domenica
15 Giugno 2025
Rubrica L'opinione

San Domenico: bell’idea riaprire l’ex chiesa, assai meno quella dell’aula magna

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Fausto PiazzaLa recente notizia apparsa sulla stampa locale della proposta, ovvero dello stimolo – arrivato da parte di un autorevole e influente personalità locale come l’imprenditore e banchiere, presidente dell’Abi Antonio Patuelli – perchè Ravenna si impegni nella riapertura dell’ex chiesa di San Domenico, ormai inutilizzata da un decennio per problemi di sicurezza strutturale e di gestione da parte della Curia ravennate, mi ha fatto riflettere in due sensi.

Da una parte mi è sembrata un’ottima idea e l’avvio di un’iniziativa, come si suol dire encomiabile, vista l’importanza storica del monumento (che andrebbe valorizzata) e gli spazi pubblici utili che se ne potrebbero ricavare. E poi, intorno alla proposta di Patuelli si sono subito mobilitati l’apprezzamento e le verifiche del caso del sindaco De Pascale e sua eccellenza il Vescovo, che rappresenta la proprietà del manufatto.
L’ex chiesa d’altra parte è in una zona strategica, in quella porzione di centro storico, a inzio via Cavour, che fronteggia il Mercato Coperto e potrebbe rientrare fra gli snodi dei più frequentati percorsi turistici della città d’arte.
Fin qui tutto bene: si dovrà capire prima quali sono i costi e chi se li accollerà per mettere in completa sicurezza e restaurare la struttura di San Domenico… Ma poi, per farci cosa?
Un’aula magna per l’università ravennate, ha suggerito lo stesso Patuelli.

Ecco allora – lo dico sommessamente ma convintamente – questa invece è un’idea che mi convince molto di meno.
Lo penso perché non mi sembra l’edificio più adatto per questo ruolo: troppo ampio e dispersivo sul piano pratico, in termini di sfruttamento dello spazio, di costi degli impianti e poi di gestione. E mi sono detto, perché non ritornare alla sua vocazione espositiva prima della chiusura, come “Urban Center”. Di luogo per rassegne documentarie, mostre d’arte o artigianato artistico. Credo che Ravenna ne aabbia un gran bisogno. In questa veste, va ricordato, San Domenico ebbe a suo tempo una certa utile funzione per cittadini e i visitatori, e una apprezzabile frequentazione.
Oggi sono disponibili infrastutture flessibili, adatte allo scopo espositivo, che impegnerebbero solo “leggermente” lo spazio monumentale della chiesa e potrebbero essere rimosse facilmente nel caso si decidesse di cambiarne la destinazione d’uso. E non sarebbero necessari lavori  particolarmente onerosi di adeguamento acustico e di impianti di climatizzazione.

Per questo ragionamento sulla funzionalità dell’edificio mi conforta il parere del professore Mario Angelo Neve, presidente del campus universitario di Ravenna,  raccolto in due nostre diverse e recenti interviste: «…la caratteristica di Ravenna di avere un campus diffuso con più sedi è bella ma i palazzi storici del centro non sempre sono adeguati a fare lezione. Ambienti enormi con caratteristiche acustiche e di impianto che hanno bisogno di adattamenti notevoli per essere adeguati alle normative vigenti». E ancora «[San Domenico] è un luogo stupendo. Se dovesse tornare fruibile sarebbe meraviglioso. Ma al momento un’aula magna non è un’esigenza immediata, ora c’è bisogno di spazi per i corsi ordinari…».

Peraltro, le alternative su cosa allestire o esporre in uno spazio del genere sono tante, e molteplice volendo…
Da una parte ci sarebbe la necessità di valorizzare in modo stabile il mosaico moderno e contemporaneo – ben oltre le mostre temporanee della Biennale – sempre più relegato a spazi marginali, frammentari e senza un luogo che ne racconti la storia, l’evoluzione e le straordinarie valenze estetiche. E qui le sollecitazioni si sprecano da anni, a partire da quelle del compianto Nino Carnoli, dell’associazione culturale DisOrdine, dall’attività della galleria privata NiArt di Felice Nittolo, e di tanti protagonisti ravennati dell’arte musiva.

Dall’altra parte servirebbe individuare uno spazio per ospitare quei tanti pezzi della varia collezione d’opere artistiche del Mar che non riescono a trovare degna collocazione nelle sale “ristrette” della Loggetta Lombardesca e sono costrette a restare in cantina. E su questo mi convince la nostra storica collaboratrice, critica d’arte, Serena Simoni, che a proposito del complicato riallestimento del museo cittadino, ha sottolineato la questione: «Ci chiediamo allora: potrebbe essere una soluzione lo sdoppiamento delle sedi museali – una per la raccolta storica e una per l’arte contemporanea – come hanno fatto altre città italiane prima di noi?».

Vista l’opportunità che si è creata e l’interessamento di varie autorità che potrebbero concretamente dar via ai lavori di ristrutturazione e riapertura di San Domenico, fermiamoci a riflettere un po’. Si apra una discussione pubblica approfondità e documentata sul tema di cosa serve. Tempo c’è ne ancora per trovare la soluzione più adeguata. Ammesso che non sia solo una mirabile, ma impraticabile, intuizione.

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