Se vai su Facebook, che ormai equivale a parlare in pubblico, e proponi un corteo per umiliare le donne, allo scopo di dare un senso alle iniziative di sensibilizzazione contro la violenza di genere, scrivi un’oscenità. Senza se e senza ma. Se poi sei un consigliere territoriale di Ravenna – non il Presidente della Repubblica, certo, ma hai pur sempre un incarico pubblico – allora diventa anche una notizia. E per questo a inizio novembre i giornali locali hanno pubblicato articoli sulle parole del 43enne Nicola Carnicella. Alvaro Ancisi, fondatore di Lista per Ravenna (Lpr) di cui Carnicella è di fatto un esponente, se l’è cavata citando il Papa: «Chi sono io per giudicare?». Troppo facile. Carnicella è in consiglio territoriale a Piangipane dal 2022, ma lo scorso maggio era anche candidato con Lpr al consiglio comunale e un altro post di quei giorni poteva bastare perché un decano della politica locale lo giudicasse inopportuno al ruolo: «A sinistra c’è Schlein, anche a figa sono messi male». Eloquio degasperiano. All’epoca non era il caso di candidarlo, oggi sarebbe il caso di dimetterlo/dimettersi (per davvero, non solo dalla carica di vicepresidente).
L’oscenità pronunciata ha fatto passare in secondo piano, inevitabilmente e anche giustamente, un concetto espresso da Carnicella e, in effetti, trascurato dal mondo femminista: le possibili false denunce di violenze e come arginarle. Non parlarne presta il fianco a chi alimenta la narrazione che la galassia femminista nasconda chissà cosa. Va però aggiunto che aver detto una oscenità ingiustificabile non può essere la giustificazione perché altri riversino su quella persona, tramite social, carrettate di insulti e infamie. Ci pare di ricordare ci fossimo accordati che la violenza è tutta da condannare, altrimenti è il Far West. Le bacheche social si gonfiavano di insulti e alle redazioni arrivava un fiume di comunicati di gente disgustata e indignatissima. Ha dato il via il sindaco Barattoni, si sono accodati partiti, sindacati e associazioni. Tutti a chiedere le dimissioni e le scuse pubbliche. La Dc, per fare un esempio, ha mandato avanti due esponenti donne (mai uscite allo scoperto prima); si è mossa la deputata Pd; addirittura anche la giunta dell’Unione della Bassa Romagna che proprio non era coinvolta. Cotanta sollevazione non si era vista a metà ottobre quando a Milano è stata ammazzata Pamela Genini ed è emerso che il Codice Rosso non era scattato un anno prima a seguito di una lite a Cervia dove intervennero i carabinieri. Scendere in piazza in quel caso avrebbe voluto dire mettere in discussione l’operato di magistrati e forze dell’ordine. Un consigliere territoriale che dice oscenità ingiustificabili è un bersaglio più facile.
Pamela Genini


