Immaginate di vivere su una collina da cui si vede un paesaggio verde e incontaminato, che rischia di essere alterato dall’installazione di enormi pale eoliche. È ciò è accaduto agli abitanti dell’Acquacheta, in provincia di Forlì-Cesena, che hanno lottato per anni contro la realizzazione di 7 torri da 168 metri l’una per produrre energia dal vento. Senza che potessero nemmeno prendersela con le loro amministrazioni locali, poiché il progetto era stato autorizzato dalla Regione Toscana e l’impresa che ci stava lavorando è controllata da un Comune veneto. Per ora il pericolo è stato sventato, dal momento che lo scorso marzo il Consiglio di Stato ha revocato i permessi firmati dalla giunta di Eugenio Giani. Ma la vicenda è interessante per vari motivi: perché riguarda un territorio che subisce le conseguenze delle decisioni di una regione limitrofa, e perché ha a che fare con l’impatto estetico di un impianto di energia rinnovabile.
Il mega impianto eolico, della potenza complessiva di 29,6 megawatt (pari al fabbisogno elettrico di circa 100 mila persone), era stato proposto nel 2019 dalla Agsm Aim spa, un’azienda controllata dal Comune di Verona. L’area ricade nel territorio Comune toscano di Roccalbegna, sul Monte Amiata, ma le pale sarebbero state visibili dal versante romagnolo. Nel 2020 la Soprintendenza locale ha espresso il suo parere negativo, evidenziando l’impatto della struttura sulla copertura forestale. L’area oggetto del progetto si trova infatti a pochi chilometri da alcuni siti protetti, tra cui quelli dell’Acquacheta e del Monte Gemelli-Monte Guffone, in provincia di Forlì-Cesena, e le aree montane della zona speciale di conservazione Muraglione-Cascata dell’Acquacheta, in provincia di Ravenna. A settembre 2022 un consiglio dei ministri presieduto dall’allora premier Mario Draghi ha sbloccato le autorizzazioni necessarie per far partire il cantiere.
Contro il progetto è stata fondata una rete di associazioni ambientaliste romagnole e toscane, chiamata “Transizione energetica senza speculazione”, che si è appellata al Consiglio di Stato per sospendere i lavori. Gli ambientalisti hanno contestato la realizzazione dei due chilometri di infrastrutture necessarie per i trasporti necessari previsti dal progetto, che avrebbero comportato l’abbattimento di un’ampia porzione di foresta vergine e lo sbancamento di una parte di montagna soggetta a fragilità idrogeologiche. Quest’ultima operazione era già iniziata, con tanto di modifiche alla circolazione e divieti di accesso ad alcuni sentieri molto frequentati dagli escursionisti; ma lo scorso 5 marzo il Consiglio di Stato ha annullato gli atti con i quali la Regione Toscana ha autorizzato la realizzazione del parco eolico. Pertanto l’opera non potrà essere realizzata, salvo ulteriori sorprese.
Mentre Firenze sosteneva il progetto, Bologna era molto critica: l’assessora all’ambiente della Regione Emilia-Romagna Irene Priolo ha più volte sottolineato pubblicamente i rischi ambientali e idrogeologici legati all’operazione, che ha visto la contrarietà anche del sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi, dell’associazione Italia Nostra e del Club alpino italiano. Nel loro ricorso, le associazioni ambientaliste contestavano anche la vulnerabilità dell’area, soggetta a frane, e la sua sottrazione ai tanti amanti delle camminate nella natura che frequentavano i sentieri. Argomenti che non sembrano essere stati presi in considerazione da chi ha proposto e approvato il progetto, forse confidando che la necessità di fonti di energia rinnovabile sarebbe stata una motivazione sufficiente per evitare proteste. Ma così non è stato: le pale eoliche hanno infatti un grande impatto visivo – senza contare le criticità di installare in aree naturali come quella in questione – e ogni volta che si presenta un progetto di questo tipo, non mancano le proteste dei cittadini. Soprattutto se a deciderlo è l’amministrazione di un’altra regione.