lunedì
16 Giugno 2025
Rubrica L'opinione

Dalla via Emilia al porto insabbiato

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Fausto PiazzaRecentemente, in occasione delle conferenze di architettura che organizzo come direttore responsabile della rivista Casa Premium per le edizioni Reclam, ho scoperto dalla viva voce del suo autore, l’architetto Andrea Oliva, un ammirevole progetto di rigenerazione urbana: il Tecnopolo all’interno dell’ex area industriale delle Officine Reggiane a Reggio Emilia.
L’architetto Oliva – che non è un archistar, anche se è un un valente progettista – si è aggiudicato nel 2010 il lavoro sulla base di un concorso pubblico per la riqualificazione di un capannone di 3.500 metri quadrati (vincolato ai termini dell’archeologia industriale), finanziato dal Comune di Reggio Emilia – che non è una metropoli – e dalla Regione Emilia-Romagna – che è anche la nostra amministrazione regionale – con la ragguardevole cifra di 5milioni e 500mila euro. L’edificio dopo la ristrutturazione è stato inaugurato a fine 2013 e ora ospita start up aziendali, centri di ricerca industriali e spazi pubblici.
Se ho capito bene, l’iniziativa, a suo tempo sostenuta dal sindaco di Reggio Graziano Delrio (sì l’attuale ministro del governo Renzi) e dal presidente della Regione Errani, sta generando altri interessi privati e ulteriori progetti di riqualificazione. Cosi 1/4 almeno dei 260mila mq dell’ex zona industriale reggiana potrebbero essere “rigenerati” nel prossimo futuro.
Sentendo questa storia a me è venuto un pensierino sui progetti di rigenerazione urbana ravennate e, a parte il tormentone della Darsena di Città, mi sono ricordato il “nostro” Tecnopolo tanto caro al vecchio presidente dell’Autorità Portuale Giuseppe Parrello (e condiviso dal sindaco Matteucci), quello della Nautica da diporto, che doveva interessare l’ex area Sarom. Un progetto desaparecido, cancellato dalle mappe, insabbiato. Un po’ come tutto il porto di Ravenna oggi, letteralmente e metaforicamente insabbiato da inefficienze e discordie. Un ben triste destino rispetto alla via Emilia. Forse bisogna continuare a chiedersi perché. Ma forse è solo sfiga…

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