandi numeri. Ci sarà ancora bisogno dei privati, se ben regolati è meglio.

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