1989: nel mirino la Tomba di Dante ma era la burla di un intellettuale

La minaccia di sedicenti Guardiani della Rivoluzione islamici suscitò clamore sulla stampa e mise in allarme la Digos ravennate

tomba danteCorreva l’anno 1989 e pochi giorni dopo la fatwa lanciata da Khomeini sullo scrittore Salman Rushdie per l’ormai celeberrimo Versetti satanici, all’allora sindaco di Ravenna Mauro Dragoni, e al “Resto del Carlino“, venne inviata una minacciosa missiva firmata da non meglio specificati Guardiani della Rivoluzione. Il primo cittadino ravegnano veniva intimato di ripudiare Dante Alighieri di cui la città conserva le spoglie per le parole blasfeme che avrebbe riservato al Profeta Maometto, condannadolo all’Infermo, canto XXVIII, tra i seminatori di discordia della IX Bolgia, con il corpo spaccato a metà (il contrappasso per la colpa dello scisma) e le budella di fuori. Altrimenti, avrebbero fatto saltare per aria la tomba del Poeta.

E così, per un periodo, il sepolcro del Sommo fu presidiato dalle forze dell’ordine, molti spesero parole per respingere quegli assurdi fanatismi (tra questi addirittura il ministro dell’Istruzione) ma il sindaco non si prestò ad alcuna abiura. Che si potesse trattare di uno scherzo o dell’opera di un mitomane fu ovviamente un sospetto che subito si diffuse tra gli inquirenti e però il dubbio faceva usare prudenza, perfino l’allora vescovo Ersilio Tonini azzardò un «Stento a credere che sia un messaggio autentico, genuino. Ma tutto è possibile. Viviamo in tempi di tale confusione, c’è gente che pesca nel torbido e qualcuno può lasciarsi suggestionare». Le indagini, complice il timbro postale ben leggibile su una delle due missive inviate via posta, subito restrinsero l’ambito a quello cittadino, essendo appunto stata imbucata a Ravenna.

Erano anni quelli in cui di musulmani in città ancora ce n’erano davvero pochi. L’identikit non poteva essere che quello di un colto burlone, abile con la penna, conoscitore di Dante e magari non perfettamente consapevole del procurato allarme che il messaggio avrebbe comportato. E in effetti si scoprì in conclusione che si trattava di Vincenzo Strocchi, intellettuale e fine conoscitore del territorio e delle sue tradizioni, uomo di mondo e di culture, noto appunto per le sue burle intellettuali, fino a quel momento sicuramente più innocue. A fare irruzione nel suo appartamento fu la Digos che gli sequestrò carta e penna incriminate, denunciandolo per procurato allarme. Tra gli effetti collaterali, e sicuramente non dannosi, ci fu anche quello di indurre gli insegnanti del liceo Dante Alighieri a inserire proprio quel canto nel programma scolastico.

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