sabato
27 Dicembre 2025
la recensione

La bella mostra sull’eccezionale lavoro della fotografa palermitana Letizia Battaglia

Ai musei San Domenico di Forlì fino all'11 gennaio

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L’eccezionale lavoro della fotografa palermitana Letizia Battaglia (1935-2022) è condensato in una bella mostra al Museo di San Domenico a Forlì che raccoglie scatti memorabili, documenti, giornali, libri, in modo da restituire la poliedricità della sua attività nel corso di quasi 50 anni di professione che fu principalmente dedicata alla fotografia ma anche all’editoria, al teatro, alla partecipazione politica e all’attivismo; sintesi esauriente di una vita attiva che ha guardato in modo partecipe e consapevole all’Italia – e alla Sicilia in modo particolare – nel corso di decenni faticosi, bui, ma ricchi di pensiero politico.

Chi non ha vissuto quegli anni forse faticherà a contestualizzare alcune delle immagini in mostra che si sono invece sedimentate nell’immaginario delle generazioni dei boomer e di quelle precedenti: l’infilata di fotografie degli omicidi di mafia fra gli anni ’70 e il 1992 – coloro che erano deputati, commissari, agenti delle forze dell’ordine, sindaci, giornalisti, giudici e semplici cittadini – rischiano per molti di essere solo nomi. Per altri è invece una nuova immersione nella storia vissuta, nel ricordo di quello che era un bollettino quotidiano di guerra. Perchè la mafia non era la protagonista dei film e le serie televisive di oggi, né tantomeno la versione più economica, altrettanto pericolosa, e meno appariscente di oggi. In quei giorni Letizia Battaglia, reporter per il quotidiano palermitano L’Ora, ha creato scatti impietosi, crudi, scomposti, quasi a sottolineare come la morte non avesse nulla di estetico ma un profondo senso di irriverenza per gli uccisi, per chi rimaneva, per chi credeva nello Stato e nella legge.

Impossibile narrare come meriterebbero tutte le storie individuali dei morti che Battaglia immortala. Cito fra le decine solo Boris Giuliano – capo della squadra mobile di Palermo, ucciso a luglio 1979 da Cosa nostra: Letizia lo ritrae mentre lavora sulla scena di alcuni delitti di mafia. Poi, invece di congelare la sua morte nell’ennesima brutale fotografia, decide di riprendere la sua scrivania poco dopo l’omicidio: lo scatto verticale è sporco, non bilanciato, ma la forza dell’immagine arriva diretta e ha la forza di un addio struggente. Credo che il segreto delle foto di Battaglia stia proprio nel suo rigoroso bianco e nero, nella presa senza filtri e immediata degli avvenimenti dove la fotografa si qualifica prima di tutto come testimone partecipe: fotografando, lei diventa il mondo e il mondo diventa lei. Prima di diventare quasi per definizione la fotografa della mafia, Battaglia passa alcuni anni a Milano. Possiede già esperienza ma è nel capoluogo lombardo – dove arriva assieme al compagno, il fotografo Santi Caleca – che comincia a utilizzare il mezzo fotografico in modo professionale. L’eccezionalità del percorso si configura anche in queste scelte: essere una donna che a Palermo abbandona un marito ossessivo e intraprende la strada per la libertà espressiva e di vita. Pensando a quegli anni e al contesto siciliano da cui proviene, si comprende immediatamente la potenza della rottura con gli schemi tradizionali del ruolo femminile.

A Milano collabora con numerose testate dedicandosi principalmente a temi di carattere sociale, prima di tutto alla liberazione dei costumi sessuali. In linea con il documentario Comizi d’amore che Pier Paolo Pasolini aveva girato nel 1964 per testimoniare l’immaginario e le pratiche sessuali di uomini e donne italiani, Battaglia si concentra non tanto sugli stereotipi sociali – messi in evidenza nella documentazione dell’amico regista – ma sulla divergenza dei comportamenti, soprattutto di donne e delle giovani adolescenti. In sostanza, la fotografa sceglie da che parte stare e se le parole dei suoi articoli risultano rassicuranti, quasi didattiche nello spiegare i mutamenti in corso, gli scatti oscillano invece fra dolcezza e provocazione. Immortala anche Pasolini restituendogli il piglio carismatico che possedeva, riprende Franca Rame e Dario Fo mentre partecipano alle assemblee affollate della milanese Palazzina Liberty sotto uno scriscione – “Il quartiere decide” – oggi del tutto impensabile.

La vocazione civile e l’attivismo sono l’eredità che porta al suo rientro a Palermo nel 1974. Compagno di vita è adesso il fotografo Franco Zecchini con cui riprende a collaborare per il quotidiano L’Ora. Insieme fondano un gruppo e un laboratorio di fotografia mentre la lotta alla mafia diventa il tema principale del lavoro. Sostenere la guerra alla mafia non è solo scattare immagini dei morti e dei mafiosi, sorridenti nel loro completo senso di impunità o rabbiosi come Leoluca Bagarella al momento dell’arresto. Lottare significa anche partecipare alla fondazione di un centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato, giovane giornalista ucciso dai mafiosi nel ’78. Contemporanemente Battaglia sviluppa uno sguardo attento sulla sua città, descritta attraverso i fasti delle classi sociali eredi del Gattopardo di Tomasi da Lampedusa e le miserie verghiane aggiornate agli anni ’70 e ’80. Gli scatti riprendono case crollate per il terremoto, dita infantili rosicchiate dai topi, lavoro minorile, occupazioni di senzatetto, pistole giocattolo donate ai bambini per la festa dei morti.

A metà anni ’80 il suo lavoro viene sempre più spesso riconosciuto a livello internazionale mentre Battaglia decide di entrare in politica, diventando assessora nella giunta Orlando. Dopo la dolorosa scomparsa di Falcone e Borsellino nel 1992, segue la decisione di abbandonare per sempre le foto di mafia ma di imprimere un’accelerazione al cambio di passo di Palermo: fa costruisce spazi comuni, centri di fotografia internazionali accelerando la riqualificazione urbana e sociale. Inizia quindi una serie reportage dal mondo, dall’Irlanda agli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica alla ex Jugoslavia: protagonista degli scatti non è più la sua Sicilia ma in ogni immagine rimane la medesima capacità di sguardo. Quello che rimane rispettoso e fedele agli umili, ai bambini, alle contraddizioni del mondo.

Letizia Battaglia. L’opera 1970-2020
fino a 11 gennaio 2026 – Museo civico San Domenico, Pazza G. da Montefeltro, Forlì
orari: MA-VE 9.30-19; SA-DO e festivi 9.30-20 (31/12 9.30-13.30; 1/1 14.30-20)
ingresso: intero 12; ridotto 10

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