giovedì
18 Settembre 2025

La clinica della finanza

Certificati in collocamento? No, grazie

I prodotti spinti dalle banche, oltre ad avere costi elevati, raramente sono strumenti davvero validi. Ecco come leggere con consapevolezza il KID

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Il Signor Rossi è un risparmiatore come tanti: lavora, mette da parte i suoi risparmi e li affida alla banca per investirli con un po’ di prudenza e la speranza di ottenere un rendimento dignitoso.

Questa volta, però, non è lui a porsi delle domande: è il consulente della banca a scrivergli. «Tra una settimana scadrà il certificato ABCD. Ne abbiamo altri in collocamento, quando potremmo fissare un appuntamento?». Un invito gentile, ma con una logica chiara: il collocamento deve chiudersi entro certe date, la filiale deve fare budget, e il certificato va “piazzato”.

Ecco il punto: un certificato (o qualunque altro strumento finanziario) non deve essere comprato perché proposto dal consulente bancario o della rete, ma perché – alle giuste condizioni – offre un rendimento adeguato e coerente col proprio profilo di rischio.

Troppo spesso difatti dietro alla promessa di “capitale protetto” o “cedole interessanti” c’è una logica commerciale più che un reale beneficio per l’investitore.

Ed è proprio questo l’obiettivo della puntata di oggi della “Clinica della Finanza”: fare chiarezza su come funzionano davvero i certificati, quali costi e rischi nascondono e — soprattutto — come leggere con consapevolezza il KID (Key Information Document), l’unico documento (a volte purtroppo non basta neppure) che può provare a indicarti se a guadagnarci sei tu o, ancora una volta, la banca che te lo propone.

Detto questo, è importante chiarire un punto: il problema non sono i certificati come categoria di strumento finanziario in sé.

Noi in Moneyadvisor SCF li utilizziamo attivamente per i nostri clienti e rappresentano una componente significativa dei portafogli per l’interessante rapporto tra rendimento e rischio.

La differenza sta nel come vengono selezionati: i prodotti in collocamento sono praticamente sempre scadenti rispetto a quello che offre il mercato e molto cari. Non vendendo alcun prodotto ma analizzando continuativamente il mercato suggeriamo solo le migliori soluzioni già quotate in borsa.

Il problema del collocamento

Vediamo un po’ come funziona: un certificato nasce con un prezzo nominale, ad esempio 1.000 euro per ciascun pezzo. Durante il collocamento la banca raccoglie le adesioni e, una volta conclusa questa fase, il prodotto viene quotato in borsa. Il problema è che subito dopo i certificati vengono “ammortizzati”: vengono cioè scaricati i costi che servono a pagare tutta la filiera – emittente, banca, promotore, ecc. – e questo fa sì che il prezzo scenda di diversi punti. Così, nel portafoglio, lo si ritrova facilmente con una quotazione molto inferiore ad esempio di 930 anziché 1.000.

E ora che fare?

Se si volesse vendere subito, per qualsivoglia motivo, ci si troverebbe con una perdita immediata e significativa. Come se non bastasse, spesso questi strumenti vengono messi in modalità “BID ONLY”: sono sì quotati in borsa, ma si possono vendere solo all’emittente. E immaginate un po’ a quale prezzo sarà disposto a ricomprarli… sicuramente non conveniente per l’investitore.

Alternativa? Tappare occhi e naso e portarli a scadenza sperando che vadano bene. Non proprio una grande prospettiva.

E questo è solo il primo motivo per cui non compriamo prodotti in collocamento.

La soluzione è semplice: consigliare ai nostri clienti di acquistare direttamente sul mercato certificati che hanno già scontato questi costi, con un risparmio immediato e tangibile.

Ma non basta. Perché i prodotti spinti dalle banche, oltre ad avere costi elevati, raramente sono strumenti davvero validi. E con “raramente” siamo stati gentili. Come si fa a dirlo? Basta confrontarli con ciò che il mercato offre in maniera OGGETTIVA: le differenze sono spesso incredibili.

Siamo profondi conoscitori di questi strumenti perché prima di tutto siamo appassionati dei mercati, del loro funzionamento e di quello che la finanza offre.

I certificati sono prodotti derivati costruiti con strategie in opzioni — strumenti che la maggior parte di chi li colloca probabilmente neppure conosce — e possono rappresentare una fonte di valore aggiunto importante, ma solo se selezionati e gestiti con attenzione.

Vediamo un esempio:

  • Certificato condizionatamente protetto

La banca propone a Rossi un’alternativa che, a prima vista, sembra molto interessante: cedola annuale del 6,5% e barriera di protezione al 40%. Wow! I sottostanti sono indici noti come l’Euro Stoxx 50 e l’Eurostoxx Banks.

Il certificato è stato emesso il 21/08/2025 e scadrà il 21/08/2031. Ogni anno, alla data del 13 agosto, può chiudersi anticipatamente se entrambi gli indici sottostanti risultano superiori al proprio livello iniziale (Strike). Per esempio: se il 13/08/2026 i prezzi Spot di Euro Stoxx 50 e Eurostoxx Banks saranno sopra i rispettivi Strike, il certificato si chiuderà rimborsando 1.065. In caso contrario, rimarrà in vita fino alla rilevazione successiva, con rimborso che salirebbe a 1.130, e così via fino alla scadenza.

Il problema? Se i mercati lateralizzeranno o scenderanno, il capitale resterà bloccato per anni: a scadenza si riceverà il nominale, già eroso dall’inflazione. E nello scenario peggiore — se anche uno solo dei due indici chiuderà sotto la barriera del -40% — scatterà la perdita in conto capitale. Esempio: se l’Eurostoxx Banks dovesse perdere il 61%, il certificato, oltre a non aver mai pagato nulla, chiuderebbe a 390.

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Qui si vedono chiaramente i costi che vengono scontati (come spiegavamo sopra)

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Quanto quota oggi? Circa 920 – et voilà – e pure in BID ONLY! Pur con i sottostanti praticamente allo stesso livello di partenza, l’acquirente si trova sotto dell’8%! Pazzesco.

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Quindi il problema è duplice:

  • da un lato costi elevati e prezzo subito “spappolato”, il che significa soldi bloccati senza reale possibilità di valorizzarli;
  • dall’altro il costo opportunità di non aver scelto prodotti migliori già presenti sul mercato. Esistono infatti certificati paragonabili che pagano cedole mensili o trimestrali, anche se i sottostanti scendono del 40% o addirittura del 50%!
    La differenza è sostanziale: in quel caso potrei incassare un 6-7-8% annuo (o anche di più) persino in scenari di mercato laterali o ribassisti.

E questo è solo un esempio: sul mercato esistono decine di tipologie di certificati e migliaia di strumenti quotati con caratteristiche molto diverse tra loro.

Abbiamo fatto altri esempi e spiegato nel dettaglio il nostro approccio ai certificati in questo articolo: https://www.ravennaedintorni.it/rubriche-sponsorizzate/la-clinica-della-finanza/374832/

Come leggere davvero un KID (Key Information Document)

Il KID è un importante strumento ma che pochi lo leggono fino in fondo. I punti chiave da osservare sono:

  • Scenari di performance: guarda sempre lo scenario peggiore, non solo quello ottimistico
  • SRI (Summary Risk Indicator): da 1 (minimo) a 7 (massimo). Sotto 3 è quasi impossibile trovarne
  • Costi totali: spesso incorporati già nel prezzo d’emissione
  • Target market: il certificato è davvero adatto a te o richiede alta tolleranza al rischio?Falsi miti da sfatare
  • “Me lo propone la banca, quindi è sicuro”: no, spesso l’intermediario ha incentivi a collocarlo.
  • “Cedola = guadagno certo”: non è vero, molte cedole sono condizionate.
  • “Capitale protetto = serenità totale”: solo a scadenza e se l’emittente è solido.

In sintesi

I certificati non sono strumenti “cattivi” di per sé. Anzi, se scelti con criterio, rappresentano uno strumento molto importante per implementare rendimento e diversificazione a un portafoglio. Il problema nasce quando vengono spinti dalle banche come prodotti  in collocamento, con costi elevati e condizioni poco trasparenti, più funzionali al budget della filiale che all’interesse del cliente.

Il Signor Rossi oggi ha imparato che:

  • i certificati rappresentato un’ottima opportunità di diversificazione e rendimento ma vanno selezionati con attenzione e non presi in collocamento;
  • il KID è lo strumento chiave per leggere davvero costi, scenari e rischi;
  • la neutralità della banca non esiste: chi propone guadagna solitamente dal collocamento.

Morale: il certificato giusto esiste, ma va scelto dal mercato, non subìto come proposta commerciale.

La differenza sta tutta nel metodo: in Moneyadvisor SCF utilizziamo i certificati in maniera attiva e strategica all’interno dell’asset allocation, ma solo dopo averli selezionati con i nostri software proprietari di analisi, che ci permettono di individuare le soluzioni davvero efficienti ed escludere quelle gravate da costi inutili.

Hai un certificato in portafoglio e non ti è chiaro come funziona? Vuoi confrontare delle proposte ricevute? Vuoi saperne di più circa questi strumenti?
Scrivici! Un’analisi indipendente ti può aiutare a fare chiarezza (e spesso anche evitare costi e rischi inutili).

🩺 La Clinica della Finanza è aperta ogni settimana. Per la salute dei tuoi risparmi

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Scrivici, ti risponderemo volentieri.

Clinica della Finanza è a cura di Moneyadvisor SCF Srl – Consulenza Finanziaria Indipendente
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